Magari non vi sembrerà niente di speciale, in diverse città del mondo ci sono le zone dei locali, dove scene simili si verificano il venerdì o il sabato sera.
Ma è lunedì, sono le tre del pomeriggio e non è un giorno di festa. O forse lo è sempre. Siamo a New Orleans.
(Tennessee Williams)
Un viaggio negli Stati Uniti, specie di questi tempi, richiede una certa preparazione e cura. La prima tentazione è fare come fanno gli americani con l’Europa: già che ci sono, vedere tutto anche se i giorni sono quelli che sono. Un giorno a Roma, uno a Venezia, uno ciascuno anche per Parigi, Londra e Berlino e mettiamoci pure mezza giornata a Lisbona e mezza a Siviglia, più un giorno in Irlanda (o Svezia, o Polonia, o Grecia) a trovare i parenti. Essendo grande e complicata, l’America impone scelte – e corrispondenti rinunce. Per chi ama la musica, ma davvero, New Orleans è irrinunciabile.
New Orleans, The Three Great - foto Shutterstock
Il primo luogo da visitare da questo punto di vista è certamente Bourbon Street ma gli appassionati di jazz non potranno esimersi da un pellegrinaggio al vicino Louis Armstrong Park, dedicato (come anche l’aeroporto) al suo musicista più celebre. Al suo interno si trova Congo Square, il luogo in cui gli schiavi africani si riunivano la domenica per suonare e ballare, e ai tamburi si aggiungevano via via i nuovi strumenti a fiato fatti di ottone che gli europei usavano per la musica lirica, sottovalutandone la capacità di ravvivare la vita (e pure la morte, nei leggendari “funerali in stile New Orleans”). Ancor oggi, la domenica pomeriggio, lo spiazzo vibra di musica e balli.
New Orleans, monumento nel Louis Armstrong Park - foto Paolo Madeddu
Bourbon Street è un party a cielo aperto, Frenchmen Street è una festa animata e vitale ma con un suo contegno. Ci sono poi le vie in cui passeggiare per assaporare New Orleans nei suoi diversi aspetti. Royal Street per esempio è la sorella graziosa e ammodo di Bourbon Street, con i negozi più particolari, specialmente quelli legati ad arte e cultura. Nelle vicinanze c’è l’arteria in cui è quasi impossibile non imbattersi, l’ampia Canal Street, che oggi ha un’aria trafficata ma nei secoli scorsi era la via elegante, quella della Grand Opera House e di alcuni tra i primi cinema d’America. È nata ai primi dell’Ottocento a causa della contrapposizione tra la popolazione franco-spagnola da un lato e quella di origine anglosassone dall’altro: le autorità pensarono di creare un canale artificiale che giungesse al Mississippi, nel quale termina la strada, per separare fisicamente le due comunità. Il canale non fu mai realizzato, ma Canal Street fece lo stesso da ideale linea di confine, e con una possibilità che l’acqua avrebbe impedito: la striscia centrale, dove oggi passano i tram, venne definita “Neutral ground”: lì gli esponenti delle rispettive comunità potevano incontrarsi e persino fare affari insieme – che si sa, è sempre il primo passo per stemperare le ostilità.
New Orleans, Canal Street - foto Shutterstock
St. Charles Street, intitolata a San Carlo Borromeo, è una via per appassionati di architettura: una collezione a cielo aperto di palazzine vittoriane, neoclassiche, coloniali, e tanti altri stili: il suo sviluppo nella seconda metà dell’Ottocento fu un ulteriore tentativo degli anglosassoni benestanti di avere una propria area esclusiva, ad alto tenore di vita, nella quale i creoli del Quartiere Francese non li disturbassero. Anche Basin Street era una via chic, perlomeno fino a quando il quartiere a ridosso, Storyville, non divenne un quartiere a luci rosse. La qual cosa getta una luce un po’ ambigua su uno dei brani storici del jazz, Basin Street Blues, cantata (anche) da Louis Armstrong nel 1928: “un paradiso in terra, dove si incontra l’élite”.
