Incontrare Chiara Gamberale non è un gioco da ragazzi. Ti sommerge di parole e di entusiasmo; sprizza dinamismo da tutti i pori. Chiara può essere travolgente e dunque, per arrivare a parlare dei suoi innumerevoli viaggi – da sola, con l’ex marito, lo scrittore Emanuele Trevi ma, soprattutto, con sua figlia Vita che a 8 anni ha già visto mezzo mondo – bisogna portare pazienza. Scrittrice di successo, nella sua carriera, iniziata prestissimo, ha venduto, in Italia e all’estero, milioni di copie; ha migliaia di lettrici e lettori, chiamiamoli in certi casi fan, che la seguono come si segue un guru.
Iniziamo dall’Italia. Che cosa le piace?
La domanda arriva al momento giusto. Forse perché ho raggiunto l’età di donna matura, proprio quest’estate, ho sentito un potente richiamo per l’Italia. Ho sempre viaggiato molto ma, otto anni fa, quando sono diventata madre, ho dovuto ridurre le mie trasferte ed è davvero l’unico aspetto della maternità che un po’ mi ha pesato. Soprattutto ora che mia figlia Vita va alle elementari. Però, come fosse un patto non scritto tra lei e me, almeno una volta l’anno, in occasione del suo compleanno, facciamo un grande viaggio insieme tant’è che Vita, nella sua piccola esistenza, ha già visto moltissimo mondo.
E dove siete state insieme?
Siamo state in Sudafrica, in Islanda... Ora però scegliamo più l’Italia perché, durante l’estate scorsa, Vita non è stata benissimo e dunque abbiamo dovuto dare uno stop al nostro viaggiare lontano. E allora ho optato per mete come Ischia e poi il Cadore, dove vado da sempre perché la mia famiglia ha casa da quelle parti (Chiara è anche maestra di sci, ndr). E, viaggiando da sud a nord, mi sono detta: ma quant’è bella l’Italia! Ho riscoperto la Penisola che già mi aveva colpito tanti anni fa quando, all’uscita del mio primo libro – avevo 19 anni – iniziai a girarla in lungo e in largo per presentarlo. Le presentazioni dei libri sono occasioni eccellenti per unire l’utile al dilettevole. Ancora oggi, se vado in giro per presentare un libro, la prima cosa che faccio è cercare una chiesa. È un insegnamento che mi è rimasto da quando viaggiavo con Emanuele, che è stato per me un maestro di viaggio, anche se il nomadismo lo avevo già nel sangue. Da Ischia e Cadore in poi ho deciso che con mia figlia avremmo passato ogni weekend in località italiane facilmente raggiungibili da Roma, dove viviamo, come Canepina, nel Viterbese, luogo noto per i boschi, le castagne e la loro fiera e poi Viterbo, città bellissima, con il Palazzo dei Papi e l’atmosfera magica del centro storico, fermo nel tempo.

Del nostro Paese che cosa preferisce?
Io ho sempre amato le isole. Nelle isole mi è più facile combattere la mia annosa battaglia con l’insonnia. Evidentemente lo spazio limitato circoscrive l’inquietudine che alberga nel mio carattere. In generale poi sono molto attratta da ciò che è diverso dal luogo in cui abito. Un’isola assomiglia solo a se stessa. Le ho cercate in mezzo mondo ma solo da poco ho scoperto le nostre, come Ventotene. Ora che c’è mia figlia ho scelto come buen retiro Cetara, la località meno glamour – ma più affine a me – della Costiera Amalfitana. E poi Procida, che è anche lavoro perché da dieci anni organizzo un festival letterario condito con musica. Grazie a un libraio di zona nacque l’idea di Procida racconta e mi piacque farla germinare nell’isola meno “piaciona” del magnifico arcipelago di fronte a Napoli. Procida ha un carico letterario non indifferente e inviolabile per il timbro definitivo datole da Elsa Morante con L’Isola di Arturo. Sono passate dieci edizioni e ogni volta è la stessa emozione, la stessa voglia di fare. È un festival singolare: sei autori si “perdono” nell’isola. Incontrano persone del luogo, ne ascoltano la vita e poi, in tempo reale, scrivono un breve racconto che viene letto in pubblico. All’inizio eravamo forse venti persone, ora in piazza ne arrivano anche quattromila. Abbiamo aggiunto i cantautori che interrompono le tournée pur di esserci. E così Procida racconta ha anche un sottofondo musicale (come racconta lei stessa in una storia pubblicata sul numero Isole Piccole di Mappe, la rivistalibro del TCI, ndr).
Oltre alle isole, quali sono i suoi luoghi del cuore in Italia?
