Il ritornello era sempre quello: «Guardare, ma non toccare!». Punizioni terribili erano minacciate per chi fosse riuscito a impossessarsene, perché quegli oggetti del desiderio infantile erano merce preziosa. Quelle ingenue damine, antenate della Barbie, potevano costare mesi di stipendio. Nel 1955 fino a 5mila lire, tanto da essere regalate in segno di buon augurio alle neospose ed essere esibite nelle foto in bianco e nero insieme ai bebè di casa, immortalati come mamma li aveva fatti.
Negli anni Trenta del secolo scorso il piccolo centro agricolo di Santa Giuletta, in provincia di Pavia, 2mila anime appena, si trasformò nel paese delle bambole. Furono due cugini, Teresio Garbagna e Luigi Porcellana, a dare il via a tutto. Impiegati a Milano presso la ditta Fata di bambole artigianali, con la chiusura dell’azienda a seguito della crisi economica del 1929 decisero con coraggio e incoscienza (avevano poco più di vent’anni) di buttarsi nell’avventura imprenditoriale. Acquistarono la Fata e nel 1933 ne trasferirono la produzione in un piccolo laboratorio del loro paese natale, sopra la bottega di pizzicagnolo del padre di Teresio, creando bambole economiche destinate per lo più alla raccolta punti dei prodotti Cirio. Alle prime bambole, prodotte da sette ragazze con due macchine da cucire, che avevano il corpo in stoffa imbottita con trucioli di legno, la testa in cartone pressato ricoperto di panno, bocca e occhi dipinti, seguirono quelle realizzate in cartapesta, polistirolo, polietilene e infine vinile. Per quasi quarant’anni quella delle bambole fu per Santa Giuletta la storia dell’intero paese. Aprirono 15 nuove fabbriche, per un totale di quasi mille persone, impiegate anche nelle ditte complementari per la produzione di occhi, voci o capelli. Intorno a un universo femminile, che per la prima volta trasformava ragazze provenienti anche da comuni vicini o madri di famiglia che lavoravano a domicilio in operaie specializzate, girava il lavoro maschile della creazione degli stampi e della verniciatura a spruzzo. Le bambole erano esportate in tutto il mondo, dal Venezuela al Perù, dal Belgio all’Inghilterra.
Negli anni Sessanta, a seguito della concorrenza delle industrie venete e della Furga di Canneto sull’Oglio, molte fabbriche chiusero i battenti, mentre altre diversificarono la produzione creando peluche. Come la ditta Rossella che, come ricorda Mariuccia Moroni, moglie del titolare, divenne famosa per pupazzi come Topo Gigio, Calimero, Five o la mascotte Misha delle Olimpiadi del 1980 a Mosca. Purtroppo molte ditte non pensarono a tutelarsi con un marchio, così che oggi risulta difficile individuare le bambole di Santa Giuletta. Nel 2005, con l’aiuto dell’Amministrazione comunale, Loretta Ravazzoli insieme a Elisa, Milena e Paola ha dato vita al piccolo, curato, Museo della Bambola e del giocattolo d’epoca Quirino Cristiani, in piazza Sandro Pertini 14.
Info per la visita: 0383.899141 & 340.3259784.