Marina Lalović ha lasciato la sua Belgrado da un pezzo. Con tempismo quasi perfetto è partita giusto una settimana prima della caduta del regime di Milosevic (il 5 ottobre 2000) e da allora periodicamente torna in quella che nonostante metà della sua vita l’abbia ormai passata in Italia (dove lavora come giornalista tra RadioRai e Rainews24) rimane sempre e comunque la sua città. Un luogo di cui osserva le trasformazioni, perché Belgrado era e rimane una città giovane, in cambiamento e in cerca del suo posto nel mondo, una sua specifica via alla modernità. Anche perché la capitale della Serbia è sempre stata un posto a cavallo tra mondi e culture, un "est" ma aperto all’occidente, assai balcanica ma anche asburgica, multipla perché capitale di una nazione, la Jugoslavia, che era incredibilmente aperta al mondo.
Così leggendo "La cicala di Belgrado" (edito da Bottega Errante) si scopre che Belgrado ha avuto fretta di cambiare per trovare una nuova normalità, specie dopo due, tre decenni – tra la fine degli anni Ottanta e oggi – che normali non sono stati, tra il crollo della Jugoslavia, le guerre intestine tre le ex repubbliche sorelle, i bombardamenti Nato, l’ubriacatura nazionalista. Anni che in eredità hanno lasciato il pensiero di emigrare che accomuna ancora tutti, o quasi. Così il cambiamento continuo si è trasformato in uno strano stato di perenne attesa: attesa che cambi qualcosa davvero, attesa di andarsene.
Edilizia a Belgrado. Foto Shutterstock
Nonostante questo Belgrado si evolve, grazie a progetti megalomani pensati per agganciare la città alla modernità stile Dubai. Che poi in definitiva a ogni latitudine sono progetti che fanno rima con una speculazione edilizia bella e buona ad appannaggio dei ricchi. Qui si chiama "Belgrado sull’acqua", ed è un progetto di palazzoni che qui sono spuntati sulla riva della Sava. Un progetto che ha spazzato via la Mala Sava, la vecchia comunità che viveva alla buona lungo il fiume ed era quanto di più interessante per chi dei luoghi cerca i lati in ombra e non le cartoline.
La riva della Sava a Belgrado. Foto Shutterstock
Ma non è in questi posti che si deve cercare l’anima di Belgrado, almeno quella che cerca e racconta Lalović. Se c’è un posto dove si può provare a guardare sono le trattorie di Belgrado, la kafane, dove ancora si fuma perché il detto antico – fumare come un turco – andrebbe rivisto: si fuma come serbi. Posti dove rallentare, prendere fiato e sorseggiare un caffè turco, che oggi non è più turska kava, ma domaća kava, segno dei tempi.
LA CICALA DI BELGRADO
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