Leggendo un reportage di viaggio si cercano tante cose: avventura, passione, divertimento, empatia e verità. Non vuoi sapere vita, morte e miracoli di chi sta al potere, quelli si trovano sui libri di storia. Si cerca un racconto di prima mano di mondi lontani e diversi, zone periferiche che magari mai visiterai, ma che stuzzicano la fantasia e la voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, prima o poi non è detto che uno non decida di partire con un libro sotto braccio. Per questo abbiamo selezionato dieci reportage per dieci settimane. Dieci scoperte del mondo partendo dalle pagine di un libro letto a casa o, ancora meglio, in viaggio. Ecco la settima tappa.

Nell'anno in cui i turisti in giro per il mondo sfondano la barriera del miliardo la domanda di fondo è sempre quella: chi sono i veri viaggiatori oggi? I turisti appunto, che seguono itinerari tracciati dall'industria, si accodano alle mode del tutto compreso, della toccata e fuga, dello scatto fugace meglio se con se stessi in primo piano. Oppure gli esploratori che compiono imprese estreme con le loro attrezzature ipertecnoligiche e sponsorizzate, le telecamere al seguito, il viaggio preparato in ogni minimo dettaglio. O ancora i protagonisti di trasmissioni come Pechino Express che scimmiottano un viaggio senza soldi a uso e consumo delle telecamere e del divertimento serale. Forse nessuno di questi è un vero viaggiatore, ammesso poi che la categoria e la distinzione abbia qualche senso che non sia pura accademia.

 
Allora forse i veri viaggiatori di oggi sono soltanto quelli che lo fanno per dovere o per necessità. I camionisti lettoni che attraversano tutta l'Asia centrale per arrivare in Afghanista su strade che definire polverose è fare un complimento alla polvere. Oppure, ancor di più, le migliaia di migranti di ogni Paese che intraprendono incredibili avventure senza sapere dove arriveranno, quando arriveranno e soprattutto se arriveranno. Lasciano la Nigeria, il Camerun, ma anche il Bangladesh, il Messico, il Pakistan e attraversano savane e deserti, mari in calma piatta e montagne in tempesta. Vengono depredati, arrestati, malmenati. Si affidano a persone che non conoscono, salgono su treni merci, camion da trasporto, barconi improbabili che ogni tanto affondano. Si fermano alle periferia di città di cui non conoscono la lingua, la storia, la vita. Partono e basta. Con l'idea in testa che lì, in un qualunque altrove, la vita sarà meglio di quella che si sono lasciati in quel posto scomodo che chiamavano casa.
 
IL VIAGGIO DI FABRIZIO GATTI
Fabrizio Gatti, cronista dell'Espresso, anni fa ha deciso di fare quello stesso viaggio. Di seguire le rotte di chi parte da quella che una volta si chiamava l'Africa nera e di provare ad arrivare qui, da noi, a Lampedusa, e poi ancora oltre, in Italia, in Germania, ovunque. Lo ha fatto a più riprese: perché giustamente il dovere di ogni buon cronista e tornare a casa e raccontare, non diventare un altro eroe. Lo ha fatto inventandosi un'identità fittizia, cercando di diventare migrante anche lui, provando a essere uno dei tanti che tenta la scommessa della vita. Lo ha poi raccontato in un bel reportage Bilal. Viaggiare, lavorare, vivere da clandestini (Bur Rizzoli, pag. 492, 9,90 €) che è prima di tutto un gran bell'esempio di giornalismo e poi, a suo modo, anche un libro di viaggio. Un viaggio che ha un centro d'attrazione che si chiama Lampedusa. L''isola il cui nome oramai tutti conoscono: sia che si viva a Dakar che a Lagos, a Mogadiscio come Damasco.
 
DA DAKAR A LAMPEDUSA
Era il 2007 quando Gatti ha intrapreso il suo lungo viaggio partendo dal Senegal. In Libia c'era ancora il colonnello Gheddafi amico dei vari governi italiani, il Mali non era ancora per metà in mano alle milizie jiadiste e le primavere arabe erano là da venire. Il Mediterraneo era pattugliato ancora blandamente, Frontex era una sigla che non significava nulla. Solo i sogni di chi partiva erano gli stessi. I sogni di Joseph, James, Stephen, Daniel e di tutti gli altri che Fabrizio Gatti ha incontrato viaggiando in camion, in barca, a nuoto, attraverso Senegal, Mali, Niger, Libia, Tunisia. E poi in Italia, nei campi di pomodori del Tavoliere dove si sfruttano i migranti per 5 euro l'ora e nelle bidonville attorno alle nostre città. Perché ogni viaggio che si rispetti ha una destinazione e non sarebbe davvero concluso se non si sapesse cosa avviene una volta arrivati alla fine.
 
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