"Dove comincia l’Abruzzo?" si sono chiesti in un libro di qualche anno fa Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, che nella nuova Guida Verde Abruzzo invitano i lettori nei ritmi compassati di una regione “intrisa di tempo”, come ebbe a dire Giorgio Manganelli. Abbiamo risposto alla domanda nella nostra dedica al risveglio dell'Aquila, che proprio il 6 aprile del 2009 alle ore 3:32 subiva la prima violenta scossa del terremoto che l'ha travolta.
Buona lettura!
«Egli, un povero illuso venuto dal suo lontano paese per assumere il comando di un’armata, aveva creduto trovar ovunque popoli insorti...» Con queste parole il brigante Carmine Crocco, nelle memorie stilate durante l’ergastolo a Portoferraio, ricorda il generale catalano José Borjes che sono venuto a cercare qui a Tagliacozzo. Nella piazza Duca degli Abruzzi la città lo ricorda con un mezzobusto di discutibile manifattura collocato, nei pressi di una pompa di benzina, in occasione dei festeggiamenti per i centocinquant'anni dall'Unità d'Italia. La posizione mi sembra un estremo vilipendio alla memoria del militare che tentò la riconquista del Regno borbonico.
Il Regno delle Due Sicilie cessò di esistere nel febbraio del 1861 con la resa di Gaeta. Da quel momento la corte borbonica trovò riparo a Roma ricorrendo alla solidarietà della nobiltà pontificia. Nelle stanze di rappresentanza del Palazzo del Quirinale, dove re Francesco II, spodestato da Garibaldi, aveva trovato dimora su invito di papa Pio IX, nei mesi a seguire fu un viavai di legittimisti, idealisti, avventurieri e mercenari di mezz'Europa. Alcuni riportavano notizie catastrofiche sulle difficoltà delle truppe sabaude nel controllo del territorio troppo velocemente annesso al Regno d'Italia, altri riferivano dei propositi di riscossa messi in atto dai comitati filoborbonici forti di una rete di ‘galantuomini’ i quali, aggregati in bande e col supporto delle popolazioni locali, organizzavano sistematiche azioni di contrasto alle forze piemontesi.
All’inizio dell’estate del 1861, le voci sulle rivolte spontanee dei contadini che, a seguito di episodi di brigantaggio, si ribellavano contro l’esercito sabaudo fecero pensare ai Borbone in esilio che i tempi fossero maturi per la rapida cacciata dei piemontesi. A guidare la riconquista del Regno ci voleva un uomo speciale che doveva fare di quei rivoltosi un esercito regolare. E fu così che, animato dalle migliori intenzioni, il generale José Borjes sbarcò nottetempo sulle spiagge calabresi nei pressi di Brancaleone con 17 ufficiali reclutati per guidare l'esercito leali- sta. Sulle prime, non riuscendo a far insorgere i contadini calabresi, tentò un contatto con Carmine Crocco, al corrente della sua venuta. Tra i due si instaurò subito una reciproca diffidenza. Borjes, soldato di carriera ligio al suo codice d'onore, considerava Crocco poco più di un feroce capobanda dal quale non poteva aspettarsi nulla di buono. Incalzati dalle truppe sabaude, la loro unione finì prima ancora di cominciare.
Il 25 novembre dalle parti di Rionero in Vulture Borjes e alcuni dei suoi uomini superstiti vennero abbandonati al loro destino dalle soldatesche di Crocco. Il Generale aveva perduto tutto fuorché l'onore e la speranza di raggiungere, a tappe forzate, lo Stato Pontificio. Il 4 dicembre il drappello di fuggitivi, segnalato sull'altopiano delle Cinque Miglia, dopo Pescassèroli puntò diritto su Avezzano. Superata Scùrcola Marsicana gli uomini, allo stremo, trovarono rifugio a Sante Marie, a pochi chilometri da Tagliacozzo, presso la cascina Mastroddi, appena quattro miglia dal confine con lo Stato Pontificio. È qui che i militari piemontesi, al comando del maggiore Enrico Franchini, bloccarono i lealisti e li costrinsero ben presto ad arrendersi. Condotti a Tagliacozzo, Borjes e i suoi uomini furono condannati a morte come briganti e fucilati immediatamente senza processo. Sul taccuino ho un ultimo appunto: i cronisti dell'epoca riferirono che lo sfortunato generale nel momento supremo, per far coraggio ai suoi urlò: «L’ultima nostra ora è giunta, moriamo da forti».
Paolo Merlini
Clemente Di Leo era un poeta autodidatta, di un’ispirazione e un talento traboccante. Quando vinse il primo concorso letterario con la raccolta Gilgamesh trovando finalmente un editore, trovò anche la morte per una malformazione al cuore. Lasciò centinaia di versi, di cui buona parte in pratica inediti. Poesia pura, versi taglienti, che non hanno paura delle emozioni. Arrivato in questa terra guidato dalla cometa di John Fante, me ne vado, ebbro di emozioni, con i versi candidi e laceranti di questo ragazzo poeta.
Le Guide Verdi del Touring Club Italiano possono essere considerate nuovamente pionieristiche, oltre mezzo secolo dopo la loro fondazione. Partendo dal rifiuto di ingabbiare il mondo in una lingua che lo descriva a priori, hanno aperto a un turismo a tutto campo (dall’enogastronomia stellata al cibo di strada, dal trekking al cicloturismo, dalle sagre di paese al grande cinema, alla musica, al teatro) e soprattutto allo storytelling, chiamando giornalisti e autori della narrativa contemporanea a smarcarsi dalle icone, raccontando storie, territori e città, mescolando geografia e immaginazione, autobiografia e fiction.
Anno edizione: 2020