Pochi sanno che vagando nel Basso Lodigiano si incontrano campi come tavoli da biliardo, alberi come scacchiere. Righe diritte come diritti appaiono gli schemi ortogonali di certi pioppeti piantati nelle aree di golena, lungo il Po, vicino all’Adda. Intorno, tra i campi seminati a mais che in estate diventa un labirinto verde in cui è un gioco infantile perdersi, si scorgono cascine e casali, grandi, spesso grandissimi. Una volta erano pieni di gente, generazioni di famiglie di contadini. Oggi ce n’è poca di gente, più mucche e maiali che persone.
Airone cenerino - foto Gettyimages
Paesaggio che ha un fascino discreto, tranquillo non certo eclatante. Fascino che si coglie camminando nelle ore marginali, quando se fai troppo rumore calpestando il terreno nove volte su dieci disturbi un airone che poi è costretto a dispiegarsi in volo, maestoso e leggero. Terre che ammiri se ti inoltri in bicicletta, seguendo le sterrate – strade bianche le chiamerebbero altrove dove sanno di marketing territoriale – che tagliano i campi. Strade paradossalmente curve, storte in un territorio senza ostacoli, perché solo gli ingegneri che non hanno legame con la terra le tirano dritte. I contadini un tempo lasciavano che seguissero il percorso di rogge e fossi, ogni metro quadrato arabile era importante. Strade che congiungono cascine e frazioni, aggirano paesi costruiti in zone il più possibile protette: perché la pianura è bella, senza asperità. Ma i fiumi, l’Adda, il Lambro, il Po, quando uscivano, uscivano: invadevano tutto senza contegno, senza riguardi.
Paesi agricoli, certo: è la prima cosa che specifica la Guida Verde della Lombardia. A legger le statistiche l’oro di queste terre è bianco: latte che diventa Granone Lodigiano, capostipite di tutti i grana. O che nella modestia dell’anonimato produttivo – chi pensa al latte quando mangia un formaggio ? – finisce nei formaggi che compriamo al supermercato. Paesi di campagna, dall’aspetto del «centro agricolo padano», che per secoli sono cresciuti legati alla terra, ancorati al lavoro, ma hanno sviluppato castelli sontuosi: come quello visconteo di Sant'Angelo Lodigiano; quello di Fombio che sembra un palazzo; o il castello di Somaglia che è più una residenza signorile che un fortilizio. E non mancano le residenze signorili (a qualcuno dovevano appartenere le proprietà di quelle ricche terre), come la barocca e imponente villa Litta, a Orio Litta. Ma ci sono anche torri di solidi mattoni, come la torre della Pusterla a Casalpusterlengo e immancabili santuari, come quello della Madonna delle Grazie, a Codogno.
Oltre c’è il Po che scorre incurante, chiuso nei suoi massicci argini, indisturbato dalle barche che ormai da tempo non lo solcano più. Dall’alto della strada arginale, che sta più in alto dei campanili delle chiese e più in basso solo dei tralicci dell’elettricità, si osserva bene il paesaggio del Lodigiano: da un lato l’acqua, qualche cava di sabbia, dei rari ristoranti con atmosfera da balera estiva anni Settanta, dall’altro la sterminata campagna. Il Po, dicono i libri, segna storicamente il confine tra Lombardia ed Emilia, tra pianura e pianura, campi e campi, nebbie e nebbie. Come se potesse essere un confine amministrativo a interrompere il paesaggio, a dissolvere le nebbie.
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