Ore 7.30, siamo alla stazione di Valenza. Oggi si prende il treno – non tanto perché non abbiamo più voglia di pedalare, non sia mai!, quanto perché il tema della giornata è l’intermodalità, ovvero treno più bici, ovvero pedalare e poi tornare mettendo le bici sul treno. Peccato che non sia così facile, in Italia. Non c’è nessun segnale per i ciclisti, in stazione. E poi, come andiamo al binario 2? Dobbiamo fare un sottopasso. No! Io la mia bici supercarica non la voglio sollevare! Ci dovrà pur essere un altro modo. Scopro che si può attraversare i binari sul terrapieno creato per i disabili (presente in qualsiasi stazione nazionale). Ottimo per i ciclisti, però bisogna chiedere al capostazione o alla polizia ferroviaria. Complesso. Specie se il capostazione è dall’altra parte della stazione!
Comunque sia, attraversiamo in sicurezza e al binario 2 arriva l’interregionale delle 7.54 per Pavia. Chiediamo al capotreno dove possiamo mettere le bici. “Ah no, io ne posso accettare solo 4!”. Peccato che siamo in sei. “Gli altri devono prendere il prossimo”. E se fosse stato un gruppo di turisti tedeschi, che figura ci avremmo fatto? Comunque non posso rimanere sulle rotaie, mi imbosco in un vagone in fondo, incastrato tra le porte, chiedendo scusa a chi deve scendere e salire. Praticamente un clandestino, anche se ho pagato il biglietto! Intanto Pileri e assistenti spiegano con infinita pazienza al capotreno cos’è Vento, l’importanza di un progetto del genere, lui ascolta e alla fine siamo a tarallucci e vino e ci augura buon viaggio e saluti e baci.
A Pavia la città è bella come sempre, anche sotto il cielo grigio. Alla conferenza in Provincia si parla appunto di bici sul treno, con il rappresentante di Fs che fa passi avanti e promette collaborazione – i problemi, dice, sono anche nelle resistenze di certi ambienti interni a Fs, ma ce la faremo a migliorare la situazione. Poi partiamo alla volta di Piacenza, questa volta accompagnati solo da Maurilio, un rappresentante di Fiab. Il percorso segue la via Francigena: cartelli quasi ovunque, dobbiamo dire, utili anche per chi va con il Vento, e percorso su argini rialzati, con belle panoramiche di cascine e campi, pioppeti e paesini (peccato soltanto per certi tratti di ghiaia o meglio di pietraia, tanto sono grandi i ciottoli - la concentrazione per guidare è massima, sperando di non forare di nuovo…).
A un certo punto, due cicloturisti! Sull’argine! Incredibile. Li bracchiamo, quasi fossimo segugi in cerca di prede. Ovviamente sono tedeschi, vengono da Francoforte, e stanno girando la Pianura Padana in bicicletta. Quali testimonial migliori di loro? Interviste, chiacchiere, riprese video, fotografie. Quasi quasi ci scappa un autografo. D’altronde è vero che Vento dovrebbe proprio servire a tanta gente come questi due pionieri (che peraltro si lamentano dell’assenza di segnaletica ciclistica e di carte ad hoc), così come sul Danubio o sull’Adige perché non anche sul Po?
Pedalando da queste parti si pensano tante cose. Si pensa che c’è un grande silenzio, in campagna, rotto solo dal vento e dai canti degli usignoli e dei rigogoli nascosti tra le fronde dei pioppi. Che i papaveri ancora crescono miracolosamente tra le spighe dei campi, e non è vero che i diserbanti li hanno completamente spazzati via (però di fiordalisi neppure l’ombra). Che c’è una grande malinconia, nelle grandi cascine diroccate e divelte dall’edera, rifugio di gufi e di volpi, e le si immagina popolate un tempo di lavoro e di quotidianità e di odii e di amori. Che la pianura non è mai uguale, e capisci che continua a cambiare, a mano a mano che tu pedali, anche se non sai ben capire come e perché. Che le grandi querce sono bellissime. Che pedalare stanca, anche con la mia efficiente Ktm, ma quando tra le nuvole spunta il sole, sul far della sera, e illumina il grande fiume che scorre gonfio e veloce, gli stagni dove danzano i cavalieri d’Italia, le sagome delle montagne dell’Appennino laggiù in fondo, beh, vorresti andare avanti per giorni.
A Piacenza grande accoglienza, in fondo all’avveniristico ponte con ciclabile annessa, dove veniamo ricevuti dai cicloamatori della Fiab – qualche giornalista ha pure aspettato nonostante il nostro colossale ritardo. E’ quasi buio quando entriamo nell’agriturismo, oltre 80 chilometri nelle gambe. Io do il cambio a Renato, da domani seguirà lui l’avventura, e torno a casa pieno di Vento.