È un progetto, quello del Treno delle Dolomiti, che trova in questi giorni nuovo vento nelle vele grazie all’affermarsi della candidatura – in chiave di sostenibilità ambientale – di Milano e Cortina per le Olimpiadi invernali del 2026. Che cosa c’è di più ecocompatibile di un treno per garantire un afflusso a basso impatto ambientale verso il comprensorio tutelato Unesco delle Dolomiti per atleti, staff e spettatori delle gare olimpiche in programma a Cortina d’Ampezzo?
Un’idea che, prima di tutto, parte dalla rinuncia alla riattivazione della storica Ferrovia delle Dolomiti Calalzo-Cortina-Dobbiaco, pensionata nel 1964: tracciato e servizio erano, in effetti, quelli di una tramvia, incompatibili con gli standard di sicurezza attuali. E oggi per gran parte del percorso i binari sono sostituiti da una ciclabile. Ma i tempi per costruire una nuova, moderna, linea ferroviaria Calalzo-Cortina ci sono, sebbene renderne i cantieri compatibili con il delicato ambiente circostante sia già di per sé una sfida.
Un convoglio della Ferrovia delle Dolomiti (1960 ca.)
GLI ESEMPI ESISTENTI E LE RICHIESTE UNESCO
Pochi mesi fa il progetto per il prolungamento Calalzo-Cortina si era arenato sui costi infrastrutturali per l’alimentazione elettrica della nuova tratta. Il successo dei test in Germania dei convogli con alimentazione a idrogeno, gemelli di quelli a trazione elettrica utilizzati sulle linee dell’Alto Adige, potrebbe segnare una svolta importante. Facendo della nuova linea anche una passerella della innovazione tecnologica in chiave sostenibile.
A soffiare nelle vele del progetto ferroviario c’è il successo conseguito dalla vicina provincia di Bolzano: la riattivazione delle linee della Venosta (Bolzano-Merano-Malles) e della Pusteria (San Candido-Brunico-Bressanone), lasciate languire per decenni come “rami secchi” dalle Ferrovie dello Stato, le ha trasformate in una metropolitana regionale che ha cambiato la mobilità locale, apprezzata sia dalla popolazione sia dai turisti. Al punto che sono in corso investimenti per far fronte all’aumento del numero dei passeggeri con l’elettrificazione del tratto terminale in Venosta e la nuova “bretella” di inserimento nella linea del Brennero a Bressanone.
L’Unesco lo sottolinea dal primo giorno che ha “laureato” le Dolomiti, inserendole nell’elenco dei beni tutelati: le amministrazioni locali devono ridurre il traffico automobilistico che assedia il comprensorio dolomitico. Il sogno sarebbe quello di importare il “modello Zermatt” località turistica elvetica chiusa alle auto e raggiungibile solo in treno. Un esempio forse troppo elitario, ma secondo alcuni la soluzione potrebbe essere quella del nuovo Treno delle Dolomiti che, attraverso val Badia e val Gardena, collegasse Cortina a Bolzano, stazione chiave del futuro asse ad alta velocità del Brennero, una volta che il completamento del tunnel (nel 2026 appunto?) verso l’Austria cancellerà dagli orari dei treni a lunga percorrenza in arrivo dalla Germania le fermate di Fortezza e Bressanone.
Un treno dell'attuale servizio di metropolitana regionale in val Pusteria
UN TRENINO VERDE?
C’è già chi chiama il Treno delle Dolomiti “trenino verde”, in contrapposizione a quello del Bernina. E c’è già un ingegnere autorevole, Helmuth Moroder, padre della rinascita delle linee di Pusteria e Venosta, che ha elaborato un tracciato di massima di 85 chilometri per la cremagliera Bolzano-Cortina.
Si partirebbe dal capoluogo per salire all’altopiano dello Sciliar, attraversare la val Gardena, salire a passo Gardena, percorrere la parte alta della Val Badia e la Valparola per sbucare al Falzarego e scendere nella conca di Ampezzo a Cortina. Tempo di percorrenza dell’ordine di due ore, passeggeri potenziali almeno 8 milioni/anno, costo 1,6 miliardi. E una difficoltà extra: per evitare le palificazioni della rete elettrica si potrebbe puntare sull’alimentazione a idrogeno. Ma a oggi non esistono convogli di questo genere in grado di viaggiare a cremagliera.
I DUBBI SUL TRENO DELLE DOLOMITI
Naturalmente ci sono i dubbi. Prima di tutto bisogna ricordare i vincoli territoriali e paesaggistici: gran parte del tracciato si svolgerebbe in aree sia sotto tutela Unesco sia vincolate a parco naturale. Quindi il progetto richiederebbe un ampio dibattito e condivisione che pare difficile da condurre in tempi stretti come quelli che hanno orizzonte il 2026.
Per non parlare, ipotizzando un’opera realizzata al meglio possibile che ripristinasse in modo ideale ogni centimetro di territorio circostante, del rumore dei treni in transito che a opera finita andrebbe a disturbare la quiete di ambienti alpini di grande pregio. Una sfida ambientale tutta da valutare, dunque, più che un progetto.