Fare buon viso a cattivo gioco è una strategia che funziona in (quasi) tutti i campi e in (quasi) tutto il mondo. Non si vede quindi perché non dovrebbe funzionare anche a Vicenza, città d'arte – ah, le ville del Palladio – tra le più eleganti e belle del Nord Italia. Vicentini magnagati, dice un adagio popolare che si perde nella notte dei tempi. I vicentini si ciberebbero di felini domestici.
Una pessima pubblicità, soprattutto per la raffinata gastronomia locale, che pure vanta ricette di tutto rispetto: il baccalà alla vicentina lo avete mai assaggiato? E gli asparagi bianchi? E i pregevolissimi vini che arrivano dai colli circostanti? Eppure... vicentini magnagati.
E allora, farina, miele e burro alla mano, immancabile grappa vicentina (ma solo un dito...), burro, e grazie a un consorzio di pasticcerie, oggi a Vicenza si mangia davvero La gata, una morbida torta dalla ricetta unica e inimitabile.
Ottima a colazione o a fine pasto accompagnata da un cucchiaio o due di panna, La gata è entrata ormai a pieno titolo nei prodotti tipici vicentini, ed è anche un ottimo souvenir per chiudere un finesettimana nella città veneta. Naturalmente nella confezione è compresa una mascherina per decorare con lo zucchero a velo il dolce con le impronte di gatto.
A chi poi fosse rimasta la curiosità di conoscere origini, verità e leggende attorno a questo detto, è appena stato pubblicato da Terra Ferma Perché ci chiamano Vicentini magnagati, scritto da Antonio Di Lorenzo, una dotta eppur divertentissima ricerca storico-cultural-gastronomica sulle origini di questa nomea, diffusa ormai in tutto il mondo (l'autore racconta di esserselo sentito ripetere perfino sul mar Rosso, da un egiziano). Certo è che la città ha sempre avuto un considerevole numero di felini, dato che Teofilo Folengo, già ai primi del XVI secolo, la descrive come plena gatellis. Certo, ci sono anche luoghi comuni che vengono smentiti: il decreto che nel 1943 vietava di uccidere e mangiare gatti, per esempio, non fu emanato solo qui a Vicenza, ma in tutta Italia.
Insomma, il mistero (un po') rimane. E la città si è adeguata, facendo appunto buon viso a cattivo gioco: il gatto è diventato un simbolo nello sport, dal calcio alla pallavolo, nella musica (con l'Anonima magnagati), nelle insegne dei bar e nella casa degli scout, fino al Gioco dell'oca (padovana?) che qui è, manco a dirlo, il Giro del gato. Ormai mancava solo di portarli in tavola davvero, ste gate...