Io sono meridionale, di origini molisane: Agnone, in provincia di Isernia (Bandiera Arancione TCI, ndr). Il Molise, quando ero ragazzina, era un “non luogo”; a scuola lo accorpavano all’Abruzzo e nessuno sapeva dove collocarlo. Per questo ho pensato di organizzare qualcosa anche lì. Ho trovato un accordo con il simpaticissimo sindaco di Agnone e siamo partiti con la prima edizione di Fuoco al centro. Il fuoco simboleggia qualcosa di vivo, una idea di partecipazione che a volte si fa fatica a trovare in molti mesti eventi italiani. Peraltro Agnone ha il suo perché, da sempre, ci si costruiscono campane ed è attiva la fonderia più importante del nostro Paese. E ogni anno c’è la festa popolare della ‘Ndocciata: uno dei più antichi e grandi riti del fuoco al mondo.
Poi amo Torino. Appena pubblicato il mio primo libro lavoravo alla Rai di Torino con Luciano Rispoli per Parola mia. Andavo all’Università a Padova e facevo avanti e indietro tra queste due città. Torino è una città in cui vivrei ancora adesso. Mentre Milano per me è solo lavoro. Poi potrei parlare della Sicilia, ma è tempo di andare all’estero. L’Italia la conosco e la amo, ma i miei viaggi all’estero non li dimentico.
Dove ci porta?
La frequentazione del Cadore mi ha fatto amare le montagne. E da lì ho iniziato a cercarle ovunque. Anche se dopo averne viste tante, le Dolomiti rimangono un unicum. Sono stata in Tibet, ho scalato l’Himalaya, sono arrivata in Mongolia; le montagne del mondo sono meravigliose ma il primo amore, le Dolomiti, non si scorda mai. Poi c’è l’Asia e la mia grande passione per il Sudest asiatico: Birmania, Cambogia... Molti di questi viaggi li ho fatti con Emanuele che, anche se adesso il rapporto è divenuto fraterno, rimane il mio compagno di viaggio ideale almeno fino a che… (e qui gli occhi di Chiara si illuminano pensando alla figlia di otto anni che cresce...).
Com’è viaggiare con una bambina?
Con lei siamo state in Kerala, la parte più facile dell’India; ma anche in Giappone, in Cina e questi viaggi sono stati così diversi da quelli precedenti che a volte era come se in certi posti non ci fossi mai stata. Vedere gli occhi di mia figlia spalancarsi in Kerala navigando le backwater (canali navigabili, ndr) oppure sulle spiagge dell’Oceano Indiano popolate di bambini della sua età è come essere trasportate a un’età che ormai da grandi si è dimenticata. E poi in viaggio incontravamo persone, locali o turisti che dicevano sempre: «Come sei brava a viaggiare da sola con una bambina così piccola». E io: «Sai, il mio vero coraggio non è viaggiare con Vita, ma accompagnarla ogni giorno a scuola. Quello sì che è un viaggio». E poi come si fa ad avere paura se tua figlia, a margine di una foto di lei scattata in quel viaggio indiano, scrive «questa è la mia vera identità». E poi, sempre grazie a lei, tornando per la seconda volta in Giappone, ho scoperto un Paese che credevo di conoscere ma non era così. Mi piace molto ma non posso dire di amarlo interamente, faccio fatica a immedesimarmi nel modo di essere così schematico dei giapponesi.
Insomma c’è l’Asia nel cuore?
Della Cina vi lascio una cartolina: Emanuele e io in bicicletta per le risaie di Yangshuo. Bellezza pura. E poi Guilin, la baia, posto unico. Pechino non mi ha lasciato un ricordo nitido. Della Birmania il pensiero va ai fratelli Moustache, comici, oppositori del regime. Dai lavori forzati furono liberati grazie all’intervento di Matt Damon e di altri attori americani progressisti; da quel momento portano in giro il loro spettacolo che mi è rimasto nel cuore. Parlando con loro alla fine mi dissero: «Parlate di noi a Benigni». Immaginare che in Birmania avessero colto la grandezza di un loro collega così distante, mi commosse. Della Thailandia, invece, posso dire poco, perché in quel viaggio godevo soprattutto delle bellezze naturali. Così come su Bali, incantevole ma anche potente simbolo di disfacimento da overtourism.
Anche l’Africa è stata meta dei suoi viaggi...
Dopo l’Asia, viene l’Africa dove ho viaggiato sia da sola sia con mia figlia. Insieme siamo andate in Sudafrica. Un luogo che molti definirebbero pericoloso. Ho trovato invece un ambiente sereno, non ansiogeno.
A volte, per gioco, ci chiediamo tra amici: «Tu che continente vorresti essere? Che continente sei?». Bene, io risponderei l’Africa, sento che mi somiglia. Conosco il Nord, il Sud e la parte centrale; in Africa cambia tutto di nazione in nazione, di panorama in panorama, una sorta di pratica lezione climatica. A vent’anni sono andata per la prima volta in Africa, in Tanzania, con una missione; e poi il Gabon. Ho una passione per quel continente che non smetterò mai di visitare.
Con sua figlia ha scoperto il Grande Nord?
Credo che Islanda e Lapponia siano mete alle quali ho pensato come se mi fossi infilata nella testa di mia figlia. Luoghi che possono incantare i bambini. Per i panorami, gli animali, il freddo (che i piccoli non soffrono come i grandi) per essere sì, lontani, ma poi non così tanto e anche perché – parlando di Lapponia – è dove è “nato” Babbo Natale. Quando siamo andate lì Vita era davvero piccola eppure fu un viaggio denso, pieno di sorprese.
