Per tutto ottobre 2020, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 103 (Monreale, 3 ottobre - Milano, 25 ottobre). A raccontarci le tante storie del Giro d'Italia 2020 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui il recente "Il Giro dei Giri"). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.
Oggi, sulla strada per Camigliatello, dove la collina lascia il passo al bosco e alla montagna, Mauro Francesco Minervino, scrittore, “antropologo di strade”, appassionato conoscitore di luoghi e delle loro trasformazioni culturali e materiali, mi ha parlato della Sila come soltanto lui sa fare. Io quando lo leggo, o lo ascolto a "Le meraviglie" di Radio 3 – che poi sarebbe anche il mio programma radiofonico preferito: ascoltate le sue puntate su Gissing a Paola e su Villa Rendano a Cosenza – mi sento in imbarazzo. La Calabria, nel mio atlante personale, resta un colpevole buco geografico. E purtroppo lo resterà anche dopo questo rapido passaggio del Giro.
L’appuntamento è a
Scalzati, frazione di
Casali del Manco. Si sale vero la “pre-Sila” – così come esistono le Prealpi,
esiste una “Pre-Sila”: altra parola imparata oggi – laddove, mi spiega Mauro,
la ricca Cosenza, aristocratica e borghese, teneva i propri possedimenti terrieri e li faceva fruttare in pastorizia e attività silvestri.
Cosenza è sì “l’Atene delle Calabrie”, già da molto prima dell’apertura, nel 1972, della prima e unica Università della Regione.
Il nostro inviato Gino Cervi a Scalzati, accanto a uno storico cartello segnaletico Touring - foto Bombini
Continua Minervino: «A metà Cinquecento Bernardino Telesio, cosentino, getta infatti qui le basi filosofiche della fisica naturale che ispirerà maestri del pensiero moderno da Giordano Bruno a Cartesio, a Francis Bacon. Ma Cosenza è anche stata storicamente la città più importante delle Calabrie, quando era il quarto centro urbano per popolazione del regno di Napoli dopo la capitale, Palermo e L’Aquila. Il rapporto città-campagna, ma sarebbe meglio dire città-montagna è stato, tutto sommato, un rapporto virtuoso fino a quando, nell’ultimo mezzo secolo, la relazione si è sbilanciata a “vantaggio” di una mal interpretata modernità e la civiltà agro-silvo-pastorale del cuore della regione è stata dapprima contaminata dal modello produttivo industriale e poi ne è rimasta in molti casi sopraffatta per l’accorciamento delle distanze fisico-spaziali che per secoli l’avevano preservata».
E pensare che un tratto storico comune alla lunga vicenda antropica e culturale della Calabria interiore è stata proprio la sua riluttanza a omologarsi, ad accettare la convenzione o il potere costituito, sia esso quello politico sia quello spirituale delle gerarchie ecclesiastiche, come spiega bene Mauro: «Qui siamo in un quadrante della Calabria che è quello meno conosciuto dal turismo di massa, perché siamo molto lontani dalle coste. Questa è la Calabria della montagna, della Sila, il “gran bosco d’Italia”. Qui ci troviamo in uno dei luoghi più interessanti anche della storia della cultura spirituale e materiale di questa regione. La Sila è legata alle grandi memorie del misticismo calabrese. I grandi santi o mistici della Calabria hanno preso le mosse da qui. Ed erano anche loro, in qualche modo, degli “irregolari dello spirito”».
Giro d'Italia, tappa 5 - Mileto/Camigliatello Silano - foto LaPresse
Mauro mi parla allora di
Gioacchino da Fiore (1130-1202) e di
Francesco di Paola (1416-1507). Il primo da una costola dell’ordine cistercense fondò la congregazione florense che fece nascere qui abbazie, monasteri e chiese e soprattutto riplasmò un territorio difficile e aspro, coniugando lavoro agricolo e contemplazione. Benché il suo “millenarismo” avesse qualche sentore di eresia – infatti a oggi, nonostante il diffondersi del suo culto, non è mai stato avviato dalla Chiesa nessun processo di beatificazione - ,
Gioacchino divenne nel medioevo un modello di spiritualità “alternativa”, al punto che Dante, nella Divina Commedia, a circa un secolo dalla sua morte, lo colloca nel Paradiso, nella schiera dei “beati sapienti”.
