La fotografia mostra, non dimostra. Racconta senza giudicare. Il giudizio sta nell’atto di scelta del fotografo, nella sua sensibilità nel decidere se raccontare una storia, quella storia, o non farlo. Il resto – l’interesse e la decisione di approfondire, la riflessione, l’indignazione, oppure il semplice, complesso, piacere estetico – sta a chi guarda. Se qualcosa si smuove, allora la fotografia ha colpito. Altrimenti no. Tutto questo pistolotto per dire cosa? Per dire che Cocalari, il libro di Alfredo D’Amato pubblicato da Postcart smuove e colpisce, per quel che racconta e come lo fa.
Scenografia di Cocalari è il bacino asciutto di un lago artificiale, a Bucarest. Protagonisti un gruppo di famiglie che vivono in modo assolutamente precario in questo immenso lago di asfalto vuoto non distante dal centro della capitale. Nei sogni di Ceaucescu doveva diventare il simbolo del progresso della sua Romania comunista. Era stato battezzato Vacaresti ed era destinato a cambiare il volto della città. Per farlo erano state abbattute case e spostate decine di persone, che dopo il fallimento del progetto (l’acqua per alimentare il lago doveva venir pompata dal fiume Dumbovita, che si trova a un livello inferiore) hanno rioccupato quelle terre umide. Sono i cocalari, vivono raccogliendo ferraglia e altri resti. Abitano in rifugi di legno, mattoni e plastica: case senza fondamenta riscaldate con parte di quegli scarti che riescono a roccogliere durante il giorno. Invisibili che s’arrabattano alla periferia della città. Invisibili ritratti in modo scarno, ma poetico dal fotografo palermitano, che per mesi ha seguito quattro famiglie entrando nello loro mondo e nelle loro speranze.
Info: Cocalari: Iron people of Bucharest, di Alfredo D’Amato.
Edizioni Postcart, pagine 72, euro 30.