«La lunga e pertinace lotta contro la furia e l’insidia del flutto pareva scritta su la gran carcassa per mezzo di quei nodi, di quei chiodi, di quegli ordigni. La macchina pareva vivere d’una vita propria, avere un’aria e una effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni e anni al sole, alla pioggia, alla raffica, mostrava tutte le fibre, metteva fuori tutte le sue asprezze e tutti i suoi nocchi, rivelava tutte le particolarità resistenti della sua struttura, si sfaldava, si consumava, si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce, acquistava un carattere e una significazione speciali».
Giro d'Italia, tappa 10, Lanciano-Tortoreto. L'arrivo di Sagan - foto LaPresse
La prima risposta che ieri ha dato ai giornalisti in sala stampa che gli facevano la solita domanda che si ripete immutabile dai tempi del primo uomo vincitore a pedali (“Come ti senti, cosa provi eccetera eccetera…”), Sagan ha risposto di essere felice per aver vinto «con il suo stile». Sagan ha sempre fatto del «suo stile», in corsa e fuori corsa, una cifra inconfondibile. Ha creato, consapevolmente, una propria identità: e questo grazie, ovviamente, al suo talento di atleta, ma forse ancora di più per il suo modo anticonvenzionale di presentarsi agli occhi del pubblico e dei tifosi. Grande comunicatore, “Sagan è Sagan” perché sa di avere un pubblico e di dover destinare a loro il codice espressivo che si è cucito addosso, nel gesto atletico come nella performance fuori scala: parcheggiare la bici sul tetto di un’automobile, impennare sulla ruota posteriore sotto lo striscione d’arrivo, sorridere malandrino alle interviste, lasciarsi crescere i capelli o la barba...
Peter Sagan ha creato, consapevolmente, Peter Sagan. Un’identità che ha sicuramente, come tutto nell’attuale mondo dello sport business, un portato e una ricaduta economica. Ma che credo abbia il pregio di non essersi omologata e di aver mantenuto, anche nel periodo della lunga assenza dalle vittorie – reso ancora più innaturalmente lungo dalla sospensione delle attività agonistiche causa pandemia – la sua contagiosa simpatia. Quella che gli fa dire che non ne può più di questo ciclismo filtrato, protetto, che gli impedisce di stringere mani e firmare autografi. Ma che, nello stesso tempo, gli fa accettare le condizioni imposte dalle circostanze con saggezza quasi aforistica: «Il virus ce l’hai o non ce l’hai». Ha detto anche, a dire il vero, che «la vittoria arriva quando smetti di cercarla».
Giro d'Italia, tappa 10, Lanciano-Tortoreto - foto LaPresse
Qualche dubbio su questa affermazione, in effetti, ci resta. Perché Sagan, pur di cercarla, oggi ha sparigliato le carte ed è uscito allo scoperto fin dall’inizio, entrando nella fuga da lontano, come un qualunque avventuriero di giornata. Gli ultimi 50 km del percorso erano una specie di classica del Nord, con strappi ripetuti dalle pendenze proibitive, e con un tempo che cambiava rapidamente dal sole, al vento, alla pioggia. Sagan ha giocato qui la carta del “suo stile”, resistendo ai primi agguati avversari, tornando sotto dopo essere rimasto attardato, e eliminando, uno a uno, i diretti rivali, per arrivare in solitaria a Tortoreto. Una dimostrazione non di sola forza esplosiva, come gli accadeva fino a qualche tempo fa quando era il re degli arrivi allo sprint, ma da intelligente e navigato stratega della corsa. E in più il solito spiccato senso dello spettacolo, oggi assecondato da un percorso e da una meteorologia che invitava all’impresa. Impresa è stata davvero: è bello pensare che indubbiamente una delle più belle vittorie in carriera di Peter Sagan abbia coinciso con il suo primo successo al Giro e col suo ritorno da vincitore.
