Mi risveglio in faccia a Montalcino. Lo vedo da lontano, austero, sulla cresta del suo colle. Un po’ più a sinistra il profilo poderoso dell’Amiata. La pioggia di ieri sera alza un lenzuolo di nebbia dal fondovalle. Tutto sembra sospeso sopra una nuvola. La fattoria di Pieve a Salti, dove abbiamo dormito, è un balcone sul paradiso. Sarà anche per questo che ciclisti e cicloturisti di buona parte del mondo ormai la conoscono come l’ideale buen retiro delle loro esplorazioni a due ruote tra Crete e Val d’Orcia.
Cento anni fa, il 18 febbraio 2021, a Sesto Fiorentino nasceva Alfredo Martini. Oggi il Giro d’Italia, nella tappa, quasi interamente toscana, che parte da Siena e arriva a Bagno di Romagna, dopo aver toccato Ponte a Ema, paese natale di Gino Bartali, alle porte di Firenze, passerà davanti alla sua casa di Sesto, in via Giusti, 7, per rendergli omaggio.
Per chi conosce il ciclismo, il nome di Alfredo Martini è un segno di riconoscimento. Non soltanto perché, da corridore, ha fatto parte di quella irripetibile stagione d’oro del ciclismo italiano, quella del secondo dopoguerra, e dei duelli tra Coppi e Bartali, e del terzo uomo (e incomodo), Fiorenzo Magni, dei quali Martini fu compagno, avversario ma soprattutto amico. E forse neppure basterebbe la sua lunga e fortunata carriera da commissario tecnico della Nazionale di ciclismo – 22 anni e sei titoli iridati conquistati sotto la sua saggia regia – a giustificare l’affetto e la stima che la stragrande maggioranza degli appassionati delle due ruote gli tributava in vita e il culto che adesso, a sette anni dalla sua scomparsa, continua a tributargli. Alfredo Martini infatti è stato molto di più di un uomo di sport. Per tutti quelli che lo hanno conosciuto bene o anche hanno avuto soltanto l’occasione di venire a contatto col suo pensiero e la sua parola, Martini, attraverso la sua vita dedicata allo sport, è stato un luminoso esempio di etica del lavoro.
Alfredo Martini nel 1957 - foto Wikipedia Commons
SESTO FIORENTINO, CAPITALE OPERAIA
Non poteva che essere così, del resto. Alfredo nasce in un luogo in cui il lavoro, e la sua cultura, hanno un ruolo fondamentale nella formazione umana di un individuo. Sesto Fiorentino è una delle “capitali operaie” del Novecento, cresciuta intorno, fin dagli ultimi decenni del secolo precedente, alla storica fabbrica di ceramiche della Richard Ginori. Ho chiesto di raccontarmi la storia di questo luogo, e di come esso si interseca con la vicenda di uomo e di ciclista di Alfredo Martini, a Franco Quercioli, scrittore fiorentino, che spesso nelle sue narrazioni ha intrecciato, con originalità e passione, la storia del Novecento e i ritratti delle grandi leggende del ciclismo.
«La mia famiglia paterna era di Sesto Fiorentino. Mio padre, Vinicio, è nato a Sesto nel 1908. Una sorella di mio padre, zia Maria, ha fatto per tutta la vita l’operaia alla Richard Ginori. Sesto è la città della ceramica e della porcellana, la fabbrica ha dato lavoro a gran parte dei sestesi e quell’ambiente ne ha formato il carattere, e col carattere la cultura sociale e politica. Anche il babbo di Alfredo, Pietro, era un operaio della Richard Ginori. Lavorava al forno: era un lavoro durissimo, massacrante per intensità e durata dell’impegno e che spesso provocava gravi problemi di salute a causa della silicosi. Ma era anche un lavoro di grande abilità tecnica: gli addetti al forno dovevano essere in grado di calcolare al minuto secondo i tempi di cottura della ceramica. Dentro la fabbrica si specializzavano straordinarie competenze tecniche che spesso erano anche la base di una cultura del lavoro e di una consapevolezza politica. Le lavorazioni successive ai forni era quasi sempre affidata a donne. Erano moltissime le donne di Sesto che lavoravano in fabbrica: mia zia ci entrò a dodici anni, a metà anni Venti, e ci restò fino a sessant’anni».
