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Difficile scattare una fotografia di un Paese così complesso e frastagliato come l’Italia. Ma mettere a fuoco una immagine nitida del Paese è quantomai utile, in vista della relazione sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che il nostro governo deve presentare alle istituzioni europee entro il 31 dicembre 2021.
L’Ispra, L'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha presentato lo scorso 13 dicembre alla Camera dei Deputati il rapporto “TEA-Transizione ecologica aperta. Dove va l’ambiente italiano?”, un’analisi che, grazie ai milioni di dati certificati prodotti negli anni da Ispra e raccolti nell’Annuario dei dati ambientali, descrive ed interpreta nel dettaglio la situazione italiana, sottolineandone le trasformazioni in corso ed indicando le principali direzioni in cui investire energie.
“Dall’ultimo rapporto emerge come il Paese sia già sulla strada per raggiungere obiettivi per uno sviluppo più sostenibile – sottolinea Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra - Oggi assistiamo ad un’accelerazione di questo percorso. Emergono anche situazioni quale il consumo di suolo, dissesto idrogeologico, inquinamento delle matrici ambientali che devono continuare ad essere continuamente monitorate anche attraverso le nuove tecnologie per l’osservazione della terra”.
Cerchiamo di stringere il campo, per evidenziare in sintesi lo stato del nostro ambiente e gli scenari che si prospettano nel prossimo futuro.
Il rapporto “TEA-Transizione ecologica aperta. Dove va l’ambiente italiano?"
UN PAESE COPERTO QUASI AL 40% DA FORESTE
La percentuale di territorio coperto da boschi è oggi pari al 37% della superficie nazionale, un valore superiore a quello di due paesi europei “tradizionalmente” forestali come Germania e Svizzera, entrambi al 31%. Dal secondo dopoguerra ad oggi le foreste italiane sono aumentate costantemente, passando da 5,6 a 11,1 milioni di ettari.
La crescita, avvenuta a spese delle superfici agricole e di terreni naturali e semi-naturali, ha subìto un’accelerazione negli anni più recenti: dal 1985 al 2015 le foreste hanno avuto un incremento pari al 28%. Occorre porre attenzione, però, alla conservazione di alcune tipologie, come i boschi umidi e quelli lungo le rive dei fiumi, le foreste vetuste e quelle di pianura. Queste ultime sono sempre più compromesse, minacciate dagli incendi, dall’edilizia e dalle infrastrutture.
LA CRESCITA DELLE AREE PROTETTE
Dagli anni Settanta ad oggi le aree protette terrestri e marine sono molto aumentate per numero ed estensione. La superficie protetta a terra tocca il 20% di quella nazionale. Quella marina copre oltre il 19% delle aree di mare a giurisdizione italiana; cifra che comprende, oltre a quelle protette, le aree sottoposte a speciali misure di conservazione. Manca ancora un 10% per raggiugere il target europeo fissato al 2030 (30%), ma sono già previste 23 nuove aree marine protette.
SI RIDUCONO LE EMISSIONI DI GAS SERRA, MA NON IN CITTÀ E NELLA PIANURA PADANA
Negli ultimi 30 anni le emissioni di gas serra prodotte dall’Italia si sono ridotte del 19% rispetto al 1990. Negli stessi anni è anche aumentata la quantità di anidride carbonica assorbita dalle foreste e dai suoli, contribuendo in modo significativo a combattere i cambiamenti climatici.
La riduzione delle emissioni è avvenuta soprattutto grazie ai grandi utilizzatori, che dispongono delle risorse necessarie per investire in nuove tecnologie più efficienti: sono diminuite le emissioni di quasi il 46% nell’industria manifatturiera e del 33% nelle industrie energetiche. Meno bene, invece, nei trasporti e negli edifici, dove i costi ricadono più direttamente sulle spalle dei cittadini. L’Unione Europea si è data l’obiettivo di dimezzare le emissioni rispetto al 1990 entro il 2030 e di azzerarle, al netto della capacità di assorbimento delle foreste e dei suoli, entro il 2050.
