Il Touring Club Italiano sostiene Va' Sentiero, il progetto di sette ragazzi che da maggio 2019 hanno iniziato a percorrere tutto il Sentiero Italia. Alla pagina www.touringclub.it/vasentiero tutti gli articoli dedicati al cammino, con resoconti periodici e approfondimenti sulle varie tappe. Seguite anche voi Va' Sentiero e partecipate al cammino!

Dopo la Sicilia, la Sardegna. Da un'isola all'altra. I ragazzi di Va' Sentiero proseguono il loro viaggio lungo il Sentiero Italia arrivando in terra sarda, laddove l'itinerario restaurato dal Cai si inoltra nella parte orientale dell'isola, toccando da sud a nord i tacchi dell'Ogliastra, le aspre cime del Gennargentu, i rilievi del Supramonte, i graniti della Gallura. In realtà, il Sentiero Italia nel suo complesso (così com'è stato pensato) inizia (o finisce) proprio al "caput mundi" di Santa Teresa di Gallura, ma come vi abbiamo raccontato negli articoli precedenti il team ha preferito anticipare i chilometri sulle isole e tornare poi sulla terraferma, in Campania, dove riprendere il percorso verso Reggio Calabria. 

Informazioni pratiche a parte, il racconto dei ragazzi di Va' Sentiero, come di consueto da noi intervistati lungo il percorso, è ricco di confronti e paragoni con la Sicilia: se qualcuno ancora pensasse che le nostre due isole maggiori si assomiglino in qualche modo anche solo per la loro "mediterraneità", basterebbe ascoltare i loro racconti per capire quanto l'idea sia lontana dalla verità. Perché Sardegna e Sicilia sono mondi a parte, frutto di culture lontane, di popoli e storie diversi, anche e soprattutto nel loro entroterra, ancora integro e spesso selvaggio. Francesco lo ha notato fin dal primo passo in terra sarda: "imbarcarsi a  Palermo e sbarcare a Cagliari vuol dire cambiare mondo, passare dal caos alla tranquillità, dall'impianto disordinato dei vicoli all'impianto sabaudo delle strade" racconta. I ragazzi hanno visitato il capoluogo in compagnia di Renato, ammirando le jacarande fiorite di viola, i bastioni, i vari quartieri. "E ascoltando i racconti sulla Nostra Signora di Bonaria, patrona della Sardegna: pensa, i conquistadores spagnoli diedero per devozione il suo nome alla capitale dell'Argentina, Buenos Aires".


Cagliari. Foto Sara Furlanetto

IL SARRABUS E IL GERREI, TRA DILUVI E LAUNEDDAS

"L'itinerario ufficiale del Sentiero Italia parte da Castiadas, paese dell'entroterra a nord di Villasimius. Il che è un po' strano" racconta Yuri. "È come se mancasse una tappa, non capisco bene perché non ne sia stata tracciata una che arrivi al mare, per esempio partendo da Villasimius, così come al nord dell'isola si arriva a Santa Teresa. Così ho provato a inventarmi quella tappa, partendo da Villasimius e mettendomi in marcia da solo, super leggero, portandomi dietro giusto uno zainetto leggero con un po' di acqua e un po' di cibo". 

Yuri ci spiega che sono due i momenti che ricorderà di questa tappa improvvisata. "A un certo punto sulla strada sterrata che stavo percorrendo ho trovato una sbarra, che indicava una proprietà privata e impediva il passaggio. Sulla sbarra però c'era un numero di telefono... così ho chiamato e ho chiesto se potevo passare. Chi mi ha risposto è stato molto gentile, ha voluto sapere di Va' Sentiero, è stata una bella introduzione all'ospitalità sarda". Yuri è arrivato sudante in cima al monte Minni Minni, da dove si ammira uno stupendo panorama di foreste e di mare. "Poi volevo fermarmi a mangiare un boccone e sono andato verso una casetta della Forestale poco lontano: lì ho incontrato Mario, un agente molto cordiale, che mi ha accolto e raccontato del suo lavoro. Uno strano lavoro, a dir la verità, visto che Mario fa la vedetta per prevenire gli incendi: mi ha spiegato che è una vita lenta, un po' si legge un po' si alza lo sguardo, e poi bisogna sempre distinguere tra fumo pericoloso e fumo che non lo è...".

