Fa nulla, tuttavia, se l'originale è rimasto alla Gemäldegalerie di Dresda, dove è in esilio dal 1754, quando dopo due anni di trattative estenuanti i monaci dell'abbazia piacentina di San Sisto lo cedettero, ahimè, ad Augusto III, Elettore di Sassonia e re di Polonia, il maggior collezionista d'arte della sua epoca (lo comprò per 25.000 scudi romani, la cifra più alta mai pagata fino ad allora per un'opera d'arte). Fa nulla, dicevamo, perché la mostra di Piacenza offre diverse opportunità uniche: scoprire per la prima volta gli ambienti benedettini dell'abbazia di San Sisto per la quale la Madonna Sistina fu realizzata; apprezzare da vicino i dettagli dell'opera di Raffaello attraverso videoproiezioni e ricostruzioni virtuali; rievocarne il mito grazie a filmati e installazioni immersive; infine, indagare attraverso i tanti indizi forniti il mistero di una tela che da oltre due secoli si è sedimentata nella cultura letteraria e in quella popolare.
Madonna Sistina, Raffaello Sanzio - foto Google Art Project/Wikipedia Commons
Raffaello l'aveva dipinta tra il 1512 e il 1513, come una finestra aperta sul cielo, con i personaggi disposti in un triangolo. Ma se alla sua fortuna ben poco hanno contribuito i due personaggi ai lati (una composta santa Barbara e un san Sisto dai capelli scompigliati, cui Raffaello diede le sembianze del committente, il potente, dispotico, terribile papa Giulio II), non così può dirsi della centrale Madonna col Bambino, e non tanto perché nel viso della Vergine il pittore avrebbe raffigurato quello della sua amante, Margherita Luti, la “Fornarina” figlia di un panettiere senese. La fama dell'opera è piuttosto legata al suo fascino enigmatico, alle domande che pongono quella Madre che scende dal cielo procedendo sulle nubi verso gli spettatori, quel Bambino che rivolge uno sguardo sgomento al mondo (angosciato per la propria sorte o per quella degli uomini?), quei due angioletti alati che appoggiati su un davanzale sembrano quasi annoiati (o più probabilmente perplessi) assistendo a una scena che conoscono bene.
Quale è mai questa scena? A giudicare dallo sguardo della Madonna, calmo e addolorato, potrebbe rappresentare il vano rivolgersi della Vergine agli uomini, con l'ennesima richiesta di pace, amore, fede, ragionevolezza. Un appello divino, mille volte caduto nel vuoto, e tanto più in quel drammatico inizio Cinquecento in cui infuriano le Guerre d'Italia e sono alle porte la Riforma protestante, i conflitti tra Carlo V e Francesco I, il Sacco di Roma a opera dei lanzichenecchi, le guerre di religione. E tuttavia, in quella scena, la Madonna Sistina continua a procedere verso l'uomo, continua a guardare in avanti, sicura che il male non potrà prevalere. Troppo umana o troppo divina? Proprio questo intreccio di bellezza e di dolore, di fiducia e di timore, ha interrogato, affascinato, inquietato una schiera infinita di scrittori, intellettuali, filosofi, come Winckelmann, Schiller, Herder, Schlegel, Goethe, Schopenhauer, Novalis, Pushkin, Lermontov, Turgenev, Gogol, Tolstoi, Nietzsche, Freud, Spengler, Max Weber, Heidegger, Benjamin, Ernst Bloch, Rudolf Steiner, Thomas Mann. E forse persino Lenin: un noto esponente del realismo socialista sovietico, Dmitri Nalbandian, nel 1955 dipinse il rivoluzionario russo mentre nel 1914 contempla il quadro di Raffaello nella Galleria di Dresda.
La Chiesa di San Sisto a Piacenza
La copia della tela nella chiesa di San Sisto a Piacenza
Così la Madonna Sistina si è trasformata in un'icona senza tempo, terrestre e divina. E, per i russi ortodossi, addirittura in un'icona religiosa vera e propria, una manifestazione divina, come è stato per famosi teologi come Soloviov, Sergei Bulgakov, Florenskij, Berdiaev, alcuni dei quali convertitisi al solo contemplarla. Addirittura, ad accreditarne l'origine soprannaturale, ebbe fortuna una leggenda secondo cui Raffaello l'aveva dipinta a seguito di una visione mistica. Enorme fascino la Madonna Sistina esercitò anche su Fiodor Dostoevskij, che la inserì in tre romanzi (I demoni, Delitto e castigo, L'adolescente) e che teneva nel suo studio una copia davanti a cui pregava. Le pagine più pregnanti sono state però quelle di Vasilij Grossman, l'autore del monumentale capolavoro Vita e destino, che restò sconvolto quando nel maggio 1955 vide la tela esposta nel Museo Pushkin di Mosca, poco prima che venisse restituita ai tedeschi (l'Armata Rossa dieci anni prima l'aveva portata via da Dresda come bottino di guerra).
