Pare che a inventarselo sia stato un ragazzo che di nome fa Marcelo e di cognome Armstrong. Come il primo uomo sulla Luna. E a suo modo anche Marcelo è un pioniere. Nel 1992 è stato lui ad avere l’idea dei Favela tour, passeggiate nelle favelas di Rio de Janeiro. Oggi le agenzie che lo organizzano sono una dozzina, anche se chiamarle agenzie non è del tutto corretto, sono più che altro associazioni che lavorano all’interno delle favelas e tra le altre cose fanno anche questi tour. Per circa 20 euro, si va dai 50 ai 100 reais, ti prendono in albergo e ti portano con un minivan ai piedi di Rocinha, la più grande (oltre 150mila abitanti) e famosa tre le 507 favelas di Rio.
Qui inizia il viaggio. Rigorosamente senza casco si viene accompagnati in moto fino alla cima della favela, che sorge aggrappata a una collina nera coperta di case precarie. Da qui si ridiscende attraverso la rua numero 1. Larga qualche metro al massimo è la via principale di Rocinha, scende per chilometri nel ventre della favela, attreverso case in cui guardi dentro, scoli di fognature, una marea di bambini, sacchi di spazzatura, bar improvvisati, piccoli negozi e trafficanti armati di Uzi che fanno il palo all’ingresso. Perché, questo è bene saperlo, le favelas sono in mano ai trafficanti e senza il loro benestare non si entra. O se si entra non si esce. E chiamare la polizia serve davvero a poco: qui non viene. Tappe del giro, che dura circa due ore, un atelier dove i ragazzi della favela imparano a dipingere; una sosta non improvvisata con bambini che suonano samba su strumenti questi sì improvvisati e una tappa ad un centro comunitario gestito dall’organizzazione che fa il tour dove madri e figli ottengono assistenza medica di base e istruzione. Il resto sono incontri fugaci con persone che sorridono, commenti non certo a modo sulle bionde del gruppo, una birra e un bolinho di bacalhau in un baretto attentamente selezionato e una sensazione strana che dura tutto il tempo. Perché uno si sente un po’ fuori posto a fare il turista in certi posti.
Alla fine, o forse all’inizio, viene sempre a galla la questione cruciale: quella che uno si pone e se non se la pone neanche allora meglio che stia a casa. Ma facendo un favela tour sto speculando sulle disgrazie altrui? Sto facendo un safari umano? O sto provando a capire una città che non è solo spiagge dorate e partite di futebòl? Una risposta possibile la fornisce Mauro, che da 5 mesi quasi ogni mattina porta una dozzina di turisti a Rocinha. “Se vuoi capire devi vedere. Noi non facciamo safari, cerchiamo di spiegare e far incontrare, per quel poco che si può. E questi soldi supportano le nostre altre attività. Poi sta a ognuno che viene approcciarsi a quest’esperienza con lo spirito giusto”.
Per informazioni, visitate il sito web di favelatour.