Mentre Yuri si stava per congedare, all'orizzonte è comparso un cielo scurissimo. "Mario mi ha detto di non preoccuparmi, che il vento che soffiava verso ovest avrebbe portato via i nuvoloni... peccato che tempo di dieci minuti mi sono trovato sotto un vero e proprio diluvio, con tanto di grandine e pioggia battente! E io non avevo nulla con cui ripararmi... mi sono rifugiato sotto un leccio, poi sono arrivato grondante a Castiadas. Un vero battesimo sardo!". 

A Castiadas i ragazzi hanno ricevuto ospitalità al Villaggio Carovana, una cooperativa sociale focalizzata sui disabili, "una bella realtà gestita prevalentamente da donne" spiega Sara. "La particolarità di Castiadas è che il borgo è nato come colonia penale: fino al 1959 il villaggio era abitato soltanto da carcerati che lavoravano nei terreni circostanti, riforestando per esempio il territorio" aggiunge Francesco. "Lo si nota per il gran numero di eucalipti, anche se arbusti nativi come il corbezzolo - da cui si ricava un ottimo miele - sono comunque molto diffusi". In pochi sanno che il corbezzolo è uno dei simboli dell'Italia: con le sue foglie verdi, i suoi fiori bianchi e le sue bacche rosse richiama infatti la nostra bandiera.


Torre Porto Giunco a Villasimius insieme ad Alessandro Abis, ingegnere e guida Aigae. Foto Sara Furlanetto


Claudia è una delle socie della cooperativa che gestisce Villaggio Carovana a Castiadas. Foto Sara Furlanetto

Da Castiadas il sentiero piega verso nordovest, attraversando il parco regionale dei Sette Fratelli - Monte Genis, uno dei più estesi della regione. "Uno scenario veramente bello" ricorda Sara "con decine di cime frastagliate che mi hanno ricordato il massiccio dell'Argimusco, in Sicilia. La tappa era lunga, l'avvicinamento alle montagne emozionante: da lontano, la catena sembrava elaborata, alpina, quasi ostile e aggressiva; quando ci siamo arrivati, le rocce apparivano invece morbide, levigate da vento e acqua, un po' posizionate a caso, incastrate in posizioni assurde, a volte come se potessero scivolare via da un momento all'altro".

Il sentiero, che si inoltrava tra bosco e macchia, in realtà non lasciava molto spazio alle foto panoramiche: "le parti aperte dove godere della vista erano davvero poche e limitate" continua Sara "ci si continuava a re-immergere in un sottobosco ricco e rigoglioso". Il parco si trova nella regione storica del Sarrabus, storicamente molto poco popolata. 


Castiadas > Burcei. Il massiccio dei Sette Fratelli all'orizzonte. Foto Sara Furlanetto

"Arrivati a Burcei... è stato come cominicare un'altra giornata!" ride Sara. Ad accogliere i ragazzi una vera e propria delegazione, con il sindaco, il vicesindaco e un rappresentante del GAL locale. "Il sindaco Simone Monni è giovanissimo, ben voluto da tutti e grande appassionato della sua terra" spiega Sara. "Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui su alcuni massi sparsi che una volta appartenevano a un grande nuraghe, mentre il sole scendeva. Poi ci hanno portati a un pinnettu di un pastore che stava facendo un formaggio di capra (e poi con l'avanzo del siero anche la ricotta) e dove un gruppo di amici si erano ritrovati per bere insieme un bicchiere di vino: due momenti molto belli, che abbiamo goduto con calma e grande piacere". La serata era ancora lunga, però... "A un certo punto" continua Sara "sono arrivati altri due ragazzi, hanno tirato fuori launeddas (flauti di canna suonati con la tecnica della respirazione circolare) e organetto e via a improvvisare, con questa melodia sensazionale che richiama la cornamusa... improvvisazione che è continuata fino a tardi in un bar del paese, quando i presenti si sono esibiti anche in vari canti, sempre creati sul momento. Meno male che ciascuno di noi era affiancato da un locale, perché altrimenti avremmo capito poco delle parole... alla fine eravamo stremati, non ci reggevamo più in piedi, stravolti e felici per questa prima introduzione a 360 gradi nella natura e nel folclore sardo!". 

