“Stanchi di giocare ci sdraiavamo ai piedi dei Quattro larici e a voce alta leggevo libri di avventure; ognuno di noi era un personaggio: Corsaro Verde, Penna di Falco, Sandokan, Kim, il Capitano. Al tramonto salivamo tutti sulla cima degli alberi, ognuno aveva il suo, e, da lassù, si osservava in silenzio il cielo dove vagavano fantastiche nuvole rosse”.
Mentre tutti in sala stampa s'interrogano e fanno pronostici - tecnici, sentimentali, ciclomantici – esco dal palazzo del ghiaccio e prendo via Ceresara, che forse un tempo aveva intorno più alberi di ciliegie che villette, e arrivo al cimitero di Asiago. Sono le 17.45 e il cartello dell'orario dice che il cancello dovrebbe essere chiuso da almeno tre quarti d'ora. Ma invece lo trovo aperto ed entro. Il cimitero è grande, dentro non c'è un'anima – o almeno credo – , del custode neanche l'ombra.
Negli ultimi anni di vita, Rigoni tornava spesso al cimitero di Asiago, la sua Spoon River. Passava tra le tombe dei genitori, dei parenti e degli amici, della vecchia maestra, delle “ragazze con le quali cacciavo le farfalle” e della “guardia comunale che ci faceva correre quando eravamo troppo invadenti”. Ormai, diceva, conosceva più persone qui che quelle che stavano in paese. “Tutto questo – scriveva – non è greve; è invece ritrovare memorie e dolce malinconia, non memorie cattive o fastidiose, o sensi di rabbia, o di rammarico per eventuali torti subiti”.
nati all'ombra delle montagne.
Hanno imparato l'indignazione
nella neve di un paese lontano,
ed hanno scritto libri non inutili.
Come me, hanno tollerato la vista
di Medusa, che non li ha impietriti.
Non si sono lasciati impietrire
dalla lenta nevicata dei giorni.
Rigoni Stern decise di renderla pubblica.
“Io, oggi, la rivelo perché tu, più di ogni altro, non ti sei lasciato impietrire 'dalla lenta nevicata dei giorni'. Ieri, caro Primo, era una giornata splendida di primavera e le api raccoglievano polline e nettare dai crochi e dalle eriche. Ho visto il ritorno delle prime rondini e il bosco risuonava dei canti degli uccelli in amore. Ma io piangevo perchè tu te n'eri andato. Oggi il cielo è velato e un temporale gira per le montagne. Ma non piango più perché ho nel cuore il tesoro che tu mi hai lasciato e che mi aiuta a essere meno stupido e meno cattivo. Ciao Primo, arrivederci tra quelle nostre montagne nascoste; te lo voglio dire, anche se tu sorridi mesto a questo mio 'arrivederci'”.
AI QUATTRO LARICI
Stanco di giocare a fare l'inviato al Giro sono andato a cercare i quattro larici. Le indicazioni dicevano di cercare Villa Zecchin, alle spalle del nuovo edificio dell'Istituto di istruzione superiore. Ci arrivo in un quarto d'ora. Ma trovo la villa recintata da un cantiere edilizio. Dei larici nessuna traccia. Controllo su Internet. Lo scorso anno, proprio a maggio, nel corso dei lavori di ampliamento della sede dell'edificio, i quattro larici sono stati abbattuti. C'è chi dice che erano malati, qualcuno pericolante, che impedivano l'ammodernamento della struttura. Leggo che c'è stata qualche polemica sui giornali locali. Hanno chiesto al preside dell'Istituto, che è intitolato a Mario Rigoni Stern. Ha detto che non sapeva che quelli fossero i larici che compaiono nella prefazione dell'edizione per le scuole del Sergente nella neve (1965). Hanno chiesto perché anche al sindaco di Asiago, che si chiama Rigoni Stern. Ha spiegato che è stato un errore.
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