Ecco l'ottava tappa, un grande classico.
Ormai chiunque pubblica tra mille altre liste anche la propria lista dei 10 libri che più l'hanno influenzato. Tra una Divina Commedia e un'Iliade, un libro di Baricco a caso o un immancabile Erri de Luca, i redivivi Promessi Sposi tirati fuori direttamente dall'album dei ricordi scolastici o un La Peste di Camus vista la situazione, ecco che ogni tanto fa capolino nelle liste anche Ebano, di Ryszard Kapuscinski pubblicato oramai nel lontano 1998 da Feltrinelli (oggi si trova in economica sempre per Feltrinelli, pag. 278, 9 €). Certo, dipende chi stila queste liste, vero. però diciamo che tra chi ama leggere di cose di viaggio qualche testo del polacco Kapuscinski, come di Tiziano Terzani, non manca mai. Così a uno vien da chiedersi se sia vero o meno che Ebano sia un libro assolutamente da leggere.
Di certo non si tratta di un reportage di viaggio tradizionale, piuttosto un compendio di storia lungo 40 anni da leggersi come un breviario da portare con sè. Dal 1957, quando per la prima volta Kapuscinski riesce a farsi inviare in Africa dall'agenzia di stampa polacca, fino alle metà degli anni Novanta, quando l'emozione per l'indipendenza era scivolata nella delusione per il fallimento sostanziale dei nuovi stati, schiacciati da miseria e malgoverno, odi tribali e guerra sporche, colpi di stato seriali e altre tragedie assortite.
E allora? Che cos'è che affascina tanto di questo libro? Forse il modo in cui è scritto, anche se a dirla tutta la scrittura non è mai né poetica né evocativa, e neanche musicale, ammesso che il polacco (per giunta tradotto) possa suonare come una lingua musicale. Di nuovo, stessa domanda: e allora cosa affascina tanto di questo libro? Forse l'alchimia sta nel modo in cui Kapuscinski guarda, e vive, la realtà che sta raccontando. Quell'approccio empatico con chi la Storia la subisce sulla sua pelle, quella vicinanza assoluta e partecipe con gli africani che camminano, gli africani che aspettano, gli africani che fuggono. Questo è «un libro che allora non parla dell'Africa, ma di alcune persone che in Africa abitano e ho incontrato» scriveva nell'introduzione il giornalista polacco. Un libro dove l'Africa non è la terra dei safari e delle savane, degli elefanti e dei gorilla, ma una terra di persone con cui Kapuscinski cercava di condividere l'esistenza: disdegnando i grandi alberghi scegliendo piuttosto di vivere nei quartieri qualunque, quelli che sono sconsigliati all'uomo bianco.
E allora quel che affascina tanto in questo libro è presto detto: è un racconto onesto, informato e di prima mano. È il racconto di un uomo che ha interpretato il suo mestiere di cronista scegliendo di andare in giro non per procacciarsi magnifiche avventure, ma per cercare di capire come si sta su queste terra in un posto tanto lontano e diverso. Che poi sia anche un libro di avventure va da sé. Se almeno in parte non lo fosse non sarebbe finito così tanto facilmente anche in questa «classifica».