A Sesto, dunque, e dentro e intorno alla Richard Ginori, si può dire che si sia formata buona parte della classe operaia fiorentina. C’era anche un mondo di botteghe artigiane che girava intorno alla produzione industriale: era coloro a cui veniva affidata la realizzazione dei modelli, al tornio oppure anche a mano, degli oggetti da cui poi si ricavavano i calchi per la produzione in serie. Al sapere tecnico del fare si abbinava anche una sensibilità artistica, ideativa, estetica: «Anche il marito di mia zia Maria, Guido, lavorava in un’altra fabbrica di ceramiche del posto. Da lui ho imparato il senso della cultura del lavoro e mi ha anche insegnato il valore della parola e dell’ascolto. Questi per me erano ricordi lontani, d’infanzia. Ma che ho sorprendentemente riscoperto quando mi sono avvicinato ad Alfredo Martini».
Il Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia (al momento chiuso) - foto amicididoccia.it
Franco Quercioli, in occasione dei Campionati del mondo di ciclismo, che si sono svolti a Firenze nel 2013, ha curato una bella mostra allestita in quel settembre a Palazzo Medici Riccardi, Gli azzurri di Alfredo, dedicata agli anni e ai successi di Martini come commissario tecnico. Si erano conosciuti già anni prima, quando Quercioli scrisse una sua personalissima riscrittura della rivalità-amicizia tra Bartali e Coppi, che poi è diventata Gino e Fausto. Una storia italiana. Da quella frequentazione, ripetuta negli anni, l’anno scorso, in vista del centenario di Martini, Quercioli ha pubblicato un piccolo, prezioso libretto, che racconta, proprio attraverso la figura di Alfredo, e le sue parole e anche i suoi silenzi, quel particolare contesto sociale e culturale di Sesto Fiorentino nella storia del Novecento.
«Nei miei incontri con Alfredo ho riscoperto la cultura del lavoro di Sesto, da cui lui stesso nasce. Sesto è tra i primi comuni, già a fine Ottocento, ad avere un’amministrazione socialista. Alfredo e la sua famiglia nascono da qui, da questa civiltà in cui la parola prende il suo valore nella misura in cui è circondata dal silenzio, un silenzio attivo, di attenzione, di ascolto. È un modo di comunicare che appartiene alla storia del lavoro, dove non si ha tempo di sprecare parole per riempire i silenzi. E dove i silenzi sono importanti tanto quanto le parole, con il loro senso, il loro peso. Quando ero ragazzo, ed ero studente alla magistrali, tutte le volte che incontravo mio zio Guido, operaio, mi colpiva quel suo modo di stare con me, di accogliermi, di ascoltarmi in silenzio e poi di dire poche, ma sempre significative parole. Lo stesso modo di relazionarsi con gli altri l’ho ritrovato in Alfredo. Credo che questo sia anche il linguaggio della solidarietà, della disponibilità all’altro, che poi sono in fondamenti del socialismo. Ed era una cultura acquisita nella lunga presenza in fabbrica».
Prima di scoprire la strada del professionismo ciclistico, anche Martini fa un’esperienza di fabbrica. «Il padre di Alfredo non voleva però il figlio facesse un lavoro duro come il suo. Fece di tutto perché Alfredo diventasse operaio metalmeccanico. Nel mondo operaio c’erano allora delle gerarchie di valore ben definite: e il metalmeccanico, in quella cultura di primo Novecento, era l’aristocrazia operaia: fresa, tornio e calibro erano strumenti quasi “intellettuali” all’interno di quel mondo. Il giovane Alfredo entrò nella Pignone, a Firenze Rifredi. Ci lavora come apprendista, prima alle fonderie e poi alle officine meccaniche. Ci andava in bicicletta. E per lui, che già pedalava forte, era uno scherzo andare e venire da Sesto...».
