
È uno fra i più iconici riti italiani e ha conquistato il mondo: quello dell’aperitivo trova le sue origini a Torino nel XIX secolo con “L’ora del vermouth”. Un momento, circa un'ora prima della cena, durante il quale nel capoluogo piemontese si degustava il vermouth, già apprezzato dalla Corte sabauda, accompagnato dai "piat ‘d rinforss", dei piattini di rinforzo costituiti da “ulive, acciughe insalate, peperoni in aceto, salsicciotto o prosciutto affettato, ed altre simili cose”.
Il vermouth di Torino è il più celebre vino aromatizzato italiano. Il suo nome deriva dal termine tedesco wermut con il quale veniva designato l’Artemisia absinthium (assenzio maggiore), base aromatica principale nella preparazione di questo vino che ha origini antiche. Per molti secoli l’utilizzo del vino aromatizzato fu principalmente medicinale, ma con il Rinascimento l’uso delle spezie giunte dall’Oriente, come cannella, chiodi di garofano e rabarbaro, permise di arricchire la ricetta donandole nuove note aromatiche. E proprio a partire dalla metà del Quattrocento il Piemonte iniziò a distinguersi nell’arte della distillazione.

Il passaggio da rimedio medicinale a bevanda per aperitivo conviviale ha una data di nascita ben precisa, il 1786, quando Antonio Benedetto Carpano, distillatore e farmacista torinese, inventò il vermouth, un vino moscato bianco a base di assenzio maggiore aromatizzato con oltre 30 erbe e spezie, e addolcito con alcool, inviandone una cesta a re Vittorio Amedeo III.
Il successo fu immediato e il suo negozio, situato di fronte a Palazzo Reale, fu costretto a rimanere aperto 24 ore su 24 per soddisfare la richiesta. Il vermouth di Torino, tutelato da un consorzio di 23 soci che ne certifica la qualità e ne promuove la conoscenza, deve essere servito freddo con o senza ghiaccio (a circa 10 °C) in purezza con la sua guarnizione più classica con scorza di limone o di arancia in bicchiere a calice del tipo "Nick and Nora" oppure quello tradizionale da servizio da vermouth.

Per gli amanti della birra, invece, in occasione dei duecento anni del Museo Egizio, il secondo al mondo dopo quello del Cairo, il Birrificio Torino ha riproposto la ricetta storica della sua birra Rufus, un’ambrata a bassa fermentazione, dalla schiuma spessa e dal gusto intenso, ideata quasi 20 anni fa in collaborazione con un’egittologa per ricreare la birra bevuta dai Faraoni.
Torino è però famosa anche per le sue pasticcerie e confetterie storiche, e per la sua lunga tradizione legata al cioccolato, di cui è l’indiscussa capitale italiana. Qui la moda della cioccolata in tazza, arrivata verso la fine del XVI secolo, ha dato origine alla bavareisa, preparata con caffè, cioccolato, latte e sciroppo e alla sua evoluzione, il bicerin, nato nel caffè Caffè Al Bicerin, risalente al 1763, con cioccolato, caffè e panna. E sempre qui ai primi dell’Ottocento viene creata la pasta gianduja, nata per trovare un’alternativa al cacao, diventato introvabile a causa dell’embargo commerciale imposto dagli inglesi e sostituito dal pasticciere Pier Paul Caffarel con nocciole tonde del Piemonte. Nel 1865 nasce invece il Gianduiotto, il primo cioccolatino incartato al mondo, da gustare oggi nell’antica Confetteria Avvignano di piazza Carlo Felice o da Peyrano, in corso Moncalieri, specialista delle praline piemontesi.

Dalla scorsa estate la città ha inaugurato un Museo del cioccolato e del gianduja, Choco Story, ospitato negli ex laboratori della storica pasticceria in stile liberty Pfatisch, risalente al 1915, situata vicino alla stazione ferroviaria di Porta Nuova. Su 1.200 metri quadrati si ripercorre la storia del cacao e del cioccolato grazie ad alcune installazioni multimediali e a una serie di oggetti, come le tazze per la cioccolata ideate per non sporcare i baffi. Davanti al Choco Story parte il Choco tram, un tram storico dei primi del Novecento che offre un tour per le vie di Torino, gustando praline e ascoltando curiosi aneddoti sulla storia del cioccolato.
E per gli amanti dei dolci, da non perdere il croissant cubico alla crema pasticcera o la Sfera con crema gianduja, tutti a tiratura limitata, prodotti dalla Farmacia del Cambio, che si affaccia su piazza Carignano. Come riconoscerla? Dalla lunga coda di clienti fuori dal locale già di mattina presto.