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Andare alla scoperta di giardini privati nel cuore verde d’Italia può sembrare cosa di poco conto. La questione però cambia se oltre la cortina di germogli e tappeti color smeraldo, radure, boschi e avvallamenti ci si imbatte nelle storie delle persone che di quel verde hanno fatto la loro ragione di vita e ora lo condividono con i visitatori.
Sono soggetti un po’ speciali, mani nella terra, testa illuminata dal sole, cuore vicino alla natura. Per loro coltivare un giardino significa nutrire l’anima.
Sono soggetti un po’ speciali, mani nella terra, testa illuminata dal sole, cuore vicino alla natura. Per loro coltivare un giardino significa nutrire l’anima.
GUALDO CATTANEO: IL GIARDINO DI HELGA BRICHET
Il giardino di Helga Brichet è stato creato in nome delle rose: un polmone di 4 ettari cui si approda dopo aver percorso una stradina in terra battuta tra i ginepri e le ginestre di Gualdo Cattaneo, in provincia di Perugia. La dimora del Quattrocento con annessa una cappellina affrescata è avvolta dal verde nel più assoluto silenzio. Helga, sudafricana, abita qui da 40 anni insieme al marito belga André e in questo arco di tempo ha piantato oltre 500 varietà di rose, in prevalenza provenienti dalla Cina e dall’India: quelle che più di altre hanno influenzato l’ibridazione. Le vedi crescere libere e selvagge arrampicate sui tronchi degli alberi e intrecciate come liane agli ulivi.
Le rose, Helga, le conosce sin da bambina, una passione che le ha trasmesso la nonna Abdà a Cape Town e che l’ha portata a essere fino a qualche anno fa presidente della Federazione mondiale delle Società della Rose. Ora gira il mondo per cercare e introdurre in Italia vecchie e nuove specie. Una varietà di rosa dai fiori doppi e grandi è stata perfino dedicata al marito. André si ammalò a 42 anni (oggi ne ha 83) e così la coppia dovette cambiare vita, ricominciando da questo spicchio di Umbria e da una passione mai sopita: le rose.
Le rose, Helga, le conosce sin da bambina, una passione che le ha trasmesso la nonna Abdà a Cape Town e che l’ha portata a essere fino a qualche anno fa presidente della Federazione mondiale delle Società della Rose. Ora gira il mondo per cercare e introdurre in Italia vecchie e nuove specie. Una varietà di rosa dai fiori doppi e grandi è stata perfino dedicata al marito. André si ammalò a 42 anni (oggi ne ha 83) e così la coppia dovette cambiare vita, ricominciando da questo spicchio di Umbria e da una passione mai sopita: le rose.
IL GIARDINO LIZZA A MONTICELLO DI TODI
Il giardino della fiorentina Gabriella Lizza nasce invece da un libro scovato in una libreria remainder’s a Roma. «Leggendolo rimasi folgorata da Vita Sackville-West, scrittrice, poetessa, decana del giardinaggio inglese», dice Gabriella, viso abbronzato, occhi chiari come il cielo di Monticello, un grumo di case arrampicato sulle colline di Todi. «Mio marito Gerardo, scenografo e pittore, cercava una dimora per lavorare tranquillo, così ci arrampicammo fin quassù e non siamo più scesi». E mentre Gerardo lavorava, Gabriella cominciò a piantare nel suo giardino di circa due ettari, rose Tea, narcisi, forsizie, melograni, betulle, limoni, iris, lavande, euphorbie, e decine di altre specie. Gerardo ha cominciato a collaborare con lei, dando al verde forme scenografiche. Ecco prendere forma negli anni un laghetto, un porticato in pietra, minuscoli sentieri tra le siepi di cotoneaster, l’area degli alberi da frutta, un boschetto di meli, una pergola di viti, una piscina e l’atelier di Gerardo dove nascono pennellate astratte di paesaggi.
NARNI: IL MULINO DEI MARCHESI EROLI
La grande storia è protagonista al Mulino dei marchesi Eroli, antico opificio conosciuto sin dal Medioevo, sulle rive del fiume Nera a pochi chilometri da Narni. «Non è da tutti possedere nel proprio giardino i resti di un ponte di duemila anni fa» sorride la proprietaria della tenuta, Giovanna Eroli. E nel mentre alza lo sguardo tra camelie, rododendri, peonie, ortensie, rose, betulle, acacie, liquidambar, ginkgo bilobe, indicando il suo “albero” più imponente: la campata del ponte di Augusto fatto erigere dall’imperatore romano nel 27 a.C. per agevolare il passaggio della Via Flaminia. Le bianche vestigia sono quel che resta della struttura romana distrutta da un’esondazione del Nera nell’anno Mille. Sorprendenti e magnifiche, pur nella rovina, sembrano appartenere a uno spazio e a un tempo tutto loro regalando suggestioni di regalità, di bellezza, di solitudine.
IL MALETTO DI SANT'ARCANGELO DI MAGIONE
Il “giardorto” è invece la specialità di un’altra maestra dal pollice verde, Daniela Fè d’Ostiani, deus ex machina del suo giardino, Il Maletto, affacciato sul lago Trasimeno a Sant’Arcangelo di Magione, in provincia di Perugia. Da 40 anni attrazione sopraffina del territorio. «Si tratta di un orto decorativo con disegno all’italiana di fiori e ortaggi – spiega la maga della botanica (citata da numerosi libri quali Gli orti felici di Paolo Pejrone, The best gardens in Italy di Kirsty McLeod e Robin Lane Fox, Folli giardinieri, storie d'amore e di verde di Maury Dattilo) – che ben si lega con lo stagno di piante acquatiche, il prato naturale fiorito, il boschetto di roverelle, il pianoro di ulivi, la pergola di 30 metri di glicine e quella di uva e rose». Anche Daniela ha gli occhi chiari, di quel verde tenue che hanno le foglie delle primule. Sarà perché sono i giardini a coltivare le persone, imprimendo loro il colore della natura di cui facciamo parte.
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