Che rapporto ha con gli Stati Uniti?
Andai a New York inviata da Vanity Fair, nel 2008, per seguire l’elezione di Obama. Mi incantò; non amo le grandi metropoli ma lì sentivo una potente energia, una spinta a fare e a muovermi e, forse per queste ragioni, ho un bellissimo ricordo di quella città. Invece a Los Angeles non mi sono trovata a mio agio. È uno strano agglomerato senza un vero centro. Non ho percepito il fascino che esercita su molti viaggiatori ma penso che quando andrò in California con Vita sarà tutta un’altra storia: per una bambina quello è un gigantesco parco divertimenti, da Disney a Warner.
Come concilia la scrittura con il viaggiare?
La risposta è la Grecia: per me rappresenta la scrittura. Per anni, fuori stagione, mi sono “rinchiusa” in una delle incantevoli isole dell’Egeo proprio per impostare o terminare un romanzo. La Grecia aiuta la mia scrittura e tra le innumerevoli isole che conosco, voglio citare Idra e Astypalea. A proposito di isole ricordo che, grazie a uno scambio case, mi ritrovai a Maui, nelle Hawaii. Qui la natura è così potente che contagia chi vi abita. Poi Maui, tra le isole dell’arcipelago nel Pacifico, è probabilmente la più bella, la più intrigante. Oltre che la più nota tra i surfisti e i giovani. In quel caso fu un viaggio, sempre con Emanuele, che ci sorprese. Continuavamo a pensare alle Hawaii come se fossero testimonial di che cosa vuol dire essere “isolati” su un’isola.
In questo viaggiare che potrebbe frastornare anche Marco Polo c’è stato il Sudamerica?
Inizierei dal Cile. Mi sembrava una sorta di tassa da pagare per arrivare all’Isola di Pasqua. E invece scoprii che il Cile è bellissimo, infinito, con luoghi incantevoli come il deserto di Atacama e la Patagonia cilena, un luogo che mi suonava come posto di streghe e folletti. Sull’Isola di Pasqua fu invece la sensazione di meraviglia a sopraffarmi, anche se mi sono sempre sentita a mio agio sulle isole. Stare così lontani da tutto alla fine fornisce a questi luoghi una specie di superpotere difficile da trovare altrove. Del Brasile invece ho ricordi sbiaditi. Mentre ho scoperto il Messico, lo splendido Yucatan e le piramidi, la ionosfera che porta al Belize e quel mare… Non mi stupisco che sia uno dei Paesi più visitati al mondo. Grande, pieno di sorprese.
E che dire della vecchia Europa?
Io amo profondamente l’Europa. Quando ero piccola, con i miei genitori facevamo interi tour in Germania, in Polonia, in Austria. Tra le città scelgo Londra che, ogni volta, fa crescere in me la voglia di vivere e per questo non potevo non andarci con Vita; e non poteva mancare una visita agli Studios di Harry Potter, di cui lei è grande fan. Londra è una “mia” città, la sento affine. Poi, sempre per andare incontro alle attese di una bambina in viaggio, siamo andate in Baviera, a Füssen, per visitare il Castello di Neuschwanstein. Bisogna mettersi nei panni dei piccoli per farli viaggiare da grandi. I bambini devono poter decodificare i luoghi, gli ambienti e hanno strumenti diversi dagli adulti; l’arte può arrivare, certo, ma non vedo bene quei genitori che trascinano i figli per musei costringendoli a capire e ad amare ciò che per loro risulta astratto. Viaggiando con i piccoli, si può privilegiare la natura, gli animali diversi dai nostri e le culture alternative alla propria che accendono la curiosità di chi è già curioso per età.
Viaggiare con una bambina non le fa paura?
Non ne ho avuta io nel viaggiare da piccola coi genitori, perché dovrei trasmetterla a mia figlia? E poi questi viaggi in terre lontane, che per molti genitori appaiono prematuri, lasciano forti tracce nei ricordi dei bambini e queste tracce nel tempo saranno fondamentali per amare, non solo il viaggio, ma il mondo. Vorrei che Vita diventasse come me, più una viaggiatrice che una turista. Viaggiare vuol dire incontrare il diverso, e saperlo fronteggiare. Crea capacità che durante l’esistenza non possono che aiutare.
Così come l’adattamento alle scomodità che sul momento possono provocare impazienza.
Ovviamente bisogna insegnare la prudenza, che nei viaggi è componente fondamentale affinché non si trasformino in “brutti” viaggi. Però per me viaggiare vuol dire soprattutto incontrare. Se i bambini imparano, viaggiando, a comprendere il prossimo, così diverso da noi e non solo per la lingua, è un grande passo avanti verso la necessaria empatia che può aiutare a vivere meglio in questo mondo. Insomma, non sono come alcune mamme che pensano che fino ai 18 anni è meglio passare le vacanze al mare, magari con i nonni. Viaggiare fa crescere, a qualunque età.