«La parola viaggiare mi fa l’effetto che fa al mio gatto il rumore di quando apro una scatoletta. Non c’è parola del vocabolario che mi accende tutti i sensi più di “viaggio".
La mia letteratura preferita è quella dei grandi viaggiatori; la mia musica preferita è quella che mi fa viaggiare, che mi trasporta da qualche parte che non conosco e scopro. I miei primi ricordi di infanzia sono legati a un mappamondo che si accendeva e a un atlante.
Viaggiare è aprirsi alla vita, tutto il resto è turismo, industria, consumo, tre cose sulle quali non ho nulla in contrario, ma viaggiare è un’altra cosa, viaggiare è cercare l’avventura, aprirsi alle possibilità, mettersi in gioco, allontanarsi da casa per trovare casa dappertutto...Tutti gli angoli del pianeta sono stati scoperti e ormai sono tutti mappati su un Gps, ma ogni volta che ci mettiamo in viaggio scopriamo il mondo per la prima volta».
Parola di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, cantautore, romano di nascita, passaporto italiano e cuore mediterraneo, anima etrusca e curiosità infinita, residente nel futuro, mezzo di trasporto preferito la bicicletta.
È lui tra i protagonisti della mostra-evento En Route alla Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma fino al 20 dicembre (https://enrouteproject.com ); dove il cantautore ha esposto la propria bicicletta, la chitarra, alcuni suoi libri di viaggio e i Giornali di bordo realizzati in giro per il mondo.
La mostra prende il nome dalla rivista realizzata dal 1895 al 1897 durante il loro giro del mondo da Lucien Leroy e Henri Papillaud, due giornalisti francesi. Vi proponiamo un estratto dell’intervista concessa dal cantautore a Francesca Giannetto presente nel catalogo della mostra.

Che cos’è per te il viaggio?
Ho qualche problema con l’idea tradizionale di casa. Per me la casa non è il luogo dove tornare, ma quello da cui partire.
Il viaggio è la vita stessa, sebbene i chilometri ne siano un ingrediente necessario (ma non irrinunciabile).
Ho viaggiato e viaggio anche da fermo, con la musica, con la letteratura, con i film, con le mappe, con le idee, con l’immaginazione. Nel mondo di oggi le mete dell’industria del turismo sono tutte uguali, con gli stessi negozi, lo stesso cibo.
I grandi centri urbani sono tutti la stessa città dove tutto è programmato e ogni aspetto fa parte del prodotto.
Hai raccontato di aver visitato tutti i luoghi di Gabriel García Márquez. Che effetto ti fa ripercorrere le orme di altri viaggiatori?
È un modo per avere una mappa mentale, salire sulle spalle di qualche gigante del passato e dare una direzione al desiderio... La mia natura di dilettante appassionato mi impedisce di pensarmi avventuriero, come romanticamente vorrei, quindi mi lascio ispirare dai veri avventurieri del passato. Viaggiare è un’arte e come in tutte le arti ci sono i capolavori e sono quelli che nutrono i nuovi arrivati... Inoltre mi piace sedermi a un bar dove magari a Fellini è venuta in mente una scena per un film, o sostare in una piazza dove Caravaggio ha visto per la prima volta la ragazza che poi farà da modella per una sua Madonna.

Anche nei viaggi si scopre di più se non si pianifica troppo?
La mia esperienza è che se ti metti in cammino succedono cose e se tieni le antenne alzate e le porte aperte sarai sorpreso. Errore ed errare sono la stessa parola, non c’è erranza senza errore. La storia degli errori coincide con la grande avventura umana del progresso. L’era moderna nasce da un errore nel viaggio di Colombo.
Mi applico per avere un approccio informato sui luoghi dove vado, ma tengo sempre in considerazione la possibilità di trovare cose che non mi aspettavo. Viaggiare è un’esperienza complessa che coinvolge tutti i sensi e i sensi vanno allenati, e per allenarli bisogna metterli alla prova di continuo. Viaggiare è anche cercare la fatica, andare a caccia di quei momenti in cui ti chiedi “ma che ci faccio qui?” e proprio in quei momenti può succedere qualcosa che ti ricorderai per sempre.
Hai scritto che ti sembra di aver capito che «Il destino dell’Europa e quello dell’Africa sono legati e non è detto che siamo noi che dobbiamo andare in loro aiuto, forse è il contrario...». In che modo?
Oggi si fa un gran parlare di appropriazione culturale come un delitto. E allora io mi dichiaro colpevole: per me la cultura e le culture nascono per appropriazione.
Quando visito una città vado sempre a vedere il mercato e il cimitero. Sono i luoghi dello scambio per eccellenza. Il cimitero è la storia del posto, il mercato è il presente, la pelle viva. La varietà mi nutre, mi entusiasma, mi mette alla prova. L’omologazione e l’appiattimento mi debilitano, la diversità mi accende.
Hai detto: «In un’epoca di passioni tristi, viaggiare è una forma di militanza».
L’ho detto a una classe di studenti. Ho sempre voglia di gridare loro di andare, andare anche senza sapere dove, alzarsi e andare e non omologarsi ai modelli del loro tempo.
