Il danno e la beffa. Gli Stati Uniti hanno consolidato una strana idea dell’economia circolare, almeno per quanto riguarda la plastica. La globalizzazione vista oltreoceano ha infatti messo a sistema il processo secondo cui le grandi multinazionali esternalizzano il riciclaggio della plastica nei Paesi in via di sviluppo. Intanto il 5 novembre gli Stati Uniti di Trump sono stati il ​​primo Paese ad uscire ufficialmente dall’accordo di Parigi sul clima. Una decisione che si rende operativa dopo tre anni di attesa, proprio quando si stavano contando le ultime schede elettorali delle elezioni presidenziali 2020. In cauda venenum.
Speriamo che la prossima presidenza degli Stati Uniti d’America metta fine a questa politica, ma intanto si fa la conta dei danni. “The United States’ contribution of plastic waste to land and ocean" è lo studio pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori statunitensi in cui si spiega che gli Stati Uniti, anche se rappresentano solo il 4% della popolazione mondiale, nel 2016 hanno prodotto il 17% di tutti i rifiuti di plastica del mondo. In media, gli americani hanno prodotto pro capite quasi il doppio dei rifiuti di plastica di un cittadino dell’Unione europea.
Uno degli autori, Nick Mallos, direttore senior del programma Trash Free Seas® di Ocean Conservancy, spiega che "gli Stati Uniti producono la maggior parte dei rifiuti di plastica di qualsiasi altro Paese al mondo, ma invece di guardare il problema in faccia, esternalizzano il riciclaggio ai Paesi in via di sviluppo diventando tra i principali contributori alla crisi della plastica oceanica. La soluzione  - contnua Mallos - deve iniziare a casa. Dobbiamo crearne meno, eliminando le plastiche monouso non necessarie; dobbiamo produrre meglio, sviluppando nuovi modi innovativi per imballare e consegnare le merci e, dove la plastica è inevitabile, dobbiamo migliorare drasticamente i nostri tassi di riciclaggio".
PIÙ DELLA META DEI RIFIUTI DI PLASTICA "ESPORTATI" IN PAESI IN VIA DI SVILUPPO
Utilizzando i dati sulla produzione di rifiuti di plastica del 2016 – gli ultimi numeri disponibili – gli scienziati di Sea Education Association, DSM Environmental Services, Università della Georgia e Ocean Conservancy hanno calcolato che "più della metà di tutta la plastica raccolta per il riciclaggio (1,99 milioni di tonnellate metriche delle 3,91 milioni tonnellate metriche raccolte) negli Stati Uniti è stata spedita all’estero. Di questo, l’88% delle esportazioni è andato in Paesi che faticano a gestire, riciclare o smaltire efficacemente la plastica e tra il 15 e il 25% era di scarso valore o contaminato, il che significa che, in realtà, era non riciclabile". I ricercatori hanno calcolato che fino a 1 milione di tonnellate di rifiuti di plastica prodotte negli Usa hanno finito per inquinare l’ambiente all’estero.
La recente pubblicazione apre un deciso contraddittorio con la diffusa convinzione che gli Usa stiano smaltendo, riciclando e contenendo i loro rifiuti di plastica. La posizione governativa si appoggiava perlopiù su “Plastic waste inputs from land into the ocean”, pubblicato nel 2015 su Science da ricercatori statunitensi e australiani. Ma i risultati della ricerca difettavano per aver ignorato una variabile fondamentale: i dati erano del 2010 e non tenevano conto delle esportazioni di rifiuti di plastica. Un dettaglio che aveva permesso di classificare gli States solo al 20esimo posto al mondo per “inquinamento da plastica degli oceani causato da rifiuti mal gestiti” . 
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Greenpeace Usa rincara la dose denunciando che "lo studio del 2015 è stato ingannevolmente utilizzato dall’industria e dai governi per affermare che una manciata di fiumi in Asia sono i principali responsabili della crisi dell’inquinamento da plastica, nonostante il fatto che molte compagnie statunitensi vendano prodotti di plastica all’estero e che il Nord del mondo invii molti dei suoi rifiuti di plastica a questi Paesi». Oltre la scienza e la politica, arriva poi il senso di responsabilità individuale, la necessità di imparare a relazionarci con l’ambiente come fossimo parte del tutto e non come se l'uomo sia la prima delle parti in causa.
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