Culla della civiltà ma anche epicentro di tragedie e guerre, la Siria torna periodicamente sulle pagine dei quotidiani tendenzialmente proprio quando le tragedie raggiungono picchi in cui la popolazione è la vittima di atrocità impossibili da ignorare. Ma in un flusso di informazioni costanti tutto pare essere fagocitato. Per questo un libro come “Mahmoud o l’innalzamento delle acque” dell’autore belga Antoine Wauters, edito da Neri Pozza, è quasi necessario per ricordarci e capire un po’ di più di un contesto che ci pare lontano ma invece è vicino affacciato com’è sullo stesso Mediterraneo che ben conosciamo. 
 
Abbiamo incontrato Wauters e gli abbiamo chiesto di raccontarci la genesi di un libro come questo, la storia di un uomo siriano, Mahmoud Elmachi, che ha perso tutto, ma non la memoria e la necessità di ricordare.
 
Come è nata l’idea di raccontare la storia di Mahmoud?
Il mio scopo è stato fin da subito dare una voce umana a una storia che altrimenti sarebbe rimasta solo in una fredda cronaca giornalistica. Il distacco è un po’ il male del nostro tempo. Vediamo, leggiamo, ma non riusciamo più a connetterci con le emozioni di chi soffre, ci sembra tutto lontano.
 
Perché ha scelto proprio quella storia?
Sono venuto a sapere di Mahmoud guardando un documentario della Bbc di Omar Amiralay che raccontava di quest’uomo siriano che ogni giorno prendeva la sua barchetta per remare su un lago creato da una diga che aveva sommerso il suo paese. Poi si tuffava forse per scorgere, nelle profondità, la sua casa, i suoi ricordi… Ho deciso di prendere la sua voce per raccontare, attraverso le sue parole, la storia della Siria, culla dell’umanità in qualche modo metaforicamente ricoperta dall’acqua del lago che nasconde il suo passato e cerca di dimenticarlo.
 
Il racconto è in versi. Una scelta non casuale…
Per leggere in versi bisogna lasciarsi andare e riconnettersi con le proprie emozioni. Ogni parola ha un peso e, anche nella traduzione, ho la sensazione che le mie parole prendano ulteriore vita. La lingua è materiale vivente, non ne temo la trasformazione, anzi.
 
Perché la Siria?
Dieci anni fa scrissi un libro sul Libano, altro luogo complesso al quale sono molto legato. Ho voluto puntare il mio obiettivo sulla Siria perché purtroppo non lo fa nessuno. C’è quasi un buco nero su questo Paese, pur essendo estremamente sensibile visto che molti siriani continuano a scappare in Europa. Per me era fondamentale raccontare quella storia anche per far capire ai lettori perché scappano e da che cosa. 
 
Un libro può fare la differenza?
Sono certo che un libro possa aiutare a riflettere meglio. Soprattutto se è un libro che parla di perdita. Tutti ne abbiamo avuto esperienza, sappiamo che sofferenze provoca, ci accomuna. Ho voluto provare a ricordare all’umanità la sua umanità, oltre quella che sembra essere oggi una geometria variabile degli aiuti. Non si possono fare classifiche con chi soffre e ha perso tutto.
 
In questi tempi si parla tanto di intelligenza artificiale. Sostituirà gli scrittori? 
Ci ho pensato molto e sono giunto alla conclusione che l’intelligenza artificiale riuscirà a scrivere poeticamente solo quando avrà imparato a soffrire come noi essere umani.