Giorgione - foto Francesco Vignali
«Prima di approdare a metà anni Novanta in Umbria, ho peregrinato a lungo per l’Italia. Ho una formazione legata al mondo dell’agricoltura: ho fatto l’istituto di agraria e poi mi sono iscritto a veterinaria, ma senza terminare gli studi. Da sempre però i miei interessi – o almeno una parte cospicua dei miei interessi e delle mie attività – erano legati alla terra, ai prodotti dell’agroalimentare. In Umbria ci sono arrivato per affiancare mio suocero nella sua azienda agricola vitivinicola; poi un amico mi ha chiesto di dargli una mano nei suoi poderi a uliveto. E tutto è cominciato così. In particolare nel campo dell’olio, ho un po’ sparigliato le carte della consuetudine. Per tradizione la raccolta delle olive, qui e altrove, è sempre iniziata dopo le feste dei morti, a inizio novembre. Il calendario agricolo era scandito dalla vendemmia. Solo dopo si pensava alle olive. Ho introdotto una piccola rivoluzione dimostrando che già a fine settembre le olive sono pronte per essere raccolte e mandate al frantoio. Da lì ho iniziato una lunga campagna di conoscenza e di valorizzazione del prodotto olio, che dura tuttora, che ha fatto passi avanti ma che è ancora molto lontana dal dare i suoi frutti più compiuti. Quello che da un po’ di anni diamo per acquisito in materia di divulgazione della cultura del vino, è ancora molto al di là da essere percepito e praticato per quel che riguarda l’olio. Tutti ormai sanno quali sono, almeno nei principi di base, gli abbinamenti tra vino e cibo. Pochi sanno invece che l’olio non è in Italia tutto uguale. Abbiamo 590 varietà di olive da olio, tutte diverse, per intensità di aromi e sapori, per caratteristiche organolettiche e che quindi danno origine, o possono dare origine, se lavorate con criterio e qualità, a innumerevoli varianti di prodotto. Ad esempio, qui davanti a Montefalco, nella collina che va da Assisi a Spoleto, ci sono alcuni dei migliori oliveti d’Italia che producono il Molaiolo, un olio amaro e piccante, con un fruttato intensissimo, ma che non si mette su una spigola al vapore. Per ogni piatto ci vorrebbe il suo olio, così come ogni vino si sposta idealmente a una pietanza».
La campagna umbra - foto Getty Images
Giorgione svolge una funzione culturale di grande responsabilità. Grazie allo strumento della televisione, così potente e per questo così “pericoloso” nel formare e nell’informare, fa un lavoro molto simile a quello che secoli fa, alle origini della lingua e della letteratura italiana, tra Due e Trecento, proprio da queste parti, tra Toscana e Umbria, facevano i cosiddetti “volgarizzatori”: ovvero quegli scrittori che traducevano dal latino, all’epoca la sola lingua della cultura, o magari dal francese, lingua già affermata in una nazione già compiuta, i testi di storia, di filosofia, ma anche i manuali tecnici del fare – dall’architettura alla storia, dall’arte retorica a quella culinaria – avendo il merito di aprire le conoscenze, e la sensibilità, di chi non poteva aver accesso facilmente al sancta sanctorum del sapere. Come un Bono Giamboni, volgarizzatore toscano di fine Duecento, autore di un trattato su I Vizi e le Virtù – nonché nome assai in sintonia coi nostri argomenti di oggi – , il buon Giorgione, nella sua schiettezza un po’ rude, è stato talvolta fatto bersaglio di qualche critica saccente e, forse, un po’ suscettibile di tanto successo popolare.
