
Nessuno immagina che, dopo Vienna, Napoli sia la città europea con la maggiore superficie di vigne e la sola ad averne una in pieno centro, con l’ingresso da corso Vittorio Emanuele: è la Vigna di S. Martino, nata con la trecentesca Certosa di S. Martino sulla collina del Vomero. Nel 1967 ha rischiato di essere soffocata da una colata di villette a schiera: una denuncia sulla stampa fece vincolare l’intera zona, ma solo nel 2010 i sette ettari agricolo-metropolitani vengono dichiarati “Bene di interesse storico artistico” ed entrano a far parte del patrimonio culturale italiano.
Il ringraziamento più importante lo si deve però a Giuseppe Morra, gallerista e collezionista, proprietario della vigna dal 1988, quando la comprò da una famiglia milanese che l’aveva abbandonata. Era coperta di rovi, sterpaglie, alberi bruciati e materiale di risulta e ci volle un immane lavoro e tre anni di tempo per rivelare l’opera dei monaci che per sei secoli l’avevano modellata con terrazzamenti, muri di contenimento, canalizzazioni per l’acqua e un sistema di sentieri tra la Certosa e altri conventi.
Sono riemerse le antiche vigne di piedirosso, catalanesca, aglianico e falanghina, centinaia di ulivi, aranci, limoni, mandarini, e innumerevoli fiori e erbe spontanee, probabilmente le stesse con cui i monaci preparavano medicamenti e amari. Da anni nella vigna vivevano asini, galline, un gallo e alcuni pavoni fino a quando i vicini si sono lamentati per i versi e gli sconfinamenti, così pavoni e gallo sono stati allontanati.

Giuseppe Morra ha voluto ripristinare tutto com’era secoli prima: rinata l’azienda agricola, condotta da Giovanni Santoro che innesta limoni e pompelmi, recupera ceppi di uvaggi antichi e conosce il terreno palmo a palmo, mentre l’associazione "Piedi per la terra” apre la vigna a visite didattiche per bambini e organizza laboratori di apicultura, orticoltura, vendemmia, pranzi, serate di musica e d’arte, tanto che si è creata la Comunità rurale urbana Vigna di S. Martino (info e dettagli sulla pagina Facebook Vigna di San Martino).
Anche verso Posillipo e nei Campi Flegrei si produce vino e al tempo stesso si difende il paesaggio. Ci sono i vigneti urbani dell’Azienda Varriale, una delle più antiche e vicine al mare, quella degli Astroni di Gerardo Vernazzaro, le Cantine Federiciane Monteleone di Luca Palumbo, le Vigne di Parthenope di Aniello Quaranta. La più orientale, ai Campi Flegrei, è l’azienda agricola Agnanum. Raffaele Moccia lavora nella vigna da quando è bambino: si definisce uno degli ultimi vutecari, gli ingegneri della vigna che sapevano progettare, costruire e manutenere i vigneti in questo terreno vulcanico. Raffaele ha fatto a mano, con la zappa, tutti i terrazzamenti, recuperato vitigni centenari, per’ e palumm, falanghina, la vite gesummina a bacca bianca, caprettone, catalanesca, rare sopravvivenze del vigneto europeo che la filossera spazzò via 150 anni fa.
La Vigna di S. Martino a Napoli è una rarità ma non è l’unica in Italia. Nel nostro Paese ci sono diverse vigne urbane, riunite dal 2019 nell’U.V.A.-Urban Vineyards Association, una rete internazionale nata su iniziativa del produttore torinese Luca Balbiano. Sono la Vigna della Regina di Torino, la Vigna di Leonardo all’interno della casa degli Atellani a Milano, i filari di San Francesco della Vigna e i vigneti ritrovati della Laguna di Venezia, la Vigna di Castel di Pugna Senarum Vinea a Siena, la Vigna del Gallo presso l’Orto Botanico di Palermo e la Etna Urban Winery di Catania. Tutte da scoprire, in piena città.