New Orleans, St. Charles Street - foto Shutterstock
Niente di strano: il turismo cimiteriale è una realtà in ascesa (appropriata a un’epoca in lutto permanente, forse) e New Orleans è uno dei posti migliori in cui fare un ragguardevole cimitour, visto che alla morte da queste parti si accompagna una certa vitalità, dai funerali jazz ai riti voodoo. Tombe, mausolei e complessi in stile neoclassico, gotico, romanico, rinascimentale, bizantino ed egizio: secondo Mark Twain, gli architetti di New Orleans lavoravano più grazie ai cimiteri che alle case. Ci sono più camposanti che in altre città più grandi (sembra che quelli che rivendicano la patente di “cimitero storico” siano più di quaranta), e le visite guidate sono una consuetudine anche piuttosto costosa.
New Orleans, St. Louis Cemetery - foto Shutterstock
New Orleans, Lafayette Cemetery - foto Shutterstock
4. CIBO
Dopo i cimiteri, è il caso di passare ad altre esperienze spirituali. Memorizzate questi termini: 1) Gumbo! 2) Muffaletta! 3) Ettouffee! 4) Beignets e, soprattutto, 5) Jambalaya! Cominciamo da quest’ultima, cantata da un esultante Hank Williams in una hit del 1952 (14 settimane al n.1 negli USA) e poi interpretata anche da Fats Domino, i Carpenters e (strano ma vero) dall’italiana Alexia in versione dance, nel 1996. I coloni spagnoli inventarono la prima versione della jambalaya per nostalgia della paella, e naturalmente usarono ingredienti trovati sul posto. Ai quali ogni etnia si ritrovò ad aggiungere qualcosa: gli africani ci misero il riso, i nativi americani le spezie, i francesi la mirepoix di verdure, i tedeschi la salsiccia. A quanto ci hanno detto, la più classica jambalaya in città viene servita al ristorante Napoleon House, in Chartres Street. Non avendo potuto assaggiare tutte le altre è difficile sbilanciarsi, ma chi scrive questo articolo ha potuto mangiare quella del Napoleon, e deve ammettere che lo rifarebbe volentieri e spesso. Un parente stretto della jambalaya è il gumbo, nome che viene dall’africano kimgombo, il che la dice lunga sul mix di culture che lo compongono. La sua densità è variabile, come il suo stato asciutto o liquido. Può essere vegetariano o contenere pollo, o maiale (variante dei cajun, i franco-canadesi emigrati qui per scappare dai protestanti), oppure crostacei e pomodori (variante creola): qualunque cosa ci finisca dentro, è legata dal roux (farina e burro fuso oppure grasso). Viene servito accompagnato da riso, che però è cucinato a parte, e di solito questa è la differenza che più salta agli occhi rispetto alla jambalaya.
New Orleans, jambalaya - foto Shutterstock
Una cosa va precisata prima che sia tardi: l’aspetto “povero” di questi piatti non deve ingannare. Se è vero che con una loro foto non otterrete gli essenziali, vitali 100 like su Instagram che possono cambiare un’esistenza, col sapore non si scherza – unica incognita, è quanto lo chef ha deciso di abbondare con le spezie. Che non mancano nel crawfish étouffée, che potremmo tradurre come stufato o forse più propriamente come affogato di gamberi. Anche lui viene palleggiato tra il campo creolo e quello cajun, con le relative preferenze.
Ovviamente non siamo strettamente a New Orleans, però è difficile trovare un mondo di alligatori e mangrovie, tartarughe e cipressi, opossum e altre creature (tra cui, meglio saperlo: insetti) a mezz’ora da una grande città. Di solito le escursioni durano due ore, c’è una guida che la sa lunghissima su tutto, e il momento migliore per farle, dicono, è l’autunno: buon clima, molte meno zanzare. L’offerta è enorme, come anche i prezzi e le modalità: dai kayak per avventurarsi nella Manchac Swamp o la Honey Island, alle grandi barche a fondo piatto, fino alle piccole, tipiche “airboat” con le enormi, tipiche ventole – esperienza che vi costerà un po’ di più. Ma si può andare anche a piedi, nella Barataria Preserve del Jean Lafitte National Historical Park, a sud della città.