Francesco aggiunge qualche dettaglio culturale: "La cantada campidanese - ovvero la poesia cantata d'improvvisazione tipica della Sardegna meridionale - si realizza, principalmente, nelle forme del "muttettu longu" e del "versu". Il "muttettu longu" si esegue con l'accompagnamento di due voci gutturali; il "versu" si realizza con l'accompagnamento della chitarra (che peraltro è diversa da una chitarra normale: la quarta e la quinta corda sono accordate con la stessa nota). Ci hanno raccontato che vengono organizzate vere e proprie sfide di bravura! I partecipanti giocano su un tema scelto, spesso prendendo in giro l'avversario. Una tradizione che si perde nella notte dei tempi, come quella delle launeddas". E su pinnettu, nominato prima da Sara? "Quello è la tipica abitazione dei pastori sardi, costituita da una base circolare di pietre a secco e una copertura conica di rame o di frasche". 


Gianni, pastore di Burcei. Foto Sara Furlanetto


Musicisti di Burcei. Foto Sara Furlanetto

"Dopo quella serata memorabile puoi immaginarti come ci siamo svegliati, la mattina dopo..." racconta Martina "eravamo davvero stanchissimi, in più sole e caldo... ci siamo messi a camminare verso nord con poca voglia, mentre i Sette Fratelli ci salutavano all'orizzonte. A svegliarci ci ha pensato il primo vero diluvio universale di Va' Sentiero 2021, davvero un diluvio con la D maiuscola! Vento pazzesco, pioggia fortissima che si è poi trasformata in grandine, tuoni da far rabbrividire... ci hanno detto che in Sardegna il temporale viene chiamato strossa de àcua, una vera e propria disgrazia di acqua!".  Non chiediamo a Martina come era il paesaggio circostante... la foto qui sotto parla molto più di molte parole. "In certi tratti il sentiero sembrava un fiume... ricordo che dovevo tenermi il cappuccio di lato perché sennò la grandine ci arrivava in faccia!".

Dopo la tempesta, c'è sempre la quiete; e i ragazzi l'hanno trovata nell'agriturismo Su Niu De S'Achili, meta della terza tappa sarda, gestito dall'omonima cooperativa. "Un luogo bellissimo, questo "nido dell'aquila", dove siamo stati accolti a braccia aperte da Tommaso e Luigi, entrambi di Armungia. C'era il fuoco acceso, il pastore Andrea che alimentava le fiamme con la legna... e pensa, non c'era campo telefonico, eravamo isolati e distanti anni luce da qualsiasi altra cosa: quale modo migliore per goderci il tepore del camino, assaggiando affettati e formaggi tipici, mentre i nostri calzini si asciugavano a poco a poco? È stato un momento bellissimo, direi quasi una scena magica, mentre fuori dalle finestre l'umidità del bosco evaporava e i raggi del sole tornavano a infiltrarsi tra i rami". 


