Esco. La scusa ce l’ho: ho dimenticato (davvero) di comprare il latte. Piccola ma basta a mettere a tacere la coscienza e a uscire “solo se è strettamente indispensabile” come da ieri sera continuano a ripeterci. Voglio scendere per strada e guardare la città vuota, ascoltare il silenzio che la avvolge, stamattina più che mai. Un silenzio cominciato ieri notte, squarciato come il buio soltanto dalle sirene e dagli elicotteri. Un silenzio che concludeva in maniera irreale una serata cominciata come ne comincia una che potrebbe essere di primavera, con un clima mite che invita a sedersi sulle terrasses per prendre un verre entre amis. Complice il venerdì sera che ha riempito i tavolini e le strade fra République e il Canal, frequentatissime. Un silenzio diventato un fermo immagine, una calamita per gli occhi di tutto il mondo.
Le notizie si sono seguite una sull’altra, una contro l’altra. Confusione e smarrimento, sensazione di paura, di vuoto. Difficoltà a comprendere. Dieci mesi fa era diverso – certo non per le vittime. Dieci mesi fa ci era sembrato di trovare una ragione, per quanto folle, ci rassicurava vigliaccamente di non far parte del gruppo aggredito. Oggi siamo davvero tutti Charlie, nel senso che tutti ci sentiamo più fragili, più insicuri, più vittime potenziali. Dove guardare? A cosa fare attenzione? Questo orrore paradossalmente ci spinge ancora di più a vivere e a resistere.
Confesso la paura, soprattutto la paura di morire.
Sono uscita e ho messo piede in una città diversa. Di fronte a casa mia le Galeries Lafayette sono chiuse. Noncuranti, i gruppi di turisti coreani e cinesi sono lì, come tutti i giorni. Solo che oggi dovranno rinunciare allo shopping di rito e accontentarsi delle vetrine di Natale, un must in questa stagione. La saracinesca dell’ingresso principale è abbassata, come quella dei vicini Printemps, che quest’anno vincono la gara delle vetrine più belle e infatti hanno comunque la gente in fila davanti. Luci spente e porte sbarrate in tanti negozi del triangolo della moda che hanno deciso di unirsi al lutto cittadino. Solidarietà? Paura? In giro poche persone, deserte anche le scale d’ingresso all’Opéra Garnier e le strade che portano verso il fiume. Non sarebbe possibile questo silenzio, altrimenti.
Passa il tempo e qualche altro curioso fa come me, esce per andare a guardare la città del giorno dopo. Appesi al chiosco ci sono meno borse stampate con la Tour Eiffel, o è un’impressione? Mancano anche i carrettini di cibo sui boulevard, sollievo dei turisti che non vogliono rubare alla visita di Parigi neanche il tempo di un pasto al ristorante. Deserte soprattutto le strade del X e dell’XI arrondissement, quelle nelle immediate vicinanze dei luoghi degli attentati. Ma questo lo apprendo dal notiziario perché non mi avventuro troppo in là. La scusa del latte non è sufficiente e io sono in bilico fra curiosità, timore e rispetto delle regole, che tuttavia vince. Un motociclista corre finalmente sui viali dove normalmente è costretto a procedere a zigzag. Il parcheggio delle biciclette è pieno, e basta questo per misurare la temperatura di un sabato mattina a Parigi. Quello del giorno dopo.
Io sono (a) Parigi e sono uscita a respirare l’aria di una città diversa. In lontananza, ancora, una sirena.