I paesaggi e le città dei romanzi non sono mai scenari immobili: respirano, tramano con i personaggi, ne assorbono inquietudini e speranze. A volte diventano essi stessi protagonisti. Attraversarli vuol dire compiere un viaggio nella geografia emotiva dell’Italia, esplorarne l’anima più profonda. Tra moli solitari e mercatini delle pulci, case dai colori pastello, terre brulle e città sospese nel silenzio, molti caffè, musei e qualche cimitero, il nuovo volume Touring "L'Italia è un romanzo - Atlante letterario/luoghi, storie, paesaggi", a cura di Alessandra Mastroleo, propone 25 itinerari letterari, sulle tracce che legano le pagine narrate ai luoghi reali. Un viaggio straordinario in compagnia di Milena Agus, Dino Buzzati, Andrea Camilleri, Anna Maria Ortese, Pier Paolo Pasolini, Vasco Pratolini, Pier Vittorio Tondelli, Nicoletta Verna e molti altri. Spunti ideali per nutrire letture, percorsi, passioni.

L'Italia è un romanzo

Riportiamo qui "Storie di amori e beffe in un rione fiorentino", di Alessandra Mastroleo, che racconta il rione di San Frediano a Firenze sulla orme di Vasco Pratolini.

C'è stato un tempo in cui San Frediano era l’anima popolare di Firenze, “la parte più becera e più vivace dei fiorentini”, l’unica che conservava “autentico lo spirito di un popolo che perfino dalla propria sguaiataggine seppe ricavare della leggiadria”. La progressiva trasformazione in terreno turistico e il profondo cambiamento nella composizione sociale dei suoi abitanti sembrano aver eroso i caratteri identitari del quartiere. Ma la vita di rione del secolo scorso rivive, cristallizzata, nelle pagine del romanzo Le ragazze di Sanfrediano di Vasco Pratolini. Ambientato nell’immediato dopoguerra e pubblicato nel 1952 (sulla rivista Botteghe Oscure nel 1949) con ancora fresche le ferite del conflitto, racconta le avventure sentimentali di un gruppo di ragazze del popolo e di Bob, un impenitente casanova di quartiere, “fatuo quanto bello”.

SAN FREDIANO: UN RIONE, UN POPOLO

A Firenze si è costantemente polemici, ci si accapiglia un po’ per tutto. Ma se c’è una certezza che mette tutti d’accordo è che l’Arno divide la città in
due zone ben distinte
: “di qua d’Arno”, che comprende l’antico centro storico, elegante e altero, con il duomo, piazza della Signoria e i più celebri monumenti, e “di là d’Arno”, o Oltrarno, chiassoso e popolare, che ingloba i rioni di Santo Spirito, San Niccolò e appunto San Frediano.

Il rione di Sanfrediano è di là d’Arno, è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la curva dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine”.

Le due sponde dell'Arno a Firenze; a destra, la chiesa di San Frediano in Cestello - foto Shutterstock

Il nome, che intreccia un filo con l’Irlanda del monaco Fridianus, identifica un quartiere che negli ultimi secoli ha assunto una fisionomia artigiana e proletaria. Sviluppato lungo Borgo San Frediano, non è tuttavia un semplice nugolo di case e strade. San Frediano è un popolo. Nella prima metà del Novecento vi pulsava una vita umile e affamata, fatta di piccoli artigiani, cenciaioli, muratori, rivenduglioli, operai della Manifattura tabacchi e del Pignone, la stessa umanità raccontata da Pratolini anche in Metello. Per generazioni si è radicata qui un’anima rumorosa ma coesa, ingegnosa e sguaiata, sentimentale e spietata, che lo scrittore, ormai lontano da Firenze, torna a rievocare affidandosi ai ricordi. Il tempo narrato è l’immediato dopoguerra. Sono passati due anni da quando “Sanfrediano era insorta, ed erano arrivate le avanguardie degli eserciti alleati, i ponti erano saltati, e il di qua d’Arno assediato, coi fascisti che sparavano dai tetti”. Firenze è uscita dalla guerra sconvolta e martoriata: nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944 i tedeschi in ritirata fecero saltare tutti i ponti tranne Ponte Vecchio, insieme ai palazzi che lo circondavano. Cumuli di macerie e scie di sangue segnavano le strade. San Frediano fu tra i quartieri che più si sollevarono e che più pagarono, colpito da agguati ed eccidi vendicativi come quello di piazza Tasso, ancora ricordato da un monumento che passa quasi inosservato.