Tappa Burcei-Su Niu De S'Achili. Foto Andrea Buonopane


Su Niu de S'Achili, luogo tappa gestito dall'omonima cooperativa. Foto Sara Furlanetto​

Una rondine non fa primavera, si sa, e quel raggio serale non era ancora foriero di tempo bello e stabile. "Anche il giorno seguente ci siamo trovati sotto un bel diluvio" racconta Sara "siamo arrivati ad Armungia fradici!". Di notevole, in una tappa senza grandi panorami, Sara ricorda due momenti. "Le chiacchierate con Stefania Contini, che è una guida ambientale e gestisce un b&b ai piedi dei Sette Fratelli: ci siamo trovati molto bene con lei, super accogliente, genuina, ospitale. E poi la vista delle miniere di antimonio a Villasalto, che raccontano il lungo sfruttamento del luogo: ci hanno raccontato che era in progetto l'istituzione di un parco minerario a fini didattici e turistici, ma che la sua genesi e la sua gestione sono state macchiate da vari episodi di corruzione che purtroppo hanno fatto tramontare il progetto". 


Tappa Su Niu s'Achili > Armungia. Foto Sara Furlanetto


Tappa Su Niu s'Achili > Armungia. Le miniere di antimonio vicino a Villasalto. Foto Sara Furlanetto

SORPRESE E PROFUMI AD ARMUNGIA ED ESCALAPLANO

Ad Armungia si è passati dal Sarrabus al Gerrei, una delle tante regioni in cui storicamente veniva divisa l'isola, confini impercettibili ai forestieri ma - immaginiamo - evidenti ai locali, visti i cambi di dialetti, di tradizioni, di costumi. "In Gerrei bisognerebbe entrare in punta di piedi, per non turbarne il silenzio, e possibilmente dal retro, come ladri di emozioni" scrive Sebastiano Dessanay nella nuova Guida Verde Touring Sardegna. Così hanno fatto anche i ragazzi, che ad Armungia hanno vissuto momenti memorabili. Innanzitutto si sono ritrovati a visitare il primo grande nuraghe del loro percorso. "Proprio al centro del paese, incredibile!" racconta Francesco "Molto ben conservato, davvero bellissimo. Pensa, l'apertura superiore è di circa due metri. Secondo l'archeologo Giovanni Lilliu risale all'età del bronzo medio, 1500 - 1400 a.C. circa". Nella zona i nuraghi sono particolamente numerosi. "Qui vicino passa il Flumendosa, il fiume più importante della Sardegna: logico che fin dall'antichità l'area fosse abitata in modo stabile". 


Nuraghe di Armungia. Foto Andrea Buonopane


Nuraghe di Armungia. Foto Andrea Buonopane

Il nuraghe di fArmungia è soltanto una delle varie "sezioni" di cui si compone il sistema museale di Armungia, davvero ricco di storie. "Ne fanno parte anche il museo etnografico Sa Domu de is Ainas, la "Bottega del fabbro", il Museo Storico “Emilio e Joyce Lussu” e la casa natale di Emilio Lussu" spiega Francesco. "E proprio il nipote di Lussu, Tommaso, archeologo, ci ha fatto da guida nel giorno successivo: davvero un'esperienza interessante e coinvolgente".

Qualche parola su Emilio Lussu, una figura chiave della vicenda democratica e antifascista del nostro Paese che ha colpito molto i ragazzi, a giudicare dai lunghi racconti che ne hanno fatto. Lo scrittore e politico nacque ad Armungia nel 1890, luogo che lui stesso presentò nei suoi scritti come indispensabile per la formazione dei suoi valori più profondi e della sua identità sarda. "Partecipò alla prima guerra mondiale con la Brigata Sassari, esperienza che lo segnò profondamente e raccontò nel suo celebre romanzo Un anno sull'altopiano" continua Francesco "poi fondò il Partito Sardo d'Azione e negli anni divenne sentitamente antifascista. Nel 1927 venne condannato a cinque anni di confino a Lipari, ma riuscì a evadere e a portare avanti la sua lotta insieme alla moglie Joyce Salvadori. Nel dopoguerra fu uno dei padri fondatori della Costituzione, poi senatore e ministro, fino a ritirarsi e a spegnersi a Roma nel 1975". Ad Armungia si visitano appunto la casa natale (trasformato in centro per la tessitura) e il museo ("ricchissimo, ben fatto, interattivo: la guida Alberto è stata bravissima a spiegarci questa storia da romanzo e figura iconica per la Sardegna"). 


