“La Google-car è dotata di sensori e di un'intelligenza artificiale in grado di controllare la vettura e replicare le scelte che compirebbe un essere umano per districarsi nel traffico. Finora sono state realizzate 7 vetture di prova che hanno percorso 1.600 km in totale autonomia e ben 224.000 con l'occasionale intervento dell'ormai obsoleto carico-umano” È la trionfale sintesi proposta dal più letto quotidiano online italiano, ma un po’ tutti i media d’Europa – in questi giorni – hanno fatto a gara a raccontare le meraviglie delle sette auto-robot portate sulle strade della California da Google.
I pochi che, però, si sono cimentato con l’articolo del New York Times che racconta nei dettagli il test lungo le strade di Mountain View, California, hanno avuto qualche delusione. Cresciuti in una dimensione che assegna poteri “magici” alla tecnologia, ci si preparava un po’ tutti a buttare nel cestino la patente e a partire per esplorare il mondo scarrozzati in automatico dalla propria Google-mobile. Ma, senza nulla togliere agli ingegneri di Google che hanno sviluppato gli evolutissimi software di guida automatizzata, resta sempre lontano il momento in cui basterà inserire nello schermo sul cruscotto l’indirizzo di destinazione e lasciare all’auto di portarci.
Al di fuori delle implicazioni legali (chi paga in caso di incidente? Il passeggero o il realizzatore del software?) la tecnologia usata per la guida, detta SLAM (simultaneous localization and mapping, ovvero localizzazione e mappatura simultanea), prevede infatti che dapprima il veicolo percorra per una prima volta l’itinerario, creando la propria autonoma mappa da confrontare con quella di archivio. Segue poi uno staff di tecnici che “annota” le anomalie (passaggi pedonali con le strisce poco leggibili che la vettura non riconosce, segnali resi invisibili da fronde ecc.) sullo stesso archivio digitale. Solo a questo punto può essere impostata la guida automatica che, comunque, mantiene un importante punto di domanda.
Come sottolinea Sebastian Thrun, ingegnere di Google e responsabile dello Stanford Artificial Intelligence Laboratory, nessun software è oggi in grado di riconoscere la presenza e/o i cenni di un poliziotto (o di un altro essere umano) che – sulla strada o lungo il marciapiede – dia una qualsiasi indicazione al guidatore. Indicazioni che, in caso di emergenza, possono dimostrarsi vitali. La fantascienza è sì a portata di mano, ma l’auto-robot resta per ora un sogno.