IL DOLCI DELLE FESTE, QUALI SONO I PIU' BUONI?

L’Italia, una e indivisibile. Forse, ma non per quanto riguarda i dolci. Se Garibaldi e Camillo Benso ha messo del loro per allacciare lo Stivale da cima a fondo, ogni regione ha invece mantenuto con gelosa cura le sue tradizioni da forno. Ci hanno provato tutti, qualcuno con il cacao e le nocciole ha dato una bella "spalmata internazionale" sulle peculiarità regionali, ma durante le feste, Natale, Capodanno e Befana su tutte, non si transige, si ritorna alle origini della nostra arte pasticcera.
Sotto ogni mattarello si scovano storie e aneddoti che potrebbero riempire una biblioteca. Non avendo tanto spazio, ci concediamo un viaggio zuccherino regione per regione. E se tradissimo in qualche modo la ricetta di casa, perdonateci, in fondo è Natale anche per noi.

Dolci di Natale - VALLE D’AOSTA

Le Tegole - Erano gli anni Trenta quando nelle pasticcerie di Aosta fecero capolino questi dolci, ondulati come tegole di terracotta che qui coprono i tetti delle baite. A inventarsele furono due pasticcieri della famiglia Boch, che durante un soggiorno in terre di Francia trafugarono la ricetta e la adattarono alle valli. Secondo la tradizione l’impasto di mandorle dolci e amare, nocciole, zucchero e bianco d’uovo, dopo essere stato steso in forme rotonde e asciugato in forno, assume la tipica forma solo una volta passato con in mattarello o su una superficie curva.

PIEMONTE

Il Bonet - Imbracciate i cucchiai, siamo nelle Langhe. Sono curiosi gli aneddoti che portano alle origini del suo nome, che rimanda a un cappello da uomo simile al basco spagnolo. Questa ipotesi si sposa a quella che inverte i fattori, indicando il dolce (o meglio, lo stampo utilizzato per dare forma all’impasto) come ispiratore del berretto: il bonet ‘d cusin-a. Se la verità sta nel mezzo, assumiamo per buona la terza via, quella che spiega il termine Bonet con il gesto di mettere il cappello sulla cena consumata. L’ultima portata, insomma.

LIGURIA

Il Pandolce genovese - È il dolce simbolo del Natale ligure che risale sulla linea del tempo fino agli antichi greci. Una leggenda narra però che fu Andrea Doria, doge nel XVI secolo, a indire una gara per creare un dolce celebrativo della potenza genovese. Ecco la zucca candita e le uvette, i pinoli e il marsala a condire l’impasto e a dare gusto a un dolce che si conservava bene e a lungo: adatto anche a lunghe traversate marittime. Tanto lunghe che anche in Argentina il pandolce è diffuso e apprezzato.

LOMBARDIA E VENETO

Panettone contro Pandoro - È l’eterno derby che si consuma in odor di feste e che ancora non ha trovato (e mai troverà) un vincitore. Il primo è il simbolo di Milano e legato a doppio filo al tempo degli Sforza, quando il povero Toni si presenta alla nobil tavola con un pane sgraziato e apparentemente mal riuscito, il “pan del Toni”, appunto. Ma il destino sarà fortunatissimo, tanto che il signor Angelo Motta negli anni Trenta gli diede la forma di cupola, lo cucinò in una carta da forno e lo vide lievitare con tanto slancio da suggellare la crescita del capoluogo lombardo.

LOMBARDIA E VENETO

Il Pandoro è invece la conversione ottocentesca dell’antico Nadalin, il dolce duecentesco della città di Verona. Durante la Repubblica di Venezia lo chiamavano Pan de’ Oro, ma a portarlo nella modernità fu Domenico Melegatti, che sfruttando il talento dell’artista impressionista Dall’Oca Bianca, realizzò lo stampo di cottura che da la forma attuale al Pandoro, poi al centro della diatriba gastronomica tra la famiglia Bauli e i Melegatti. 

FRIULI VENEZIA GIULIA

La Gubana - Natisone, ai confini con la Slovenia. Lì si deve andare se si cercano le origini di questo dolce delle feste che simboleggia tutto il Friuli. Guba in sloveno significa piega e rimanda alla forma attorcigliata del dolce che travalica idealmente la frontiera. Le origini contadine (la gubana friulana) si ritrovano nella farcitura “rustega” chiusa in una pasta lievitata a base di farina, ma l’evoluzione cittadina arriva nella versione “Giuliana” di Gorizia e Trieste, dove arricchiscono il ripieno le spezie e la frutta candita.