Grossman, ebreo e ateo, la cui madre era stata trucidata dai nazisti in un ghetto ucraino, nella Madonna e nel Bambino vide le madri avviate con i figlioletti alle camere a gas di Treblinka, il lager dove lo scrittore era entrato con l'Armata Rossa come inviato di guerra. Così scrisse, di getto, il saggio La Madonna a Treblinka: “Era lei a calpestare scalza, leggera, la terra tremante di Treblinka, lei a percorrere il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alla camera a gas. La riconosco dall’espressione che ha sul viso, negli occhi. Guardo suo figlio e riconosco anche lui dall’espressione adulta, strana. Così dovevano essere madri e figli quando scorgevano le pareti bianche delle camere a gas di Treblinka sullo sfondo verde scuro dei pini, così era la loro anima”. Momento epocale e profetico, perché in esso lo scrittore comprese che non v'era differenza tra lager nazisti e gulag comunisti, che la bellezza era un baluardo contro la barbarie, e che la difesa contro il potere devastante dell'ideologia risiedeva nella persona. Di più: intuì quanto fosse immortale l'aspirazione al bene comunicata da quella Madonna che, scriveva Grossman, “offre il bambino alla sua sorte, non lo nasconde”, porgendolo inerme al mondo. Quella tela era “immortale” in quanto immagine del cuore materno, rendeva credibile “che vita e libertà siano una cosa sola”. Per questo lo scrittore poteva affermare sicuro: “Solo questo quadro di Raffaello non morirà fino a che l'uomo avrà vita. Anzi, se anche l'uomo dovesse estinguersi, gli esseri che prenderanno il suo posto sulla terra – lupi, ratti, orsi o rondini che siano – verranno, sulle loro zampe o con le loro ali, ad ammirare la Madonna di Raffaello”.
Particolare della Madonna Sistina, Raffaello Sanzio - foto Google Art Project/Wikipedia Commons
Ma ora davvero, come dice il titolo della mostra (voluta dalla diocesi di Piacenza-Bobbio e curata dal critico Eugenio Gazzola, dalla direttrice dei musei di Palazzo Farnese Antonella Gigli e dal direttore dei Beni culturali della diocesi Manuel Ferrari), “La Madonna Sistina rivive a Piacenza”, in quel monastero di San Sisto dove per 240 anni era rimasta quasi nascosta, prima di prendere il volo verso Dresda e la fama universale. La tela era infatti collocata nell'abside della chiesa abbaziale dove potevano vederla solo i monaci benedettini che, sette volte al giorno, si recavano nel coro per pregare. Adesso, in assenza dell'originale (impossibile immaginare che si sposti da Dresda), gli organizzatori hanno moltiplicato sforzi e idee per far “rivivere” la Madonna Sistina nel luogo per il quale fu concepita. Così, con l'apertura per la prima volta al pubblico dell'Appartamento dell'abate, si viene introdotti a un monastero fondato nel IX secolo. Suggestiva in particolare la Galleria secentesca, le cui illusioni ottiche sono accentuate da cromatici interventi luministici, e il vestibolo ottagonale dove si incontrano virtualmente quattro protagonisti della storia del luogo: la fondatrice regina Angilberga, l'abate duecentesco Gandulfus, l'architetto piacentino Alessio Tramello (l'allievo del Bramante che a inizio '500 ristrutturò chiesa e abbazia) e Margherita d'Austria, figlia dell'imperatore Carlo V e duchessa di Parma e Piacenza, il cui sepolcro è nella chiesa abbaziale.
Il vestibolo ottagonale con le nuove installazioni - Monastero di San Sisto, Piacenza
E proprio in chiesa una grande copia tardo seicentesca della Madonna Sistina, inserita in una fastosa cornice barocca, domina il coro: qui, accomodatisi sui preziosi stalli caratterizzati da illusionistici lavori rinascimentali a intaglio, si può virtualmente partecipare ai Vespri che i monaci recitavano ogni sera sotto al “loro” Raffaello, mentre un'installazione di project mapping anima i marmi del pavimento e gli intarsi lignei. Uno spettacolare scalone elicoidale detto “la lumaca” consente poi di scendere alla enorme cripta dove la tecnologia aiuta a ripercorrere la storia della Madonna Sistina: indossando visori VR e tramite la realtà aumentata si può anche far ritornare il capolavoro nella sua collocazione originaria sopra l'altare maggiore.
La cripta della Chiesa di San Sisto a Piacenza
La fortuna letteraria dell'opera è invece raccontata, più concretamente, su una parete dove sono stati fissati i volumi e le pagine ad essa dedicati da grandi scrittori e filosofi. Alla celeberrima coppia di angioletti, resi icona pop da artisti come Dalì e Warhol, è invece dedicata una spiazzante installazione, in un cubico ambiente a specchi che vede celebrate anche le dissacrazioni Kitsch di Fiorucci (una strada in verità inaugurata già a fine XIX secolo dalle scatolette di lardo in scatola della ditta americana Fairbank, con due grassi maialini nella posa dei cherubini raffaelleschi).
L'installazione dedicata agli angioletti della Madonna Sistina - San Sisto, Piacenza
Andy Warhol, Raphael Madonna-$6.99, 1985 The Andy Warhol Museum; Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. 1998.1.358
Infine, il percorso di visita si conclude nella sagrestia monumentale dove viene proiettato il recente docufilm You. Story and Glory of a Masterpiece: sceneggiato dal filosofo Giovanni Maddalena e diretto dal giovane regista Nicola Abbatangelo, racconta la lotta che un fotografo intraprende con il quadro di Raffaello, nella ricerca dello scatto perfetto. Un altro modo per consegnare la Madonna Sistina all'immortalità.
Piacenza, Chiesa di San Sisto (via San Sisto 9), 29 maggio - 31 ottobre 2021.