Montefalco - foto Getty Images
Giorgione nel 2006 apre un ristorante, Alla via di mezzo, a Montefalco. Il principio è la freschezza, l’autenticità dei prodotti e dei piatti che li compongono. «Mi sono scoperto ristoratore combinando due aspetti che hanno sempre contraddistinto il mio carattere, anche quando mi occupavo d’altro: la curiosità e la convivialità. Da viandante del gusto, sono sempre andato alla ricerca delle storie e delle persone che stavano dietro ai prodotti, ai cibi, ai piatti, per tutta Italia, dalla val Pusteria, dove andavo da ragazzo in vacanza, alla Puglia. Ho fatto chissà quanti “Giri d’Italia” per cercare un cibo, un vino, un olio, un formaggio, una verdura tipica. Per conoscere da che storia proveniva e per poi saperla raccontare quando la servivo in cucina. L’industria ha cambiato pelle all’agricoltura, ha cancellato le storie che fanno nascere i prodotti. Perché il gusto di una cosa non è soltanto quello che metti in bocca, ma conoscere da dove viene, e perché ha quel sapore, quell’identità. La soddisfazione è quella di trasformare la materia prima in cibo: per questo devi avere grande rispetto dei prodotti primari. L’alimentazione dovrebbe avere un’importanza primaria, perché è il mondo che noi mettiamo dentro al nostro corpo. Le cose buone dovrebbero farci sentire più felici, e invece vediamo che nelle farmacie ci sono scaffali e scaffali di integratori. Se “integri” significa che manca qualcosa. Ma la cosa che manca più di tutte è il tempo. Il tempo da dedicare a noi stessi quando ci prepariamo da mangiare. È un’educazione che dovremmo portarti fin dall’infanzia».
E quale è il rimedio a tutto questo? «Tornare ad avere un contatto diretto con la terra. Certo, non è semplice per tutti. So che in molti contesti questo è difficile da praticare. Ma la sensibilizzazione per l’attenzione a ciò che si mangia sta aumentando in una larga fascia di persone. L’Umbria, in questo, è un modello da seguire. Qui l’uomo ha fatto meno danni che altrove. Ed è un gran bel vivere. Questa è l’altra dimensione che, credo, contraddistingue il mio lavoro: quello della convivialità. Cibo è convivialità, è scambio di conoscenze, è il momento in cui intorno a un tavolo si costruiscono le relazioni e i sentimenti, quelli familiari, quotidiani, ma anche quelli che fondano l’amicizia e, a volte, anche gli incontri occasionali della vita. La convivialità è il parlare di sé e degli altri».
La campagna umbra - foto Getty Images
Ho chiesto a Giorgione che cosa vorrebbe far conoscere, parlando e invitandolo intorno a una tavola, a un viandante del Giro d’Italia, se volesse mostrargli l’essenza, lo spirito di questo territorio: «Partiamo da qui, dalla parola “norcino”, che deriva da Norcia. L’arte del fare i salumi nasce qui. La cultura del salume in Umbria è infinita e ha varianti innumerevoli: il salame, il prosciutto, la salsiccia, il mazzafegato... ogni angolo ha una sua tradizione, una sua peculiarità. E questa è una ricchezza impagabile. Ma questo lo puoi dire anche di altri prodotti, come l’olio, il vino, i formaggi. Per quanto piccola l’Umbria ha degli areali diversissimi tra loro. E tutto parte dalla qualità della materia alle origini: i maiali allevati bradi, nei boschi. La demonizzazione del “grasso” come veleno ha fatto danni enormi nell’alimentazione. Un salume senza grasso non ha sapore, è il grasso armonizza il gusto, gli aromi profumi. Ma il salume è solo una piccola parte del patrimonio ricchissimo di “cose buone” che l’Umbria offre: la carne chianina, il sedano di Trevi, la cipolla di Cannara...».
Salumi di Norcia - foto Getty Images
Il successo di Giorgione in TV è un po’ come il Giro d’Italia che solo nel nostro Bel paese ha ragione di esistere. Non c’è non diciamo regione o provincia, ma anche borgo, contrada, addirittura rione che non abbia la sua specificità, un po’ come nei mille idiomi italiani, in un prodotto o in un piatto suo proprio. «Prendi ad esempio il brodetto adriatico: da Grado a Termoli non trovi una zuppa di pesce uguale all’altra. E se non è ricchezza questa “gastrobiodiversità” che cos’è, altrimenti? La curiosità e la voglia di condividere, e non diffidenza, ci porta ad apprezzare la diversità nel cibo. E in questo senso un’educazione alimentare corretta e aperta alla conoscenza può funzionare bene come modello per relazionarsi con le differenze che ormai sono esperienza quotidiana del nostro vivere civile contemporaneo. C’è da lavorare ancora molto in materia di cultura alimentare, ma questa è la strada del futuro. Imparare a conoscere quello che mettiamo dentro ai nostri corpi, oltre a essere doveroso per il rispetto della nostra stessa salute è un insegnamento che ci renderà più ricchi».
Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa.
I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.