La seconda tappa del Giro d’Italia 2021 è ancora tutta piemontese e lascia Torino dalla residenza sabauda per puntare, dopo aver fatto un largo giro a sud del capoluogo, verso la pianura orientale, lambendo appena le colline del Monferrato. È una tappa di pianura. E di acque. Quelle che probabilmente scenderanno in forma piovana in questo 9 maggio, e quelle che a un certo punto incontreremo oltre il Po, nella pianura vercellese e novarese: la terra delle risaie. Ha scritto anni fa Sebastiano Vassalli, novarese d’adozione, che questa terra è «un pezzetto di delta del Mekong trapiantato nel cuore d’Europa».
La cupola di San Gaudenzio a Novara - foto Stefano Brambilla
LA TERRA DELLE RISAIE: UN'ESTETICA ESSENZIALE
Non è stato un percorso facile, come tutti i percorsi di conoscenza: «La pianura di risaia è un paesaggio che non si manifesta immediatamente nella sua bellezza. Anzi, a prima vista, pare sempre la negazione di qualcosa. Sebastiano Vassalli, che viveva in una cascina, nell’incipit del suo romanzo forse più famoso, ambientato proprio in questa terra, diceva che dalle finestre di casa vedeva il nulla. Questa negazione la si trovia addirittura nel nome del capoluogo di questa provincia, Novara, una città che inizia con NO. C’è una certa differenza abitare a Siena, e vedere le targhe che ti dicono sempre SI e vivere e abitare a NOvara...». Ma non è proprio così vero che questo è un paesaggio di assenza. O meglio, non è sempre vero. «In questi giorni di inizio maggio è il momento che la pianura di risaia manifesta la sua natura più specifica: quella di essere un NON-mare, o un mare “a quadretti”. È il momento in cui le risaie vengono allagate e la terra presenta come uno vasto specchio quadrettato di arginelli, filari di pioppeti e linee di canali, in cui si riflette da lontano la sagoma materna del Monte Rosa. È in questo momento un paesaggio di un’estetica essenziale, minimalista, quasi zen».
Risaie del Novarese - foto Stefano Brambilla
Tra qualche settimana questa laguna ad assi cartesiani si colorerà di un tenero verde, quello delle piantine di riso che, maturando sotto il sole estivo, diventano bionde e poi dorate, fino al momento del raccolto a settembre. Poi, per il resto dell’anno questo angolo di pianura ritorna nella dimensione del vuoto, poco più che una terra smossa. Dietro a questa apparente dimensione di sottrazione, c’è però, al contrario, una secolare storia di affermazione antropica. Lucilla Giagnoni per lungo tempo, nel suo lavoro di drammaturgia narrativa ha studiato e poi messo in scena le storie di trasformazioni sociali ed economiche che hanno plasmato queste terre. Sono le storie della mondine, le lavoratrici delle risaie che per decenni e decenni nel Novecento hanno rappresentato una delle esperienze più incisive nella lotta per i diritti del lavoro delle donne.
«La Marchesa Colombi [pseudonimo di Maria Antonietta Torriani] nel 1877 ha scritto un romanzo di denuncia, "In risaia", pubblicato a puntate sul “Corriere della Sera” che sarà portato in parlamento per dare voce allo scandalo del massacrante sfruttamento delle lavoratrici delle risaie. Un documento di fortissimo impatto sociale da cui sono partita in questo mio percorso di conoscenza e comprensione di questa terra che mi ha accolto e nella quale ho scelto di vivere. Da lì in poi altri miei lavori e altri miei spettacoli hanno parlato di una sorta di terra di mezzo dove tutti passano ma dove quasi nessuno si ferma. Un po’ come gli eserciti di passaggio che per secoli hanno incrociato questa pianura, per farne campo di battaglia e di razzia, in genere per portare sventure ed epidemie. E instillando così nel sangue della gente del posto quell’ancestrale senso di diffidenza e sospetto nei confronti dello straniero: «Ci sono tre domande che fanno i contadini di queste parti: “Chi è cul lì? Da duè cal vegna? Cus’è cal voeur”, chi è, da dove viene e cosa vuole».
Risaie del Novarese - foto Stefano Brambilla
IL CANALE CAVOUR, OPERA MEMORABILE
Il canale Cavour nel Novarese - foto Stefano Brambilla
LA NUOVA VITA DEL TEATRO FARAGGIANA
Giagnoni dal 2016 è la direttrice artistica del Nuovo teatro Faraggiana di Novara: «Penso che ci siano delle analogie tra la storia del nostro teatro e quella del Giro. È l’essere parte di una comunità forte intorno a un elemento cardine che è il territorio. Il Giro lo attraversa, un teatro sta fermo. Il teatro è uno di quei luoghi energetici dove gli esseri umani si ritrovano per “fare antenna”, un’antenna ricevente e un’antenna emittente. Il teatro è un santuario civile: ci si ritrova non per pregare qualcosa di diverso da noi, ma per guardarsi addosso, per conoscersi e riconoscersi per quello che si è. Ed è molto importante partecipare insieme ad altri, è una cosa che fa bene alla mente e al corpo perché libera energie e le mette in circolo e in risonanza. Il Teatro Faraggiana ha una storia particolare. È nato come teatro popolare a inizio Novecento ed era uno spazio civico, un dono alla città, senza palchi privati. Si aprì presto anche alle proiezioni cinematografiche e poi agli spettacoli di varietà. Quasi distrutto da un incendio, rimase chiuso per vent’anni ed è tornato in vita grazie a un’operazione di salvataggio civico, ad opera di una fondazione che lo ha salvato dal destino di diventare un multisala cinematografico. Abbiamo riaperto cinque anni fa e siamo volati subito, come vola la bicicletta. Poi da un anno il Covid ci ha colpito duro. Però abbiamo trovato il modo di far sentire ugualmente la nostra voce. Durante il lockdown della primavera 2020 ho letto sul palco, ogni giorno, un canto della Divina Commedia, cento giorni e cento canti. È stato il mio personale Giro d’Italia».
Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa.
I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.