U Khin Zaw sarà pure muto, ma non è scortese. Ogni volta che gli si domanda qualcosa risponde girandosi e scandendo senza voce la risposta in modo lento e teatrale. Il che non è molto pratico, visto che sta guidando. Anzi, è proprio pericoloso a ben vedere. Ma fortunatamente a Naypyidaw il traffico non è un problema: la strada che dall'aeroporto porta in città è una superstrada a quattro corsie vuota. Dove vuota non è un modo di dire. Si deve leggere letteralmente: vuota significa vuota. In venti chilometri ci hanno sorpassato due macchine, ma ogni cinquecento metri c'è una garitta della polizia che controlla il traffico inesistente. Così l'autista muto rallenta quando e come vuole e si gira sorridendo per rispondere mimando le parole con la bocca. Ma forse è meglio fargli poche domande e rispettare il suo silenzio. C'è una nuova capitale da scoprire.
Dal novembre 2005 Naypyidaw è il nuovo baricentro amministrativo della Birmania (o Myanmar come è stato rinominato il Paese dopo il colpo di stato del 1988), al posto dell'affascinante, decadente e congestionata Yangon. Naypyidaw è una città fondata nel mezzo del nulla, nel cuore di una zona arida e storicamente periferica. Durante l'estate la temperatura supera sempre i 40 gradi. In inverno la notte fa freddo. Nella stagione delle piogge si allaga. Eppure i generali dal 2002 hanno iniziato in gran segreto a edificare proprio qui, nella parte centrale del Paese, questa città da un milione di abitanti. Poi, d'imperio, hanno trasferito il governo, tutti i ministeri e gli Stati generali dell'esercito che dal 1962 comanda nel Paese.
Raccontano, e c'è da crederci, che nessuno avesse sentito parlare di questo progetto fino a quando, alle 6.37 del 6 novembre (perché così avevano indicato gli astrologi seguiti dal presidente) iniziò il trasferimento dei ministeri. Nell'allora capitale Yangon comparvero centinaia di camion requisiti in tutto il Paese che completarono la prima parte del trasloco. I lavoratori furono costretti a trasferirsi in massa, accasati in quartieri di condomini ministeriali: ogni ministero con il suo colore di riferimento. La seconda parte del trasloco avvenne l'11 novembre, quando alle 11.11 partì da Yangon una colonna di 1.100 camion dell'esercito che trasportavano 11 battaglioni di soldati e 11 ministri.
Per anni Naypyidaw, che tradotto significa “la sede del re”, è stata off limits agli stranieri: serviva un invito ufficiale per entrare. E gli invitati erano pochi. Oggi la si può visitare liberamente, ma non ci viene nessuno. Sul volo dalla Golden Myanmar da Yangon c'erano 14 passeggeri su 148 posti. Da vedere del resto c'è poco. Nulla di quella vitalità da strada che contraddistingue le città birmane. Nessun venditore di betel con il suo banchetto agli incroci. Nessun trishaw. Nessun carretto trainato da buoi o cavalli. Un ordine surreale e immenso. Il sogno di ogni dittatore di un Paese sottosviluppato: una Svizzera tropicale, linda e priva di vita. Un posto dove geometria e pianificazione sconfiggono storia e stratificazione.
Se sia buona o meno questa stella per il popolo birmano non sa. Di certo il re, l'attuale presidente Thein Sein, governa dal palazzo più imponente che sia dato vedere in città e non solo. Il Parlamento birmano per dimensioni fa impallidire Versailles e ridicolizza il Congresso americano. Peccato non si possa assolutamente sostare davanti e un terzo dei suoi rappresentanti non siano stati eletti nelle elezioni di questi giorni, ma scelti tra le fila dei militari. A parte questo ha una cancellata di ferro battuto istoriato lunga chilometri. Tra ingresso e palazzo si trova un fossato largo cento metri, tutto intorno un giardino immenso. Davanti passa una strada a 10 corsie per senso di marcia. Pare che sia stata costruita per far atterrare piccoli aerei in caso di necessità. Anche questa strada è vuota.
I ROMANZI DI ORWELL
Speravano, i birmani, di aver finito di vivere nel Paese di Orwell. E invece, dal 1 febbraio 2021, sono tornati indietro di dieci anni. Un altro colpo di Stato, un altro militare al potere, un'altra volta Aung San Suu Kye agli arresti. Solo che questa volta non è nella sua villa sul lago Inya, a Yangoon, dove ha passato oltre vent'anni, ma qui, nella vuota capitale dove cercava di guidare la transizione verso la democrazia.