Tommaso Lussu con la figlia. Foto Andrea Buonopane

La giornata di pausa è servita anche per approfondire la conoscenza di prodotti e tradizioni del Sarrabus-Gerrei grazie ai ragazzi del Gal Sarrabus-Gerrei. "Innanzitutto l'Axridda di Escalaplano, un particolare tipo di pecorino lavato con olio di lentisco e poi fatto stagionare nell'argilla" spiega Francesco. "A insegnarci le sue particolarità è stato Rino, che fa il pastore in un luogo davvero bello, detto Sa Trona, caratterizzato da un roccione sospeso che avremmo rivisto l'indomani".  Dal formaggio ai ravioli il passo è breve: "ci hanno spiegato come si realizzano i culurgiones, la tipica pasta ripiena sarda: difficile fare la tipica chiusura a spiga di grano, ci abbiamo provato con risultati vari" ride Francesco. "Dentro ai culurgiones, uno squisito ripieno di patate, pecorino, menta e aglio". E poi la storia dell'olio di lentisco, un tempo utilizzato dai poveri perché quello d'oliva costava troppo, oggi prodotto di nicchia venduto anche a 200 euro al litro. "Il lentisco è una pianta della macchia mediterranea, il suo olio oltre a essere utilizzato per insaporire la carne è utile anche per lenire ferite e calli". 

E poi, dulcis in fundo, gli amici di Escalaplano (località vicina ad Armungia, sempre nel Gerrei) hanno messo in scena per Va' Sentiero una dimostrazione del loro rituale più famoso: quello che ogni Carnevale mette in scena antiche e inquietanti maschere la cui origine, di nuovo, si perde nella notte dei tempi. "Su Boi indossa sul capo una testa di bue con grandi corna, il viso annerito con la fuliggine del sughero, lotta con S’Omadori, una sorta di guaritore che alla fine lo costringe a rotolarsi per terra, una sorta di esorcizzazione dello spavento. E poi c'è Su Fui Janna Morti, che invece esce la sera del 31 luglio per augurare buoni raccolti: l'associazione di ragazzi che ci ha accolto prende proprio il nome da questa figura. È stata davvero un'esperienza travolgente". 

Rino, il pastore che fa formaggio con l'axridda. Foto Diego Marmi ​


Preparazione dei culurgiones. Foto Diego Marmi


Preparazione dell'olio di lentisco. Foto Diego Marmi​


Maschere tradizionali a Perdasdefogu. Foto Diego Marmi​

VERSO L'OGLIASTRA, TERRA DI TACCHI E DI CANYON

Tempo di rimettersi in cammino. Le due tappe successive hanno portato i ragazzi dal Sarrabus-Gerrei in Ogliastra, passando dalla provincia del Sud Sardegna a quella di Nuoro. "Alla partenza ad Armungia abbiamo trovato ancora Gerardo e Tommaso, che ci hanno dedicato una bella canzone sarda per salutarci" racconta Giacomo. "Poi a camminare invece ci hanno fatto compagnia Mafalda e sua cugina. Insieme a loro abbiamo guadato il Flumendosa e siamo saliti verso Sa Mola, un punto molto particolare che abbiamo scoperto grazie al nostro cicerone Alberto: si tratta di una roccia dalla buffa conformazione, sembra quasi un altare, è detta così perché assomiglia a una mola per la macinazione del grano". Niente di notevole alla fine della tappa: la località Cuili is Arrantas, come spesso avviene lungo il Sentiero Italia in Sardegna, è un punto sulla carta dove non c'è nulla, neanche una struttura. 

