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Argini di pietre che delimitano i terreni, permettono coltivazioni in terrazzamenti, dividono proprietà e proteggono le coltivazioni dai pascoli abusivi. L’arte del muretto a secco ha origini antichissime. Pensiamo che in Italia i Messapi li utilizzavano in Salento già dal I millennio prima di Cristo. E che costruirli fosse un lavoro che richiedesse una perizia fuori dal Comune lo testimonia la consuetudine di tramandare da padre in figlio le tecniche per approcciare il taglio e la sovrapposizione delle pietre.
A sancire definitivamente il valore universale di questa pratica antica è l’Unesco, che iscrive "L'Arte dei muretti a secco nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell'umanità. Proprio ieri l’Unesco si è congratulata ufficialmente con gli otto Paesi europei che hanno presentato la candidatura oltre all'Italia: Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera.
"L'arte del “Dry stone walling” riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassandole sull'altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra secca", spiega l'Unesco nella motivazione del provvedimento - Le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l'ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l'uomo e la natura.
La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l'applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo in cui viene utilizzata” sottolinea l’organizzazione internazionale. “I muri a secco – conclude l’Unesco - svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l'erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l'agricoltura".
In Puglia, i Messapi già nel I secolo a.C. costruivano muri a secco / foto Getty Images
"Ancora una volta i valori dell'agricoltura sono riconosciuti come parte integrante del patrimonio culturale dei popoli", cosi' commenta Gian Marco Centinaio, alla guida del Ministero delle politiche agricole alimentari, che insieme a MAECI e con la Commissione nazionale Unesco, ha avanzato la candidatura. La decisione è stata approvata all'unanimità dai 24 Stati membri del Comitato, riuniti a Port Louis. È la seconda volta, dopo la pratica tradizionale della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, che viene attribuito questo riconoscimento a una pratica agricola e rurale.
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