TRENTINO ALTO ADIGE

Lo Zelten - “Talvolta” in tedesco si traduce “selten”. E lo Zelten non si fa sempre, ma solo in occasioni delle feste natalizie e di fine anno. È un tipico pane di frutta che cambia la sua composizione da valle a valle. E visto che la pasticceria è la scienza a tavola ecco i comuni denominatori: farina, uova, burro, zucchero, lievito, noci, fichi secchi, mandorle, pinoli e uva sultanina. Le varianti altoatesine riguardano solo la forma, e lo zelten diventa di volta in volta a cuore, ovale, rettangolare: quel tanto che basta per distinguersi un po’ dai cugini della provincia trentina.

EMILIA ROMAGNA, MARCHE E UMBRIA

Il Certosino e la Spongata - In Emilia Romagna non ci si può concentrare solo su un dolce per le feste. A Bologna non sarebbe Natale senza il Certosino (o Pan speziale). Furono proprio gli antichi speziali, i farmacisti medievali ad arricchire con cannella, canditi e frutta secca un impasto dove il grande assente sono le uova. A specializzarsi nella sua preparazione furono poi i frati della Certosa di Bologna. A Cattolica si gusta invece il Miacetto e in tutta la regione si può chiedere la Spongata, che deve il suo nome all’involucro pieno di buchi che tanto lo assimila a una spugna.

TOSCANA E LAZIO

Il Panforte - Bianco o nero? La differenza è ovviamente negli ingredienti. Mentre il primo è arricchito con il cedro, il secondo è impastato con melone candito, peperoncino e cacao. Il suo viaggio dal Medioevo ad oggi ce lo presenta rotondo, rugoso e duro, spolverato di zucchero vanigliato e dal forte aroma speziato.

CAMPANIA, ABRUZZO E MOLISE

Gli struffoli - Eccole, le palline dorate, decorate con confettini di tutti i colori e guarniti da frutta candita. Gli struffoli mettono allegria, sono uno dei simboli delle feste campane e uno dei dolci più saporiti della pasticceria partenopea. L’etimologia del nome affonda nel greco “strongulos”: piccola sfera, appunto.

CALABRIA, BASILICATA E PUGLIA

Fichi chini (o crocette) - Eccoli i fichi, uno dei frutti simbolo della calabria (e di tutto il sud). Durante le feste i fichi si “chinano”, si riempiono di delizie, aromi e sapori: dalle mandorle al cioccolato, zucchero e cannella, il tutto imbevuto nel mosto cotto. La Cicirata - È un grande classico tra i dolci delle feste lucane. Piccoli ceci di pasta fritti, fragranti e dolci, si servono a tavola in forma di ciambella, oppure in mucchietti dorati di palline di varie dimensioni. 

Le Cartellate - Frinzele, scartagghiate o crùstoli che si chiamino, sono le frittelle ripiene che si sono guadagnate il podio tra i dolci delle feste pugliesi. Le strisce di pasta mielate diventano croccanti come la “carta”. Poi si sbolliscono i fichi e si filtrano ottenendo un concentrato che si addensa e si può conservare a lungo. Le origini attraversano le culture antiche del mediterraneo, dai greci arrivano i sapori, dai cristiani la decorazione a corolla, che si associa all’aureola di Gesù Bambino.

SICILIA

La Cubbaiata - Qui il carrello zuccherino è imbandito davvero, ma cambia da lato a lato del grande triangolo isolano. Tra Palermo e le Madonie si mette infatti sulla tavola di natale il Buccellato (‘U cicciddatu), un ciambellone composto da fichi ai profumi di cannella, arancio e chiodi di garofano. La Cubbaiata è il torrone morbido ereditato dalla cultura araba più vicino alla Calabria, mentre i Nucatoli sono i biscotti alle noci tipici di Modica. Democraticamente diffusa in tutta la regione è invece la Pignuccata, una piramide di palline fritte, saldate a colpi di miele e speziate.

SARDEGNA

Il Torrone - Ora, volendo gettare un ponte tra le due isole, ci piacerebbe che avesse forma e sapore del classico torrone. Che siate in Sicilia o in Sardegna, miele e mandorle sono una certezza per uno dei dolci che hanno conquistato “il Continente” e non solo.