New Orleans, Jean Lafitte National Historical Park - foto Shutterstock
È strano associare New Orleans alla guerra, ma nel 2000 in città ha aperto il poderoso National WWII Museum. Il nome è molto onesto sul tipo di allestimento, che mostra come la nazione americana ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale. È bene premetterlo perché oggi qualche visitatore, detto senza girarci troppo attorno, potrebbe risentirsi nel vedere presentato Mussolini a fianco di Hitler, nella sezione dei dittatori nemici della democrazia (mentre sembra esserci una certa comprensione per l’imperatore Hirohito, malgrado Pearl Harbour). Il museo è una delle maggiori attrazioni della Louisiana e in generale uno dei musei americani più visitati in assoluto, ma ha un concorrente terribile, che non è in questo continente bensì in Normandia, nei luoghi del D-Day. Molti reperti sono rimastì là, e lo sforzo di presentare una collezione completa ha spesso dovuto scontrarsi con la poca collaborazione di altri musei più piccoli in America o nei tanti posti in cui le truppe americane hanno combattuto dal 1941 al 1945.
New Orleans, National WWII Museum - foto Shutterstock
7. MARDI GRAS E VOODOO
Tra la parata in stile Rio de Janeiro e carri allegorici che somigliano a quelli di Viareggio, il Carnevale di New Orleans è una specie di stadio intermedio tra quello europeo tradizionale, sentito in particolare nei Paesi cattolici (Francia, Italia), e quello carioca. Ma se quello europeo vedeva il suo anelito principale nel desiderio di sovvertire temporaneamente il normale ordine delle cose, con il povero che si atteggia a ricco (perché ogni scherzo vale, come questa ipotesi sociale), quello brasiliano enfatizza l’allentamento – eufemismo – dei freni inibitori. Visto che il normale ordine delle cose qui viene tradizionalmente sovvertito dai riti voodoo, la versione di New Orleans del Carnevale sposa volentieri la causa della mancanza di inibizione.
New Orleans, Mardi Gras - foto Shutterstock
E poi c’è il resto, naturalmente. Che non starebbe in un articolo solo, e richiederebbe una guida con tante, tante pagine. Jackson Square, con la sua umanità variopinta davanti alla St. Louis Cathedral (il luogo dove andare se siete in città a Natale). Le fantastiche sculture del Besthoff Sculpture Garden, all’interno del City Park. Vue Orleans, in fondo a Canal Street, che propone una vista panoramica a 360 gradi dell’intera città e alcune esperienze interattive per conoscerla meglio. Il giardino di Longue Vue, la casa in cui hanno soggiornato grandi personaggi della storia americana, da Eleanor Roosevelt a John Kennedy. I quadri di Mirò, Pollock, O’Keeffe, Picasso, Monet, Pissarro, Rodin, Matisse, Gauguin e soprattutto Edgar Degas, che a New Orleans abitò per un anno, esposti nel New Orleans Museum of Art. Il ferry che parte da Algiers Point e mostra la città vista dal Mississippi. Il Sazerac, uno dei più antichi cocktail americani, servito dove fu inventato, nel 1838. La squadra dei Saints, che nonostante il nome gentile (raro nel football americano), perde praticamente sempre, si dice per un sacrilego oltraggio ai morti: lo stadio è stato edificato dove una volta c’era un cimitero – ma nessun’altra squadra al mondo scende in campo sulle note di un inno esaltante come When the saints go marchin’in. E infine la gente di New Orleans: gente che ogni tanto deve fronteggiare un uragano, e a volte perde tutto. Ma non basta un uragano a mandarla via da qui.
New Orleans, Besthoff Sculpture Garden - foto Shutterstock
New Orleans, Mardi Gras - foto Shutterstock
INFORMAZIONI
Siti web www.neworleans.com e travelsouth.visittheusa.com.