Nonostante la costante diminuzione di tutte le principali fonti di inquinamento dell’aria (monossido di carbonio, ossidi di azoto, anidride solforosa, composti organici volatili, polveri sottili), restano però molti problemi in alcune aree metropolitane, soprattutto nella pianura Padana dove l’orografia e le condizioni meteo non favoriscono la dispersione degli inquinanti. Ulteriori passi avanti arriveranno quando ci saranno gli effetti delle nuove politiche per la transizione energetica e quella dei trasporti.
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2010-20, IL DECENNIO PIÙ CALDO DI SEMPRE
A partire dal 1985, le anomalie annuali di temperatura media, rispetto al trentennio climatologico 1961-1990, sono state sempre positive, ad eccezione del 1991 e del 1996, e il 2020 ha chiuso il decennio più caldo di sempre, con anomalie medie annuali comprese tra +0,9 e +1,71°C. Anche la temperatura superficiale dei mari italiani negli ultimi 22 anni è stata sempre superiore alla media. L’analisi della precipitazione cumulata annuale non mostra invece variazioni significative.
I problemi climatici sono ovviamente globali ma l’aggravante per l’Italia è di trovarsi al centro del bacino del Mediterraneo, dove l’impatto dei cambiamenti climatici sarà presumibilmente più intenso e potenzialmente disastroso a causa dell’elevata vulnerabilità dell’area.
Sempre più allarmante è il fenomeno dell’isola di calore urbano: cementificazione, scarsità di aree verdi, utilizzo dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento degli edifici sono tra i principali responsabili dell’aumento delle temperature dei centri cittadini fino a 4-5°C in più rispetto alle aree periferiche. In generale quanto più grandi e compatte sono le città, tanto maggiore è l’intensità del fenomeno isola di calore.
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MEDITERRANEO, IL GRANDE MALATO
L’Ispra sottolinea il buono stato ecologico del 43% dei fiumi. Non altrettanto si può dire purtroppo per laghi e soprattutto del mare, il grande malato. Dei 347 laghi italiani, solo il 20% raggiunge del buono stato ecologico. Mentre è proprio il Mediterraneo a versare nelle condizioni più difficili, perché oggettivamente più complesso e costoso da monitorare e controllare.
È urgente affrontare la questione della pesca: circa il 90% delle popolazioni di pesci sono sovrasfruttate, con un’intensità che è tra le due e le tre volte quella sostenibile. Rimane quindi critica la situazione dei rifiuti sulle spiagge e della plastica in mare: in Italia abbiamo in media più di 300 rifiuti ogni 100 metri di costa (per UE non devono essere più di 20).
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L’EMERGENZA DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO
Tante costruzioni – abitazioni, attività produttive, infrastrutture di ogni tipo – aggravano il dissesto idrogeologico e i suoi costi umani ed economici. Negli ultimi 20 anni, i danni per gli eventi idrogeologici, stimati in oltre un miliardo di euro l’anno, sono stati di gran lunga superiori agli investimenti per interventi di mitigazione del rischio frane e alluvioni, pari in media a circa 300 milioni. Solo negli ultimi tre anni gli investimenti hanno raggiunto il miliardo l’anno: ancora poco, tenuto conto che il fabbisogno per il territorio italiano è di 26 miliardi.
LA RINCORSA ALL’ECONOMIA CIRCOLARE
Più indietro è nel complesso la transizione verso un’economia circolare, anche se significativi sono stati i progressi nella raccolta differenziata, che è la premessa del recupero dei materiali: negli ultimi vent’anni è triplicata. In vent’anni il conferimento in discarica è passato da circa il 70% al 21% (ma deve arrivare al 10% entro il 2030). A dare un altro forte segnale di maggiore sostenibilità del nostro sviluppo economico è il calo dei consumi di risorse materiali. Dal 2006, anno di picco, i consumi di metalli, cemento, legna, pietra, combustibili da parte della nostra economia si è infatti quasi dimezzato.
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