La Pieve di San Martino a Sesto Fiorentino - foto Wikipedia Commons
LE STRADE DELLA RESISTENZA
La bicicletta, appunto. Allora seguiamo anche noi le strade che oggi percorreranno i “girini”, e che sono le strade che faceva Martini, come operaio, poi come corridore ciclista – quando, a diciassette anni, scoprì che il pedalare poteva diventare per lui un mestiere più redditizio della fabbrica – e, durante gli anni più crudi della Seconda guerra mondiale, il 1944 e il 1945, come partigiano. «Oggi il Giro fa un percorso bellissimo, anche proprio per questo motivo: correrà sulle strade della Resistenza fiorentina. Una volta passati da via Giusti 7, dove abitava Alfredo, e attraversato il centro, da piazza Ginori si sale subito verso la collina. Ma si passa davanti alla sede originaria della Ginori, quella della Manifattura di Doccia. Oggi il palazzo ospita la Biblioteca Civica Ragionieri. Poi si sale ancora, e dopo un tratto a mezza costa si arriva a Monte Morello, in bella posizione panoramica. Ma Monte Morello ha una ruolo particolare nella storia partigiana».
È da queste parti infatti che Alfredo Martini svolge la sua attività di appoggio alla Resistenza, di cui tutti sapevano ma che lui non amava particolarmente rievocare. «Alfredo probabilmente non imbracciò mai un fucile, ma con la sua bicicletta, che era diventato il suo strumento di lavoro, si mise al servizio delle organizzazioni partigiane locali. Faceva la staffetta in bici. Trasportava viveri, indumenti alle brigate partigiane che su questi monti si erano rifugiate per organizzare la lotta di Resistenza. Qui sopra, a Monte Morello, da Firenze, da Sesto, da Campi Bisenzio, da altri centri delle pianura arrivarono le prime formazioni già nell’ottobre del 1943. Qui in uno scontro con i fascisti cadde la prima vittima della guerra civile: Giovanni Checcucci, operaio fiorentino dell’Isolotto, fu tra i primi a salire in montagna, qui a Monte Morello e morì il 13 ottobre del 1943».
La vista dal Monte Morello - foto visittuscany.it
La corsa continua da Monte Morello verso il Mugello: si entra nel comune di Vaglia, per le frazioni di Montorsoli e Pratolino, dove si sfiora Villa Demidoff, quel che resta di una grande villa Medicea. Oltre Vetta alle Croci si piega verso l’Arno, che si raggiunge in località Le Sieci. «Qui sopra, a Monte Giovi, avviene un altro fatto importante della Resistenza fiorentina. È qui che intorno al comandante Aligi Barducci, nome di battaglia Potente, si radunano e si organizzano le brigate partigiane, oltre 1500 uomini, che il 4 agosto 1944 entreranno in Firenze per liberare la città, insieme alle truppe dell’VIII Armata del generale Alexander».
È passata molta acqua sotto i ponti, da quei giorni e quegli anni, e si sono corsi decine e decine di Giri d’Italia. Si sono attraversate le stagioni del dopoguerra e della ricostruzione, quelle di Coppi e Bartali simboli di un’Italia che rinasceva; e poi quelle del raggiunto benessere collettivo degli italiani e quelle di nuove conquiste sociali; gli anni delle aspre contese politiche e quelli grigi e bui della Repubblica messa sotto scacco dal terrorismo; quindi la presunta fine delle cosiddette contrapposizioni ideologiche. Alfredo Martini, con discrezione, ma soprattutto con lealtà e rispetto, valori sportivi fecondati dalla sua formazione operaia, non ha mai rinunciato a schierarsi: «Alfredo era un uomo di sinistra, di una sinistra novecentesca, quella che fondava prima di tutto la sua identità sulla solidarietà e la giustizia sociale – continua Quercioli – . Teneva nell’ultima pagina della sua agenda, quella su cui annotava tutto, una foto. Non c’era bisogno di spiegare il perché: era la foto di Enrico Berlinguer. Una faccia, un’idea. Alfredo è stato di sinistra fino in fondo: quando inaugurò la mostra del 2013 a palazzo Medici Riccardi, era già un po’ acciaccato e mandò un messaggio, scritto. Era un sorprendente messaggio di fiducia nel coraggio dei giovani e dell’esortazione a riprendersi la politica per un mondo che costruisse davvero una nuova pace, a dispetto di chi sembrava aver dimenticato il secolo da cui si proveniva e quello che aveva insegnato con le sue storture e tragedie. Detto da lui, novantenne, fu un messaggio di grande potenza e speranza».
Oggi è come se il Giro ripercorresse gli stessi luoghi che hanno segnato la guerra di Liberazione di una parte importante d’Italia, e lo facesse unendo la memoria di due grandi nomi del ciclismo, e della storia nazionale, come Alfredo Martini e Gino Bartali.
Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa.
I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.