Nel quartiere, però, affiora subito la voglia di dimenticare, e di ricominciare. La vita sembra essere tornata a una quotidianità fatta di suoni familiari: la campana del Cestello, le partite di biliardo al Circolo, gli incontri in Sezione, nei vinaini, al Caffè-Latteria, e poi chiacchiere, amori, battibecchi, tutto sotto gli occhi vigili di chi siede sull’uscio affacciato in strada, pronto a cogliere ogni moto del quartiere, a osservare e riferire, con la sottile malizia dei cronisti di rione, i fatti di qualsiasi avvenimento.

La voce era corsa, nel giro della mattinata, era una domenica, e ne parlavano al Circolo, nei caffè, sul sagrato del Carmine e di Cestello, e le ragazze da finestra a finestra, sulle soglie, con indosso gli abiti della festa e le permanenti appena ritoccate.”

È una dimensione umana, un ritmo senza urgenza in totale contrasto con la frenesia odierna delle auto che sfrecciano lungo Borgo San Frediano. Punti fermi del rione, oggi come allora, restano le piazze, luoghi di socialità e ricorrente scenario del romanzo: piazza del Carmine, con la chiesa dalla facciata scabra, quasi respingente, che dissimula la preziosità degli affreschi di Masaccio al suo interno; e quella del Cestello, con l’omonima chiesa dalla cupola a tamburo che segna il profilo della città.

TOPOGRAFIA DI UN CASANOVA DI QUARTIERE

È proprio dietro l’abside del Cestello, a due passi dalla fragorosa pescaia dell’Arno, che il rubacuori Bob si incontra con Tosca. Il suo nome in realtà è Aldo Sernesi, ma tutti lo chiamano Bob dal nome dell’attore Robert Taylor che hanno visto al cinema Orfeo in piazza de’ Nerli, altroluogo ormai scomparso. Corteggiare le ragazze è il suo “vero sport, la sua arte, e la sua religione”: l’arte di averle tutte, ma l’una all’insaputa dell’altra. Tra i luoghi privilegiati per i suoi incontri amorosi ci sono le mura di Santa Rosa, “tutte in ombra, alte ed immense come bastioni antichi”, ideale rifugio per baci furtivi.

Ogni giorno Bob percorre quasi lo stesso tragitto, con portamento “ardito e fiero”, scarpe scintillanti e abito inappuntabile. Esce di casa in via del Campuccio, dove abitano anche due sue conquiste, Gina e Bice. Passa talvolta da via della Chiesa “con i pavesi delle biancherie alle finestre, e la sua gente già in animazione”, dove si trova l’Albergo popolare, ricovero per indigenti ancora esistente, e poi: “Egli voltò, al solito, per via del Leone e si tirò, se possibile, ancora più su di spalle: in quel tratto, poteva capitargli di incontrare Loretta, colei che certamente sarebbe succeduta a Tosca, e che per intanto egli teneva a ‘cuocere’ sotto il fuoco dello sguardo”. E invece trova Mafalda, appoggiata a un casamento a braccia conserte, pronta a rivendicarne le attenzioni. Finiranno per battibeccare in Borgo Stella, breve e appartata traversa lontana da occhi indiscreti.

Borgo della Stella, Firenze - foto Shutterstock

È bravo Bob a tenersele tutte come “marronsecchi nelle tasche”, ma non manca alle volte di suscitare accese gelosie: come quella di Gianfranco, con cui si scazzotta per Loretta sugli scalini dell’antico Tiratoio, nell’omonima via. Si tirano pugni e provano a stendersi, proprio davanti a quel che resta dell’ultimo tiratoio fiorentino, dove secoli prima a essere tirati e stesi erano i panni di lana appena tessuti e lavati.