Giro d'Italia, tappa 5 - Mileto/Camigliatello Silano - foto LaPresse
Due secoli dopo, la Sila ebbe un'altra eccezionale guida spirituale: Francesco di Paola, frate francescano, a sua volta fondatore dell’Ordine dei minimi, che si distinse per la severa austerità e per le pratiche penitenziali e che fondò monasteri a Paterno, a Spezzano. A differenza di Gioacchino, Francesco ancora in vita fu pervaso di “odor di santità” e divenne una specie di star popolare a suon di miracoli, facendo scaturire fonti sanificatrici di piaghe e altre malattie, moltiplicando pani per lavoratori affamati, rifiutando le monete d’oro che gli aveva offerto il re di Napoli, anzi spezzandone una e facendone uscire del sangue, il sangue dei sudditi oppressi dal sovrano e, colpo di scena sempre di grande attualità, traghettando un giorno se stesso e i suoi seguaci lo stretto di Messina “a bordo” del suo mantello steso sull’acqua. La sua fama di santo guaritore divenne internazionale e il re di Francia, Luigi XI, caduto malato, gli chiese di guarirlo. Francesco partì, un po’ riluttante a dire il vero, per la Francia e lì vi rimase nell’ultima parte della sua vita, svolgendo anche opera di consigliere spirituale di Carlo VIII, successore di Luigi XI (che morì di malattia, nonostante Francesco...) ma anche un prezioso ruolo politico di ambasciatore per conto del papa e del presso la corte di Francia. Da eremita ad ambasciatore, cose da supereroe.
Giro d'Italia, tappa 5 - Mileto/Camigliatello Silano - foto LaPresse
Terra di santi, sì. Ma anche di briganti. La Sila veniva accuratamente evitata dai viaggiatori del Grand Tour, i giovani aristocratici che si regalavano alle soglie dell’età adulta il lungo viaggio culturale e di formazione dal nord Europa al Mediterraneo: da Montaigne a Goethe, fino ai romantici ottocenteschi, di solito saltavano da Napoli alla Sicilia, preferendo i rischi della nave a quelli di essere intercettati dai briganti calabresi, che anticiparono di secoli il fenomeno del brigantaggio postunitario. Il più famoso fu Re Marcone, al secolo Marco Berardi, che imperversava a metà Cinquecento sulle montagne calabresi, e la cui figura è avvolta in un alone di leggenda, una specie di Robin Hood della Sila.
Giro d'Italia, tappa 5 - Mileto/Camigliatello Silano - foto LaPresse
Alfonso Bombini, giornalista e fotografo e gran cercatore di storie, mi racconta invece di come tra questi monti si svolsero episodi legati all’antifascismo e alla Resistenza. «La storia della sinistra italiana si è fermata qui, intorno alla Seconda guerra mondiale. Pietro Ingrao, dirigente del Partito comunista italiano, sfugge ai fascisti nei primi anni Quaranta e viene nascosto a Cosenza, dapprima in casa di militanti clandestini del partito, come lo stesso mio nonno, Giovanni Bombini, e poi tra i boschi di Pratopiano, da Cesare Curcio, già figura-guida dell’antifascismo in Sila negli anni Trenta, e poi leader politico e sindacale nel primo dopoguerra, un’attività che gli costò anche dure repressioni nel corso della lotta per la difesa degli operai e nelle rivendicazioni contadine contro il latifondismo. Sindaco di Pedace, dal 1946 al 1952, Curcio nel 1953 fu il primo rappresentante calabrese di origine contadina ad essere eletto in Parlamento».
Insomma, l’abbiamo capito,
la Sila è un posto per “irregolari dello spirito”, di gente che, se fosse in una corsa ciclistica, andrebbe in fuga ogni giorno, con coraggio.
Il coraggio che ieri ha fatto vincere per distacco Filippo Ganna, che ha sorpreso tutti conquistando la sua seconda tappa, dopo la cronometro di Palermo che lo aveva vestito di rosa. Per uno alto 1,93 m e con oltre 80 kg di peso, attaccare e staccare tutti in salita non è stata un’impresa da passare inosservata, soprattutto in una tappa di 225 km e con una fuga partita da lontano.
Giro d'Italia, tappa 5 - l'arrivo di Ganna a Camigliatello Silano - foto LaPresse
Timidamente, umilmente Ganna ha confessato in conferenza stampa – dove continua a far sfoggio della stessa stupefacente freschezza anche di parola che dimostra in corsa sui pedali – che la corsa era stata pensata per favorire il compagno, Salvatore Puccio, ma che le circostanze gli hanno fatto capire che, a un certo punto, toccava a lui “fare la corsa”. E sulla lunga salita boscosa e nebbiosa del Valico di Montescuro – ieri mai nome è stato più calzante per una strada – ha acceso il suo motore di regolarista ed è partito. Vederlo salire nella poca luce dei boschi di faggi e pini dei 1618 m del passo silano – dove nel 1972, Merckx, come un brigante, aveva teso un agguato fatale alla maglia rosa Fuente – è stato come se fossimo non in Calabria e al Giro d’Italia, ma lungo il passo del Ghisallo in una fuga al Lombardia. Ma del resto ieri era il 7 ottobre e questo è il “Giro delle foglie morte”.