Quel 6 maggio la scossa fu di magnitudo 6,4. Quattro mesi dopo, tra l’11 e il 15 settembre ce ne furono altre quattro, altrettanti devastanti. Alla fine morirono in 990, se prima o dopo conta poco. Ci furono 100mila sfollati, 15mila case distrutte, 45 Comuni rasi al suolo, 40 gravemente danneggiati. Fin qui la conta del terremoto del Friuli, 40 anni fa. Ma quello del Friuli non fu un terremoto come tanti altri. Il dopo terremoto fu un’altra cosa, qualcosa di unico in un Paese di terremoti.
Scrisse Gianni Rodari in un reportage per Paese Sera di quei giorni: «Non si vede più nessuno piangere il secondo giorno dopo il terremoto. La fine di quello che c'era è una cosa accaduta in un tempo già lontano. È cominciata un'altra cosa. Non si sa ancora che cosa sarà».
Non avrebbero aspettato e si sarebbero messi a ricostruire case, chiese e capannoni. Anzi, l’ordine è inverso. «Prima le fabbriche, poi le case e poi le chiese» disse l’allora Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Antonio Comelli. E così fecero, aiutati economicamente dallo Stato, agevolati da un sottosegretario, Zamberletti, che coordinò senza strafare, e da una Regione che si fece garante di tutto e per tutti.
Lo racconta un bel museo, Tiere Motus, che raccoglie le testimonianze del momento più tragico e allo stesso tempo più alto della storia del Friuli. Un’esposizione che attraverso testi e immagini aiuta a ripercorrere e a comprendere meglio la storia del terremoto del 1976 e la successiva opera di ricostruzione.
IL DUOMO DI VENZONE
Ci fu un gran battibeccare. Arrivarono le ruspe e furono fermate. Si decise di fare una petizione: vogliamo ricostruire la chiesa. Firmarono in 630 su 650. Vinsero. In termini tecnici si chiama anastilosi: ricollocare le pietre allo stesso posto. In termini pratici fu un’impresa immane. I cittadini di Venzone recuperarono tutte le pietre, una ad una: 7.650. Le misero in un campo e aspettarono. Prima i capannoni, poi le case, poi le chiese: la ricostruzione iniziò nel 1988, finì nel 1995. Oggi il Duomo è un piccolo gioiello e un grande orgoglio.
Italo Calvino parlando della ricostruzione scrisse: «Tutti lavorarono unitariamente mettendo insieme quei tesori di impegno, di finezza, di pazienza e di moralità che occorrono per il successo di una battaglia politica perché questo era l'imperativo categorico dettato dalla loro coscienza». Una bella lezione, che vale anche oltre 40 anni dopo.
Museo Tiere Motus