Andy Luotto, attore e chef, testimonial del Bioenofood-tasting event di Stresa e da poco più di un mese membro dell'Eurotoques (Unione Europea dei Cuochi), ci racconta la sua idea di cucina e di turismo.
Il turismo è anche scoperta enogastronomica di un luogo?
Attraverso l'enogastronomia si conoscono l'anima di un territorio e la sua gente. I piatti parlano. E cucinare è una cosa seria, come scriveva Oscar Wilde.
Cosa andrebbe ancora fatto per promuovere il Made in Italy all'estero?
Vendere pacchetti turistici enogastronomici per educare la gente alla cultura del cibo. La maggior parte di noi non sa cosa mangia. Io tremo quando devo cucinare per un contadino, perché lui, invece, sa. Dobbiamo ritornare alla terra, a riconoscerne i prodotti e la bontà. Non si può escludere la bellezza. Il cibo deve essere fonte di ricchezza intellettuale: agli Uffizi, a Firenze, tanti sono i riferimenti al cibo, che è anche legato all'erotismo.
Con i suoi cooking show ha girato il mondo. La cucina migliore?
La dieta mediterranea e il suo ingrediente principe: l'olio extravergine di oliva.
Preferisco i piatti poveri, legati alla tradizione, che sono i più complicati. La regola è seguire la stagionalità e la territorialità dei prodotti. La cucina è la forma d'arte più alta insieme alla musica, perché, come per questa, basta poco per romperne l'equilibrio.
I piatti sono legati indissolubilmente al contesto territoriale in cui nascono?
Un crudo di pesce appena pescato e consumato fronte mare senza troppe velleità culinarie è meraviglioso. Così come un canederli tirolese con materie prime reperite sul luogo.
Quando voglio mangiarmi degli ottimi carciofi, chiamo mia zia: lei vuole che le passi quel tegame, quell'aglio, quel tipo di olio. Quando provo a rifarli io, i carciofi si girano nel tegame e sembrano dirmi: "Dov'è zia Ada?”. Anche gestualità e passione contano.
La regione italiana più interessante dal punto di vista culinario?
Tutta la Magna Grecia: dal Salento alla Sicilia. Là dove c'è una storia, c'è una cucina.