Sul dizionario Treccani alla voce SANTUARIO si legge: “Luogo che ha acquistato carattere sacro per la manifestazione o la presenza in esso della divinità, o perché connesso a eventi e fenomeni considerati soprannaturali”. Ieri, 20 maggio 2017, la 14a tappa del Giro d'Italia ha tirato una linea a unire due santuari: Castellania e Oropa. Nel primo da 57 anni si tramanda la memoria laica del grande Fausto; nel secondo si venera il simulacro della Madonna nera, meta di pellegrinaggi fin dall'inizio del Trecento.
IL GIRO SI SDRAIA SULLA COLLINA
Il comune di Castellania ha meno di cento residenti, per lo più sparsi tra frazioni e cascine. Ieri mattina, le strade che portavano dalla valle Scrivia, dalla valle Ossona, dalla val Grue fin sui greppi e i costoni, i prati e le vigne dei Colli tortonesi si sono riempite di sole e di gente, almeno cento, duecento volte il numero degli sparuti residenti castellanesi.
“Tutto quello che volevo era solo una collina dove sdraiarmi” sembra dire il Giro a Castellania, le stesse parole che pronuncia Horace Benbow nel romanzo di William Faulkner che, guarda caso, si intitola Santuario.
Anche per quelli che si chiamano come il signor Fausto, il Giro quest'anno ha scelto di partire da Casa Coppi, dal cortile dove Fausto e Serse legavano la cavalla al carro d'estate o sparavano d'inverno ai passeri; dal piccolo cimitero di san Biagio un po' fuori dal borgo, da dove Serse e Fausto, da postumi, hanno fatto l'ultima tappa insieme per andare ad abitare per sempre nel monumento, triste come un obbligato omaggio al realismo socialista, dietro la chiesa del borgo.
Il silenzio perduto della bicicletta. “È lo sport-business, bellezza!”. Una voce di dentro mi dice di non fare il vecchio barbogio.
IL SILENZIO DI MATTEO MONTAGUTI
Il vecchio barbogio gira intorno alle transenne, alle aree “riservate”, le “hospitality” che hanno i nomi, dati un po' a caso, sparando nel mucchio dei numi del Belpaese; Michelangelo, Dante, Raffaello, Leonardo, Caravaggio, Verdi, Puccini. Qualche corridore – alcuni con la faccia e il fisico da adolescenti - va in cerca di un po' d'ombra sui gradini della chiesa. I tifosi cercano di riconoscerli girando intorno per leggere il nome sul dorsale. Poi li chiamano per un selfie. Quasi tutti accettano.
Da Castellania a Oropa, dagli Appennini tortonesi alle Prealpi biellesi, il Giro tende una corda molle tra due balconi. Dopo Tortona – che venerdì pomeriggio come una grande torta rosa è stata tagliata dalla lama veloce di don Fernando, tanto per smentire chi alludeva che il caballero colombiano vincesse solo nei capoluoghi... – la corda lenta si ammolla nelle risaie della Lomellina e del Vercellese, dove la pianura diventa lo specchio del cielo. Poi, verso Biella, la strada ritrova un po' di pendenza, fino a diventare salita.
In macchina ho messo un cd di canzoni sulla bicicletta. C'è l'allegria di Bartali di Paolo Conte e quel romanzo in miniatura che è Diavolo rosso, la filastrocca rockmelody di Bicycle race, la ballata quasi dylaniana del Bandito e il campione. Poi arriva, a tradimento, la canzone degli Stadio, e mi viene uno stranguglione:
perché prima o poi ci sono brutti momenti.
Non so neppure se ero un pirata
strappavo la vita col cuore e coi denti”.
“Rimbalzano le notizie. Dicono che non ha voglia, che non prende fiato, che il tempo passa, il percorso per recuperare si accorcia. I gregari lo sostengono, ma è lui che non trova il ritmo. D’altra parte Pantani in salita non è uno da ritmo. È uno da fatica, da muscoli, da nervi, dall’andatura irregolare, scomposta... Poi arrivano altre notizie. Dicono che è scattato quasi all’improvviso, che va avanti, che aumenta la velocità, la potenza, che raggiunge i primi. E anche a me aumenta il ritmo cardiaco, perché la corsa è l’unica cosa a cui riesco a pensare. È come se fosse diventata la mia sola ragione di vita. Allora prego Maria, la Madonna Nera del santuario, le domando di dare forza al Pirata. So bene che è una stupidaggine, che alla Vergine andrebbero affidati i poveri, i bisognosi, i malati, le anime in pena, non i ciclisti.
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