Se c'è un luogo che incarna il saper vivere italiano, quello che gli americani ammirano, i tedeschi invidiano senza ammetterlo e i cinesi semplicemente non capiscono bene, questo luogo è Parma. Lo è soprattutto dal punto di vista della ricchezza culinaria, che poi è un tratto fondante di quel che siamo e ci consideriamo. «Se oltre il 50% degli italiani crede che l'elemento base della nostra identità nazionale sia la tavola un perché ci sarà» commenta il presidente del Touring, Franco Iseppi. Un perché che si è cercato di spiegare nel ridotto del Teatro Regio di Parma durante un convegno dal titolo eloquente «Il cibo è cultura». Convegno che inaugurava la seconda tappa di Io sono il Po, il progetto di valorizzazione e scoperta del più grande fiume italiano che il Touring club Italiano sta portando avanti in questi mesi partendo dal Delta per arrivare in autunno a Torino.
Che il cibo sia cultura e che questa cultura sia fondamentale non solo per l'identità italiana ma anche per la crescita della nostra economia è quanto è emerso nella lunga mattina di interventi coordinati da Isabella Brega, caporedattrice centrale di Touring. «Le esportazioni del settore agroalimentare italiano sono cresciute del 30% per cento in dieci anni - ha spiegato il presidente Iseppi -, un dato importante che fa ben sperare. Eppure la contraffazione dei prodotti italiani è cresciuta a un ritmo ancor maggiore il che pone una lunga serie di problemi, non solo di carattere economico». Già, perché un cibo non è semplicemente la trasformazione più o meno complessa di un prodotto delle terra. Un cibo è il racconto di quella stessa terra. Per cui se mangio un sugo “italiano” prodotto in Lettonia è come se partissi per andare a vedere il Duomo di Parma ma mi fermassi a Riga. Un'assurdità. «Eppure il mercato dell'Italian sounding, dei prodotti che sembrano italiani ma non lo sono vale più del mercato dei prodotti che italiani lo sono davvero» spiega nel suo intervento Celestino Ciocca, esperto dell'industria alimentare italiana.
Eppure come ha ricordato lo storico Massimo Montanari, «il cibo oltre a essere il momento terminale di un processo di trasformazione delle risorse è esso stesso un prodotto culturale che incarna la storia e la geografia del luogo in cui viene prodotto. Per cui quel che mangiamo ci aiuta a leggere il paesaggio e a capire la storia di chi quel paesaggio abita». E quanto cibo e territorio siano legati lo ricorda anche la riflessione di Claudia Sorlini, vicepresidente del Tci e presidente del Comitato scientifico di Expo. «Il ricordo più immediato e diretto che i migranti si portano appresso: senza la grande migrazioni dei poveri italiani di questo ultimo secolo e mezzo difficilmente ci sarebbe questa diffusa conoscenza dell'Italian food nel mondo. Sono loro che dobbiamo ringraziare se la nostra cucina è così famosa all'estero: sparpagliandosi ai quattro angoli del pianeta hanno portato quello di più semplice e diretto che avevano del nostro Paese, il cibo». Un cibo che è allo stesso tempo nazionale e molto, molto locale. «Perché ogni cibo italiano è figlio del microclima in cui viene prodotto e cucinato» ha ricordato Gualtiero Marchesi, chef e rettore dell'Alma.
Un microclima che dalle parti di Parma, anche grazie alla acque del Po e alle nebbie che si creano sulla sua riva - «fondamentali per la buona riuscita di un gran culatello» come ha ricordato Massimo Spigaroli, presidente dell'associazione Chef to Chef – è particolarmente fecondo. Parmigiano, prosciutto crudo, coppe, culatelli, salami, ma anche pomodori e vini sono l'emblema del territorio parmense. Territorio che oggi aspira ad avere un riconoscimento globale. «Vogliamo candidare Parma a patrimonio mondiale Unesco proprio per la sua specifica cultura alimentare» spiega l'assessore alle Attività produttive, Cristiano Casa. Ma ben prima del riconoscimento globale viene il riconoscimento quotidiano di chi scegli di comprare i prodotti parmensi semplicemente perché quell'aggettivo, parmense, è esso stesso sinonimo di qualità. Perché, come ha ricordato Marchesi citando Ippocrate «il cibo è medicina, e la miglior medicina è il tuo cibo». E a Parma, lungo il Po, sono degli esperti di medicina alimentare.
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