Filippo Ganna è la prima maglia rosa del Giro d’Italia. Non solo. Al Giro Filippo Ganna veste la maglia rosa al suo esordio. Non ci aveva mai corso prima e non poteva esserci battesimo migliore. Che Ganna, ventiquattro anni 193 cm di altezza per oltre 80 kg di peso, fosse tra i favoriti della cronometro inaugurale lo sapevamo tutti. Lo sapevamo dopo averlo visto vincere a mani basse, poco più di una settimana fa, la prova individuale contro il tempo al Mondiale di Imola. Prima di ieri, invece non sapevamo che Filippo, già quattro volte campione mondiale di inseguimento su pista, potesse condurre la sua bicicletta come uno sciatore i propri sci sulle ripide pendenze di una discesa libera o come uno skipper la propria vela in una regata spazzata da un vento molesto.
La tappa di ieri, la cronometro individuale che inaugurava il 103° Giro d’Italia, per poco più di 15 km calava dalla collina di Monreale fino alla marina di Palermo. Dopo il primo chilometro in salita, dal trampolino dei 312 m di piazza del Duomo è stata tutta una lunga discesa, con un paio di secchi tornanti, sul lunghissimo rettifilo di corso Calatafimi che, dopo Porta Nuova, diventa corso Vittorio Emanuele, sfiorando Palazzo dei Normanni e la Cattedrale. Oltre i Quattro Canti, si svoltava a sinistra di 90° in via Roma per un’altra linea retta fino a piazza Sturzo: qui, ultima inversione a U per viale della Libertà, dove il traguardo era posto poco prima di piazza Castelnuovo. Un tracciato simile a un lungo downhill, dove l’abilità stava tutta nel guidare la bici come se i pedali fossero le lame di un paio di sci. Potenza, padronanza e tecnica di conduzione del mezzo, coraggio. Una sorta di Kitzbühel nel cuore del Mediterraneo, una Streif normanna per ciclisti dal cuore forte e dalla mano ferma. Anzi fermissima.
Filippo Ganna a Palermo
A complicare poi questa singolare prova di coraggio e abilità ieri tra Monreale e Palermo soffiavano fortissime raffiche di vento. Uno scirocco cattivo intorbidava un’aria calda di oltre 30°C, faceva traballare le transenne e stirava le chiome delle palme. L’aveva detto alla partenza Marco Pinotti, già grande specialista delle corse contro il tempo e oggi direttore sportivo della CCC: «Oggi chi vincerà dovrà essere un po’ sciatore e un po’ velista». Filippo Ganna è stato entrambe le cose in sella alla sua bici dal telaio dorato. Una maglia arcobaleno come un lampo nel fosco dello scirocco. In conferenza stampa – in streaming, per rispettare le norme di distanziamento – Ganna è apparso un ragazzone divertito, quasi stupito per i tanti simboli di primato che lo rivestono da una settimana, la maglia iridata sotto la maglia rosa. Ha risposto alle domande con spontaneità, confessando di aver tremato al pensiero di cavalcare una lama che, in certi punti della discesa, ha toccato i 100 km/h di velocità. Ha detto che la polvere di magnesio con cui, alla partenza, si era cosparso le mani libere dai guantini, gli serviva per assicurarsi una presa più salda nella guida, il manubrio come gli anelli per Yuri Chechi. A chi gli chiedeva che cosa si aspettasse, ora, dopo aver mostrato in pochi giorni di essere entrato a far parte dell’élite del ciclismo, rispondeva sorridendo: «Spero che la mia carriera non finisca qui». E tra una domanda e l’altra si alza, un po’ impacciato la mascherina, e sgranocchiava una barretta.
Affamato, Filippo, e non solo di vittorie, parlava tranquillo con la sua bella e larga “e” lombarda («biciclètta, curva strètta…») perché anche se Verbania, la sua città, sta sulla sponda piemontese del lago Maggiore, è ancora Lombardia per storia e idioma. Lo stesso, più o meno, con cui il suo illustre omonimo e “quasi dirimpettaio” di sponda varesina, il 30 maggio 1909 rispondeva alle domande dei cronisti all’Arena Civica di Milano: 1° arrivato al primo Giro d’Italia della storia, il Luisìn; e, 111 anni dopo, 1° arrivato alla 1a tappa al suo primo Giro d’Italia, Filippo.
Panoramica di Palermo - foto Getty Images
LE BICI DI PALERMO
Ma dove sono le bici a Palermo? L’ho chiesto a Davide Enia, narratore, attore e drammaturgo, fierissimo palermitano. Mi ha detto: «Vai in via Divisi, tra via Maqueda e via Roma. Quella è la via delle biciclette». Ci sono andato, è vero. In poco più di 200 m ci sono cinque negozi di bici, officine di riparazione, rivendite. Biciclette in parata fuori dalle botteghe, gomme e tubolari appesi alle pareti, banconi di chiavi e brugole. Ma sono pochi rispetto a quanti ce n’erano fino a qualche anno fa. La crisi colpisce anche qui, c’è chi dice anche a causa della chiusura del centro al traffico automobilistico. Sembra un paradosso che liberare le città dall’assedio motorizzato della macchine porti alla rovina chi commercia nelle due ruote.
