Alex Dowsett è nato a Maldon, nell’Essex, nel 1988. Ha compiuto
32 anni il 3 ottobre, il giorno in cui iniziava il Giro, e fa il corridore ciclista da quando ne aveva 19. Molto prima aveva scoperto di essere
emofiliaco. Non il massimo per uno che ha deciso, nella sua vita, di correre in bicicletta e di farlo per mestiere. Una caduta e una ferita potrebbero essere molto pericolose: l’emofilia è quella malattia che impedisce o quanto meno rallenta il coagulo del sangue con conseguente rischio di emorragia.
In Inghilterra la chiamavano, e forse la chiamano ancora, royal disease perché ne era affetta, da portatrice sana, la regina Vittoria, e la trasmise ai suoi molti figli: per via del fatto che i membri delle grandi case regnanti dell’epoca si sposavano tutti fra di loro, una nipote della regina Vittoria, Alexandra, andò in sposa allo zar di Russia, Nicola II, e la passò alla dinastia dei Romanov. Il loro figlio, il piccolo zarevic Alexei ne era affetto e non si trovavano le cure per poterlo guarire. Lo affidarono per questo alle cure del monaco siberiano Rasputin, che si diceva potesse guarirlo con la sola forza della sua preghiera. Le cose andarono diversamente, purtroppo, per il discusso consigliere spirituale dello zar, avvelenato nel 1916, e per l’intera famiglia imperiale sterminata nel 1918 dai bolscevichi.
Giro d'Italia 2020, 8a tappa - foto LaPresse
Per fortuna, la storia di Dowsett è tutt’altra cosa - Alex ha trovato nello sport la sua forma di “riscatto” nei confronti della malattia. Dopo avere praticato nuoto, grazie alla mountain bike è passato al ciclismo, aggregato nelle fila della British Olympic Academy, la fucina di talenti che ha sfornato campioni a ripetizione con l’obiettivo di portarli al successo per i Giochi olimpici di Londra 2012. Specialista delle cronometro, negli anni ha collezionato sei titoli di campione nazionale. Dopo la prima stagione da professionista nella Sky, al fianco di Wiggins e Froome, di Gerrans e Thomas, è passato agli spagnoli della Movistar e alla sua prima partecipazione al Giro d’Italia nel 2013 ha vinto la cronometro Gabicce Mare-Saltara, facendo meglio dell’ex compagno di squadra Wiggins.
Si vede che
la costa adriatica porta fortuna a Dowsett che ieri, sette anni dopo, è
tornato a vincere una tappa al Giro, e questa volta non “contro il tempo”. Da Giovinazzo a Vieste la tappa di ieri correva
lungo tutto il litorale pugliese, prima piatto e sabbioso fino alle saline di Margherita di Savoia, e poi per la meravigliosa cornice tra terra, cielo e mare del
Gargano. Al traguardo di Vieste il percorso si arricciava in
un mini-circuito intorno alla cittadina ed è proprio in questo finale che Dowsett ha lasciato alle spalle gli avversari e si è involato da solo verso il successo.
Alex Dowsett al traguardo della tappa 8 - foto LaPresse
Non era un giorno qualunque, quello di ieri. La carovana si era risvegliata con la notizia della “positività” al Covid 19 di Simon Yates e un’atmosfera di cupa inquietudine ha iniziato a serpeggiare un po’ ovunque. Per uno sensibile come Dowsett un motivo in più per dare un significato non soltanto sportivo alla sua impresa. All’arrivo Alex era visibilmente commosso al punto da faticare a rispondere alle domande degli intervistatori. Era un miscuglio di emozioni. Poco prima della partenza del Giro aveva confessato in un twit tutte le sue incertezze su un prossimo futuro che lo vedrà diventare padre a gennaio. Si era chiesto quale mondo avrebbe accolto la nascita di suo figlio e come, da genitore, avrebbe affrontato questa nuova sfida, quella più importante. E aveva fatto riferimento agli scenari di grande precarietà che da qualche tempo fanno delle nostre vite un grande punto interrogativo a tutti i livelli: la salute, il lavoro, le difficoltà che inaspriscono le differenze tra gli individui, le stanche assuefazioni e le speranze deluse. Si era chiesto se quella fosse, anche per lui, giovane uomo di sport, la strada giusta da seguire, per sé, per la sua famiglia e per suo figlio.
Giro d'Italia 2020, 8a tappa - foto LaPresse
Giro d'Italia 2020, 8a tappa - foto LaPresse
La strada giusta, per il momento, è stata quella di tagliare per primo il traguardo di Vieste e dare la possibilità a molti di raccontare la sua storia, non banale, di uno che ha la faccia da british pop singer e che nel suo piccolo ha saputo lasciare un segno di sé e della bravura: vittorie in bici e nella vita, grazie anche alla onlus che ha fondato, la Little Bleeders, che si occupa proprio di insegnare e avviare allo sport i ragazzi che come lui sono affetti da emofilia, rassicurandoli sul tipo di pratiche che possono affrontare, fornendo loro le informazioni mediche e scientifiche necessarie, oltre che un supporto psicologico alle loro famiglie, e mettendoli in contatto con il mondo delle associazioni sportive che possono accoglierli.
La bellezza del ciclismo è che, grazie alle strade che percorre, attraversa il mondo in tutte le sue dimensioni, il bello e il brutto, la luminosità e l’opacità. Ieri, ad esempio, è stato un susseguirsi di illuminazioni. Il Gargano si è rivelato, in una fulgida giornata di sole di metà ottobre, forse un ultimo scampolo tardivo di estate medi terrena, in tutta la sua bellezza, di arte e natura. La basilica di Siponto, Monte Sant’Angelo affacciato sul mare, e gli ulivi, le pinete, le scogliere, le calette, gli isolotti rocciosi che a ogni svolta di strada rubavano lo sguardo. Fino ad arrivare a Vieste con il monolite di Pizzomunno a ricordarci la leggenda dei due sfortunati innamorati, Cristalda la sirena, e Pizzomunno il marinaio – da cui prende il nome il faraglione simbolo della cittadina garganica.
Il faraglione di Pizzomunno - foto Getty Images
Vieste - foto Getty Images
A Vieste, dietro la cattedrale, c’è una lapide che ricorda un fatto avvenuto nel lontano 1554, quando dal mare arrivarono le 70 galee del terribile Dragut Rais, ammiraglio della flotta ottomana. La razzia fu spaventosa e furono passati per la spada, o forse decapitati, migliaia di abitanti. Tutti quelli, vecchi, malati, bambini, che non potevano essere catturati e rivenduti come schiavi. Fu una carneficina. La lapide della Chianca Amara ricorda questo evento che sconvolse la storia di questo luogo di bellezza. Una ferita a ricordare che bellezza e dolore necessariamente convivono.
Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, partner storico dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi una vettura per seguire le tappe della Corsa Rosa.