Mentre si aggira “come un reuccio” tra le strade del suo rione, Bob sa che il suo regno si esaurisce in San Frediano: nel momento in cui sconfina di qua d’Arno tutte le regole sanfredianine saltano e Bob diventa un semplice impiegato, bello come tanti. Succede quando, per andare al lavoro, attraversa l’Arno sul ponte alla Carraia per sfociare in piazza Goldoni, dove ad attenderlo sotto la statua del commediografo veneziano c’è Bice per un fugace incontro amoroso prima dell’orario di ufficio.

UNA RIVALSA DI QUARTIERE

Ma c’è una cosa di cui Bob non si è accorto: che Tosca lo pedina, determinata a smascherarlo. E siccome le ragazze di San Frediano sono “d’una pasta tutta speciale”, tutte “brodo di trippa e gelsomino”, ovvero dolci e amorevoli ma anche ruspanti e vendicative, ben presto si organizzano.

Erano distanti da Sanfrediano, ma non troppo, percorrevano lentamente, parlando, via Maggio, e risalito lo Sdrucciolo, sbucarono su piazza Pitti, col Palazzo di fronte, alto nella penombra, e riverberato dalla luna in tutta la sua lunghezza”.

La facciata di Palazzo Pitti - foto Shutterstock

Lontane dal rione, le ragazze di Bob si ritrovano in piazza Pitti e tramano alla luce lunare una beffarda congiura. Il luogo scelto non può che essere il “prato grande” delle Cascine, il parco urbano nato come tenuta medicea e divenuto nel tempo salotto mondano, ma anche rifugio di amori clandestini, schermati dal sottobosco di siepi e cespugli. “Lo guiderò io, domani sera, senza che lui se ne accorga, al prato grande delle Cascine, è sempre lì che finiamo per andare. Sapete quale prato dico?”. Lo sapevano eccome: Bob le portava tutte lì, “senza fantasia”, come se fossero intercambiabili.

Sorta la luna, le Cascine si offrivano silenziose, coi loro recessi, i prati, le alberete, alle coppie degli innamorati; qualche avventuroso ciclista pedalava cantando lungo lo steccato dell’Ippodromo, destava lontani nitriti, e rare auto percorrevano veloci l’anello dei viali. Più oltre, verso il delta dell’Indiano, la vegetazione era anche più fitta, e più profondo il silenzio, la solitudine più segreta”.

E qui, tra i cespugli fruscianti e il “frastuono dei grilli”, le sanfredianine, col sangue che ribolle nelle vene, infliggono a Bob un’amara lezione e il romanzo diventa allegoria di un carattere collettivo. Perché Bob non è soltanto un seduttore impenitente, ma anche la caricatura di un certo spirito fiorentino brillante, cinico e spaccone, pronto a sbandierare conquiste che spesso si rivelano più fragili di quanto non appaiano. Le sue ragazze, invece, rappresentano un deciso contraltare: tenere e affettuose, ma anche risolute e implacabili. La loro rivolta contro Bob non è solo un episodio narrativo, ma la metafora di un popolo che non accetta soprusi, che si coalizza e ribalta con fierezza le gerarchie stabilite.

Viene da chiedersi cosa resta di quello spirito. Firenze è cambiata, adeguano dosi ai tempi, imbrigliata in dinamiche globali. Il centro è divenuto oggetto di un forte consumo turistico, i residenti storici si sono allontanati, le attività tradizionali sono state via via sostituite da altri esercizi rivolti alle presenze di passaggio. Per lungo tempo San Frediano ha conservato un carattere artigiano e popolare, ma oggi il tessuto sociale appare sfilacciato, tra affitti temporanei e “mangifici” che hanno contribuito a dissipare il senso di comunità, la quotidianità del quartiere. Restano qualche bottega ostinata, i ragazzini che ancora rincorrono il pallone in piazza Tasso, l’ironia corrosiva di chi non vuole cedere a una città ridotta a vetrina.

Forse proprio in questa resistenza si annida ancora un barlume del carattere di un tempo, che Pratolini seppe cogliere con acume e che continua a tener vivo il rione più animoso e scanzonato di Firenze.

L'edizione del 1952 di "Le ragazze di Sanfrediano"