YANGON DAL FINESTRINOCosì dal finestrino capita di vedere monaci buddisti che oziano su una panca, o forse sono intenti a meditare; monache vestite di grigio chiaro che camminano con la ciotola in mano. E poi musulmani che si lavano i piedi prima di entrare in moschea e una miriade di donne e uomini che camminano, fanno acquisti, mangiano, contrattano, cucinano, discutono, dormono. In una parola, vivono. Tutto questo in un paesaggio dominato da banani da cui penzolano banane annerite; manghi senza frutto che l'inverno non è stagione; alberi rigogliosi e bambù altrettanto rigogliosi e bambù tagliati di fresco pronti a diventare impalcature per nuovi palazzi in costruzione. E poi qualche immenso, quieto, bayan – l'albero sotto cui Buddha ricevette l'illuminazione – alla cui ombra qualcuno cerca qualche forma di illuminazione terrena, o forse solo un po' di tregua dalla calura che cresce.
Sul treno, nel vagone che altrove si direbbe di prima classe ma qui è “soft”, ovvero con il sedile non in legno, oggi ci sono sei turisti, di cui una coppia di ragazze tedesche e due anziani americani che ogni trenta secondi esplodono in un “Amazing”. E poi due poliziotti senza altre armi che non siano l'autorità impressa dalla loro divisa grigia e blu, un controllore vestito con una camicia bianca e un longy verde, che controlla i biglietti (grandi e scritti a mano) ai sei stranieri, che a loro volta sono controllati dai poliziotti che vigilano perché non gli succeda nulla. Oltre a loro, nello stesso vagone una signora ben vestita che si sventola con un ventaglio, una famiglia che sorride per le fotografie, un uomo che dorme nascosto sotto il giornale e un anziano signore con la camicia bianca che si spulcia un orecchio e sbadiglia.
VIAGGIANDO A 10 KM L'ORA
Tutto questo mondo in movimento è animato da signore con i capelli corvini e le gote impiastricciate di polvere di un giallo pallido, quasi beige: polvere di sandalo usata per proteggersi dal sole, ma anche per bellezza. Una cipria ecologica e tradizionale, che non manca quasi mai sul volto delle donne birmane. Come non mancano i sorrisi, dispensati in abbondanza e con costanza. E non mancano neanche bracciali, collane e orecchini d'oro, che sono l'unica forma di risparmio concepita, considerato anche la frequenza con cui negli ultimi decenni le banche sono state chiuse e nazionalizzate. E non mancano mai per terra neanche i segni rossi del betel, la noce leggermente allucinogena che in Birmania quasi tutti masticano continuamente. Sputando quanto ruminato dove capita, lasciando ovunque queste macchie rosse che sembrano sangue rinsecchito. Macchie che adorno quegli stessi marciapiedi su cui vedi in attesa donne con l'ombrello avvolte in grosse giacche di lana e con il cappello in testa. Che in questi giorni è quasi inverno anche a Yangon, lo dice il calendario. Certo, ci sono 24 gradi, ma per queste terre fa quasi freddo. E poi se appesa al muro l'autorità dice che è inverno bisognerà pur crederci.Ora tutto questo forse finirà. Da qualche mese in città parlano di sostituire alcuni dei treni in servizio, che hanno l'età della ferrovia, quasi 60 anni, con delle nuove carrozze dotate di aria condizionata e porte automatiche. Sono importate, di seconda mano, dal Giappone. Ma con questi nuovi treni quasi moderni il biglietto aumenterà: per ora costa 100 kyat (meno di dieci centesimi) per chi usa i vagoni con le panche in legno e 200 kyats per chi usa quelli soft (gli stranieri pagano 4 dollari). Un problema per la maggior parte dei 90mila utenti quotidiani, persone che appartengono alle classi più povere di una città di per sé povera. Persone per cui il Circular train con suo rollare e stridere di metalli rappresenta di gran lunga il mezzo di trasporto meno caro per arrivare in centro. Persone che dalla finestra di casa, ogni giorno, tutto il giorno, vedono passare il treno che collega le viscere di Yangon.