Siamo alle porte della Kalsa, il quartiere arabo di Palermo. Via Divisi prende il nome, forse, dalla parola araba dayyasin, che indicava gli artigiani che lavoravano il giunco. Che ci sia una qualche continuità tra intrecciava ceste, panieri e stuoie e chi vende e ripara biciclette? L’attività commerciale legata alle due ruote pare che in via Divisi incominci intorno alla seconda guerra mondiale, per merito di un industrioso artigiano, Salvatore Cosentino, che, ragazzino, orfano nel disastro della Palermo dei bombardamenti del ’43, si trova a dover mantenere una squadra di fratelli più piccoli di lui, che non aveva ancora dieci anni. Prima come apprendista d’officina, poi mettendosi in proprio, apre la sua bottega. Da quella, negli anni a seguire, ne nascono altri e oggi, gli esercizi superstiti di via Divisi, hanno quasi tutti la stessa genealogia: figli, nipoti, cugini del ciclista Cosentino.
Via Divisi, Palermo
Negli anni in cui Salvatore Cosentino metteva le sue mani ancora ragazzine su cerchioni e catene, selle e pedali, a Palermo le biciclette erano ricchezza rara, se non addirittura motivo di sopravvivenza, di salvezza. Erano gli stessi anni di Cesare, il nonno di Davide Enia, idraulico, socialista e ciclista. Il nonno che perse tutto, come tantissimi altri palermitani, nei bombardamenti del maggio del 1943. E che ricominciò da zero la sua vita anche grazie alla bicicletta. Storie di epici, tragicomici sfollamenti dalla città alla campagna, per scappare dall’essere facile bersaglio di morte delle fortezze volanti, quando «la bicicletta pare un camion da quanta roba c’è caricata addosso», o quando, da Terrasini a Palermo, furono in tre a viaggiare su una sola bicicletta: «E solo noiàutri tre messi assieme pesiamo qualche 200 chili, la bicicletta, solo idda, pesa qualche 50 chili, è tutta di ferro, china china di ferro, con le ruote di gomma chine chine di gomma, che a ogni salita hàm’a scendere e ammuttàre la bicicletta a piedi, che anziché essere la bicicletta che porta noiàutri, siamo noiàutri che portiamo la bicicletta. Ma il vero problema non è l’acchianàta. Il vero problema è la scinnùta: ma come li fermi 250 chili lanciati a velocità in discesa? Non li fermi! E infatti, chi guida, grida: «Non frena, non frena!» e voliamo tutti quanti in aria, scuppiàmo a terra, tutti ammartucàti, lividi unn’è gghiè, la bicicletta: idda non si fa mai niente».
Certo, sarebbe meglio la voce di Davide, a rievocare la scena, proprio come nel suo spettacolo "maggio ’43", dedicato alle giornate dei bombardamenti su Palermo (e che dal 2013, anche un libro, edizioni Sellerio). Zu’ Cesare, uno dei protagonisti di maggio ’43 è proprio il nonno di Davide, l’idraulico socialista (e tifoso bartaliano) da cui, mi come mi racconta, ha ereditato la passione per la bicicletta, da bambini, a guardare insieme il Giro alla TV, fine anni Settanta, inizio anni Ottanta, le vittorie di Bernard Hinault (uno che a Bartali, tutto sommato, assomigliava pure). «Poi – continua Davide – anni dopo, come tanti, sono stato trafitto da Pantani. Lo aspettavo, mi tenevo liberi i pomeriggi per vederlo in televisione. Lo aspettavo, come si aspetta qualcosa che si sa che deve succedere. Quello che gli ho visto fare al Giro e al Tour li ricordo ancora come tra gli eventi sportivi più importanti della mia vita. Oggi il ciclismo mi piace molto meno, e non c’entra il doping. Non sopporto la corsa teleguidata dalle radioline dei direttori sportivi. Nel ciclismo, la testa fa tantissimo e attendere le istruzioni da qualcun altro che non sia tu, il direttore sportivo, o il ciclo-computer che ti dice come e a quanto stai andando, annulla tutta la dimensione eroica del ciclismo. La strategia mortifica l’avventura. È colpa del ciclismo se il ciclismo oggi non è più divertente».
Davide Enia, maggio '43 - foto Giuseppe di Stefano
A Davide (che oggi vive a Roma e la pedala in sella a una Brompton) quando torna a Palermo piace andare in bicicletta lungo la strada lungomare che va verso l’Arenella e quindi prosegue all’Addaura. «A destra il mare, a sinistra la montagna, verso capo Gallo, verso Mondello. C’è anche quel po’ di salita che ti fa fare fatica e ti dice che sei ancora vito. Per me è l’immagine più forte della libertà».
Oggi la corsa fa rotta verso Agrigento. Partenza da Alcamo. La maglia rosa di Ganna è «fresca e aulentissima».
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