Come nel bel circuito finale di Tortoreto, degno del palcoscenico di un Campionato mondiale, torniamo sui nostri passi, da dove eravamo partiti. A descrivere quella meraviglia zooforma dei trabocchi, traguardati dall’Eremo a San Vito Chietino, dove si era rifugiato a stordirsi d’amore in tutte le sue declinazioni e posizioni con la bella Barbara Leoni – rima involontaria – era nientemeno che Gabriele d’Annunzio. Un altro che, in altri tempi e altri contesti, aveva fatto della propria eccezionalità uno stile personale, quasi un marchio inconfondibile. Dopo l’”Immaginifico” la letteratura italiana non sarebbe stata più quella di prima e, in fondo, anche il ciclismo contemporaneo ha trovato in Peter Sagan un punto di svolta. Peter è un “post-esteta” del ciclismo contemporaneo.
Giro d'Italia, tappa 10, Lanciano-Tortoreto - foto LaPresse
Ci sono tante cose che ho imparato, e tante storie che ho ascoltato in questa “tre giorni d’Abruzzo”, passando dalla Costa dei Trabocchi, a San Salvo, fino alle altitudini di Roccaraso, per poi «lasciar gli stazzi» e andare «verso il mare» dalla bella Lanciano a Tortoreto. Il giorno di riposo ho scoperto Tollo, la capitale del vino d’Abruzzo. Ho imparato quanto siano diversi i paesaggi vitati se a disegnarli non sono i filari, ma i “tendoni”, o le pergole abruzzesi: le colline non sembrano coste di velluto come nelle Langhe o in Franciacorta, ma hanno la bellezza di compatti tappeti di pampini, sotto i quali vien voglia di rifugiarsi all’ombra e al riparo.
Angelo Radica, il sindaco di Tollo – o, come si definisce, “sindaco da marciapiede” – mi ha raccontato la storia di un paese completamente distrutto dal passaggio della Seconda guerra mondiale – si trovava sulla linea di fuoco delle Linea Gustav e nel dicembre del 1943 i bombardamenti alleati lasciarono solo macerie – e rinato con eccezionale energia civile e collettiva solo vent’anni dopo, con la fondazione della più grande realtà cooperativa agricola del Centro Sud, la Cantina Tollo. Un nome legato per tanti anni legato al ciclismo professionistico: il suo anno d’oro, il 2002, Mondiale, Milano-Sanremo, tappe a ripetizione al Giro e alla Vuelta, Mario Cipollini l’ha corso con la maglia della Cantina Tollo.
Giro d'Italia, tappa 10, Lanciano-Tortoreto - foto LaPresse
Oggi Tollo è il comune con la percentuale (84,5%) di territorio vitato più elevata d’Italia ed è un illustre esempio di tutela del territorio contro il consumo di suolo. Ho conosciuto anche chi, quella rinascita l’ha vissuta di persona, Luigino Robusto, ottantacinque anni portati come un cinquantenne, due maratone di New York, la “Quattro giorni di Nimega” - la laurea ad honorem per ogni marciatore. Luigino è rimasto orfano di padre a causa delle distruzioni del 1943 e la sua vita è partita in salita: se oggi marcia ancora come un giovanotto lo deve probabilmente anche la moglie Carolina, simpatia brillante come i suoi occhi azzurri.
Insomma, ho scoperto che l’Abruzzo ha il suo stile che non si può confondere. Come d’Annunzio. Come Sagan. Che del resto si erano conosciuti, senza saperlo, già in una pagina del Piacere, in un dialogo tra Andrea Sperelli e Ludovico Barbarisi.
- La stagione è già dunque in fiore?
- Quest'anno, è precoce come non mai, per le peccatrici e per le impeccabili.
- Quali delle impeccabili sono già a Roma?
- Quasi tutte: la Moceto, la Viti, le due Daddi, la Micigliano, la Miano, la Massa d'Albe, la Lùcoli...
- La Lùcoli, l'ho veduta dianzi, dalla finestra. Guidava. Ho veduta anche tua cugina con la Viti.
- Mia cugina è qui fino a domani. Domani tornerà a Frascati. Mercoledì darà una festa in villa, una specie di garden party, alla maniera della principessa di Sagan.
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