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Come trasformare l'invidia del resto del mondo per la cultura e il made in Italy in un motore per sviluppare il nostro turismo? Domanda tanto affascinante quanto complessa cui hanno provato a dare una risposta Claudio De Albertis, presidente della Fondazione Triennale; Maurizio Di Robilant, promotore della Fondazione Italia patria della bellezza; Andrea Illy, presidente Altagamma; Renzo Iorio, presidente di Ferderturismo/Confindustria, moderati da François de Brabant, presidente di Between, durante l'ultimo appuntamento del ciclo di incontro Milano Destinazione 2015 organizzato dal Centro Studi Tci e dalla Camera di Commercio di Milano a Palazzo Giureconsulti.
Il discorso è partito da un assunto, illustrato da Matteo Montebelli del centro studi: se è vero che i prodotti del Made in Italy funzionano nel mondo perché il nostro sistema turistico non riesce a fare altrettanto e sembra di continuo perdere colpi? Detto altrimenti: cosa può fare il made in Italy per aiutare il turismo? Tanto. Ne è convinto Andrea Illy, presidente della fondazione Altagamma che raggruppa 80 marchi di punta del made in Italy. E tanto sta già facendo: anche se non esistano statistiche al riguardo si può ben pensare che una cospicua parte dei 46 milioni di stranieri che ogni anno visitano il nostro Paese lo faccia perché attratta dal made in Italy e da tutto quello che questa definizione significa in termini di esperienza viaggio. «Ed è questa esperienza che vogliamo offrire ai turisti che vorremmo portare in Italia, consapevoli che i grandi marchi italiani costituiscono il principale attrattore per una fascia alta di turisti che fanno esperienza di italianità attraverso l'acquisto del made in Italy» spiega Illy. Basta girare per un centro commerciale di Pechino o Kuala Lumpur per capire in concreto di che cosa parla Illy: la metà dei negozi sono brand italiani che oltre al prodotto veicolo un immaginario di italianità che è quello su cui puntare per attrarre i turisti. Un discorso che va a braccetto con quanto va predicando da mesi Maurizio di Robilant, promotore della fondazione Italia patria della bellezza. Dove la parola bellezza racchiude appunto tutto quell'immaginario assai concreto in cui siamo quotidianamente immersi senza forse neanche rendercene conto. «La bellezza è l'identità competitiva del nostro Paese: se i tedeschi hanno precisione e gli americani l'American Dream, il nostro marchio distintivo è proprio questo, la bellezza. Bellezza delle cose, bellezza dei paesaggi, bellezza del modo di vivere, bellezza che va curata e raccontata agli altri che a questa bellezza aspirano» sottolinea De Robilant.
Una bellezza che va proposta e coltivata «perché se accanto all'eccellenza dei contenuti non hai anche eccellenza nei servizi non riesci ad attrarre e far tornare i turisti» spiega Illy. «Dobbiamo puntare a migliorare la qualità delle esperienze di viaggio che si fanno nel nostro Paese» sottolinea Renzo Iorio, presidente di Federturismo/Confindustria. «Una qualità totale: dagli alberghi ai ristoranti, dai mezzi di trasporto ai musei» prosegue. Una qualità che troppo spesso è stata trascurata riempendosi la bocca dell'affermazione «siamo il Paese più bello del mondo», che ha come corollario la credenza ingenua che i turisti continueranno in perpetuo a venire da noi appunto perché «siamo il Paese più bello del mondo». Per fare tutto ciò non si deve aspettare l'intervento pubblico dei vari Enit, ministeri o enti di promozione locale. «Che hanno dimostrato di non essere in grado di fare promozione, anzi: sono capaci di andare avanti in ordine sparso per promuovere sul mercato globale realtà minuscole che all'estero non sanno neanche dove e cosa siano» aggiunge Illy. «Si deve dare la possibilità ai privati di costruire una rete di operatori che condividono il progetto e abbiano voglia di investire e rischiare» conclude Illy. «E lo si può fare per esempio iniziando a restituire una vita economica alla nostra immensa eredità culturale che troppo spesso è trattata come un mausoleo» sottolinea De Albertis. «Mentre dovremmo provare a fare una conservazione attiva, che permetta al nostro patrimonio culturale di fruttare come accade negli Stati Uniti, dove la redditività di un patrimionio neanche lontanamente comparabile è 16 volte superiore alla nostra» spiega. L'occasione buona per farlo è alle porte: si inaugura tra meno di un anno.
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