La Turchia ottomana dell’Ottocento, pur essendo un impero decadente, era un impero cosmopolita. Istanbul al tempo era una capitale forse unica nel suo genere, dove vivevano spalla a spalla migliaia di greci, armeni, turchi, ebrei, levantini di ogni genere e occidentali intenti in traffici e commerci. La storia è finita nel primo quarto del secolo XX, quando l’Impero è miseramente collassato e si è fatta strada un’ideologia nazionalista che ha sconvolto il crogiolo di razze che abitavano tra la capitale, l’Epiro e l’Anatolia. Milioni di armeni sono stati uccisi (prima, almeno duecentomila tra il 1895 e il 1896; dopo oltre un milione durante le deportazioni e i massacri del 1915), centinaia di migliaia di greci sono emigrati, scambiati con i musulmani che abitavano all’interno dei confini della Grecia. Mentre a oriente, tra le montagne dell’Anatolia, iniziavano a nascere problemi con il nazionalismo dei curdi. Ma anche con gli aleviti, una setta di musulmani eterodossi mal visti dalla maggioranza sunnita. E ovviamente con quel che restava della comunità armena, spazzata via dalle terre dove aveva sempre abitato.
Un passato tragico, che le fonti ufficiali vogliono rimuovere e minimizzare, ma che va conosciuto per fare i conti con la storia turca e per capire il Paese di oggi. Un passato oscuro che Christopher de Bellaigue, per cinque anni corrispondente dell’Economist dalla Turchia, racconta con erudizione e passione, facendo parlare la storia e le persone. Mescolandosi ai derelitti della terza classe, mangiando pane e formaggio, rinunciando ai piaceri occidentali di Istanbul per trasferirsi a Varto, nella zona sud-est del Paese. Zona di guerriglia e contraddizioni, di combattenti per la libertà e altrettanti traditori. Zona con un’infinità di forme e di verità che de Bellaigue esplora con coraggio e personalità.
Terra ribelle
Christopher de Bellaigue
Edt, pagine 318, euro 22