Dal primo novembre 2025, l'Italia è diventata il primo Paese al mondo a imporre il casco a tutti gli sciatori, senza distinzione d'età. Una norma che nasce dal Decreto Sport 96, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso giugno in vista delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, e che estende a tutti ciò che fino a gennaio 2022 riguardava solo i minori di 18 anni. Chi viola l'obbligo rischia multe fino a 150 euro e, in caso di recidiva, il ritiro dello skipass da uno a tre giorni.
La norma è nella sua ragione una misura di tutela per l’incolumità fisica in una pratica sportiva in cui spesso le velocità sono elevate, e nei casi peggiori non corrispondono alle capacità tecniche degli sciatori, che poi sono anche snowbordisti, con varie ed eventuali. Guardando al contesto, le piste sono sempre più affollate le nuove attrezzature garantisco velocità e agilità prima impensabili, anche ai meno esperti. A fare da riferimento molti studi condotti nei Paesi che avevano già introdotto l'obbligo evidenziano una riduzione fino al 30% delle lesioni craniche causate da cadute o collisioni.
L’utilizzo obbligatorio del casco mette nella bacheca dei ricordi l'immagine dello sciatore con il cappellino di lana della nonna, meglio col pon pon, sostituendola con una silhouette omogenea e intercambiabile. Ma il problema non è estetico: è simbolico. Come sottolinea Diego Clara di Dolomiti Superski, già oggi circa il 95% degli sciatori indossa spontaneamente il casco. La norma, quindi, interviene su una minoranza ormai residuale, certificando però un principio molto più ampio: sulle piste non c'è più spazio per la scelta individuale, per il rischio calcolato, per la responsabilità personale.

La parola chiave è sempre la stessa: sicurezza. Approfondiamo. Alcune analisi tecniche sottolineano che il casco, pur essendo utile, non è la protezione più efficace contro i traumi più frequenti sugli sci. Il paraschiena, ad esempio, protegge da lesioni spinali ben più comuni delle fratture craniche gravi, ma è impossibile da controllare visivamente e quindi non diventa oggetto di obbligo. Il casco, invece, è visibile, verificabile, sanzionabile. È una scelta che risponde più a un'esigenza di controllo che a una reale gerarchia dei rischi.
Paradossalmente, come evidenziato da esperti del settore, il casco può persino generare un falso senso di sicurezza, inducendo alcuni sciatori a superare i propri limiti tecnici. La sicurezza, insomma, non è mai così lineare come vorremmo credere.

Italia "fabbrica della neve"
Ma la questione del casco è solo l'ultimo tassello di una trasformazione ben più radicale. Oggi le piste da sci sono considerate impianti al cento per cento, come un campo da tennis o da calcetto. Se acquisto il biglietto, devo essere "garantito".
Se un tempo non molto lontano gli sciatori accettavano gobbe, dislivelli, l'incertezza del manto nevoso, oggi è la montagna che si deve adattare allo sci. Se c'è una gobba la si spiana, se manca la neve si "spara" con i cannoni, se non ci sono abbastanza cartelli di orientamento si può fare causa al comprensorio. E non ultimo, l'Italia è il Paese alpino più dipendente dalla neve artificiale, con il 90% delle piste innevate artificialmente, seguito da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%) e Germania (25%).

L'oro bianco è sempre più raro
L'industria dello sci non si limita alla neve artificiale. Le piste vengono costruite modificando il territorio: disboscamento, spianamento dei versanti, creazione di strade d'accesso per portare macchinari in quota. Solo il 5% della superficie di una montagna viene tecnicamente modificato per creare un comprensorio, ma l'impatto complessivo sull'ecosistema è enorme. La fauna selvatica subisce il disturbo dell'inquinamento acustico dei cannoni da neve e dei mezzi battipista che operano di notte.
E poi c'è il costo economico, spesso sostenuto con denaro pubblico. Solo per la stagione in corso, secondo l'Associazione Nazionale Esercenti Funiviari (Anef), le società hanno investito 310 milioni di euro in impianti di risalita, battipista e sistemi di innevamento. A questi si aggiungono i 230 milioni stanziati dal ministero del Turismo per il quinquennio 2024-2028, destinati alla manutenzione degli impianti e all'innevamento artificiale. Le regioni alpine sovvenzionano costantemente il settore: il Veneto ha destinato oltre 41 milioni di euro dal 2021, mentre il Molise ha stanziato 30 milioni per Campitello Matese e Roccamandolfi.

Molti di questi investimenti mantengono in vita impianti in perdita. Il dossier "Nevediversa" di Legambiente ha censito decine di strutture dismesse sulle Alpi e sugli Appennini, chiuse per lo più negli anni Novanta e Duemila quando il sogno dello sci di massa si è infranto contro la realtà dei costi insostenibili e del riscaldamento globale.
E così la montagna diventa un luogo dove tutto è controllato, prevedibile, garantito e dove l'accesso inizia a essere regolato. Dove si scia su nastri bianchi di neve artificiale tracciati su versanti spianati, protetti da reti, segnalati da cartelli, sorvegliati da telecamere. Dove il rischio viene bandito e con esso anche la libertà, l'avventura, il rapporto diretto con un ambiente che per sua natura è selvaggio e imprevedibile.

Il casco obbligatorio è l'ultimo simbolo di questa mutazione. Non perché sia inutile – anzi, può salvare vite – ma perché rappresenta la fine di ogni margine di scelta personale. Sulle piste non si va più in montagna: si entra in un impianto sportivo in quota. E in questo spazio totalmente normato, ogni comportamento è regolato e ogni rischio deve essere comprensibilmente eliminato. Dove non arriva il buon senso e il rispetto per l’ambiente, arrivano le norme.