Come confermano le parole di Edoardo Martinetto, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, il ritrovamento di impronte di dinosauri è sempre un avvenimento denso di suggestioni. Sarà perché a tanti piacerebbe poter viaggiare indietro nel tempo, quando ancora i grandi rettili circolavano per le nostre terre; sarà perché il carisma di quei grandi rettili non perde mai una briciola della sua forza. In questo caso, poi, la suggestione è ancora maggiore: perché le impronte fossili scoperte in provincia di Cuneo sono nuove per la scienza, un ritrovamento unico in Europa.
Tutto inizia con il lavoro di tesi del geologo Enrico Collo. Nel 2008, insieme a Michele Piazza dell’Università di Genova e nel 2009 con Heinz Furrer dell’Università di Zurigo, il gruppo identificò nelle rocce dell’Altopiano della Gardetta nell’Alta Val Maira (Comune di Canosio, provincia di Cuneo) della zona alcune tracce di calpestio lasciate da grandi rettili, originariamente lasciate - si parla di circa 250 milioni di anni fa - fra i fondali fangosi ondulati di una antica linea di costa marina in prossimità di un delta fluviale. Siamo oggi in una bellissima zona di montagna, a circa 2200 metri di quota.
L'Altopiano della Gardetta con al centro la Rocca la Meja - Foto di F.M. Petti
Gli studiosi hanno quindi provato a capire chi potesse essere stato l'autore di quelle impronte, attribuendole a un "nuovo" animale, Isochirotherium gardettensis, vagamente simile a un coccodrillo. “Non è possibile conoscere con precisione l’identità dell’organismo che ha lasciato le impronte che abbiamo attribuito a Isochirotherium gardettensis, ma, considerando la forma e la grandezza delle impronte, e altri caratteri anatomici ricavabili dallo studio della pista, si tratta verosimilmente di un rettile arcosauriforme di notevoli dimensioni, almeno 4 metri”, ha rimarcato Marco Romano, paleontologo della Sapienza Università di Roma.
Ipotetica ricostruzione dell’organismo che ha lasciato le impronte attribuite alla nuova icnospecie Isochirotherium gardettensis. Per gentile concessione di Fabio Manucci
Ricostruzione 3D del rettile arcosaurifome - cliccare per la visione
Le implicazioni sono diverse. Per prima cosa, secondo Fabio Massimo Petti del MUSE - Museo delle Scienze di Trento, esperto di orme fossili e primo autore del lavoro, si tratta di un ritrovamento unico in Europa: “Le orme sono eccezionalmente preservate e con una morfologia talmente peculiare da averci consentito la definizione di una nuova icnospecie che abbiamo deciso di dedicare all’Altopiano della Gardetta”. Per i non addetti ai lavori, l'icnologia, è la branca della paleontologia che si occupa dello studio delle interazioni tra organismi e substrato (impronte, ma anche tane, percorsi, segni della coda).
Un'ulteriore implicazione riguarda poi il tempo in cui il coccodrillo era vissuto. Massimo Bernardi, paleontologo del MUSE di Trento, ha sottolineato che i ritrovamenti della Val Maira testimoniano la presenza di rettili di grandi dimensioni in un luogo e un tempo geologico che si riteneva caratterizzato da condizioni ambientali inospitali. Dove cioè non si pensava che sarebbero potuti esistere dinosauri: le rocce che preservano le impronte della Gardetta, formatesi pochi milioni di anni dopo la più severa estinzione di massa della storia della vita, l’estinzione permotriassica, hanno quindi dimostrato che quest’area non era totalmente inospitale alla vita come proposto in precedenza.
“La nostra prossima sfida”, sottolinea il coordinatore del progetto Massimo Delfino del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, “è trovare la copertura finanziaria che garantisca una raccolta accurata ed esaustiva delle informazioni di importanza scientifica, la conservazione a lungo termine del patrimonio paleontologico della Gardetta e la sua valorizzazione in un’ottica di promozione culturale e turistica delle caratteristiche naturali della Val Maira”.
INFO
Lo studio sulle impronte Isochirotherium gardettensis è stato appena pubblicato sulla rivista internazionale PeerJ a firma di geologi e paleontologi del MUSE - Museo delle Scienze di Trento, dell’Istituto e Museo di Paleontologia dell’Università di Zurigo e delle Università di Torino, Roma Sapienza e Genova, in accordo con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria Asti e Cuneo.
Nell’area delle impronte sono frequenti i “ripple marks” tracce di moto ondoso lasciate circa 250 milioni di anni fa su un fango sabbioso ora diventato roccia - Foto di Enrico Collo