Tappa Armungia-Cuili Is Arrantas, Sa Trona. Foto Andrea Buonopane
Tappa Armungia-Cuili Is Arrantas, Sa Trona. Foto Andrea Buonopane


Incontro lungo la tappa Armungia-Cuile Is Arrantas. Foto Andrea Buonopane

"Ad accompagnarci invece fino a Perdasdegofu è stato Renato" continua Giacomo "un elettricista che lavora al Poligono sperimentale di addestramento interforze di Salto di Quirra, vicino al paese e tra i più grandi d'Europa. Abbiamo così scoperto la storia e il dibattito legato a questo sito militare, nato nel 1956 e poi oggetto di numerosissime vicende legate all'ipotetico nesso tra la sua presenza e l'insorgere di malattie, legate alla supposta presenza di sostanze radioattive o comunque altamente tossiche. Un tema difficile e controverso".

Ad alleggerire gli animi ci ha pensato Yuri, che con abile movimento è rovinosamente caduto in una pozza di fango lungo il sentiero. E poi l'accoglienza a Perdasdegofu, dove Giacomo ha finalmente potuto conoscere lo speleologo Ivan. "Erano mesi che ci sentivamo per telefono per organizzare queste tappe" spiega "sai quando ti fai un'idea di una persona che poi non corrisponde minimamente alla realtà? Che ridere...". Ivan - come Renato - fa parte dell'associazione Antiche Vie, il cui obiettivo è quello di valorizzare e promuovere la zona di Lanusei. "Ci hanno portato a visitare il Museo Naturalistico del Gruppo Grotte Ogliastra, piccolo ma molto interessante, con conchiglie bellissime. E poi a Sa Brecca de Is Tapparas, una gola lunga quasi 300 metri, attraversata da un sentiero molto stretto. Figurati, le pareti sono alte fino a 40 metri: un luogo davvero spettacolare!". A conclusione, rinfresco offerto dalla pro loco ("le signore ci hanno accolto come dei figli che tornano dal nord dopo mesi") e pizza offerta da Ivan ("mi ha detto che era il suo compleanno ma era tutta una scusa per essere ospitale!").

Brecca De Is Tapparas - Perdasdefogu. Foto Andrea Buonopane
Brecca De Is Tapparas - Perdasdefogu. Foto Andrea Buonopane


Umorismo sardo. Foto Giacomo Riccobono


Sa Brecca de is Tapparas. Foto Giacomo Riccobono​

Ed eccola, la tappa campale, a detta di Yuri addirittura "una delle più difficili di tutto il Sentiero Italia". Sono ben 37 i chilometri che separano Perdasdefogu da Sant'Antonio di Jerzu, ma oltre la lunghezza a spezzare le gambe sono un sentiero spesso inesistente e una natura selvaggia che non permette quasi il transito. "Eravamo stati avvertiti" racconta Yuri "ma non ci aspettavamo tutta questa fatica... In ogni caso, al mattino un gruppo si è incamminato con Ivan lungo una variante più facile, mentre io e Andrea abbiamo provato a fare la tappa ufficiale, desiderosi di affrontarla e di mapparla. Come dire: è stata una vera e propria impresa!".

Yuri ci racconta la tappa chilometro dopo chilometro ed è un susseguirsi di parole emblematiche: "recinzioni", "filo spinato", "capre curiose", "sentiero invaso da rovi e arbusti", "soltanto le tracce dei cinghiali a indicare il percorso", "sole a picco tra gli sterpi", "ultimi dieci chilometri senz'acqua", "maledizioni lanciate al cielo", "selva fittissima", "dodici zecche sulle gambe", "nervi a dura prova", "continuavamo a perderci". Ma tra un'imprecazione e un sentiero invisibile, un fuggi fuggi di cinghiali e una capra che osserva quasi divertita, Yuri racconta anche di un ambiente fantastico, di vera wilderness, di incredibili bastionate calcaree rossastre, di rocce che si ergono in mezzo al verde: è il fascino dell'Ogliastra, terra selvaggia e scenografica in cui dominano i tacchi, monti calcareo-dolomitici il cui nome deriva dalla tipica conformazione simile ad un tacco di scarpa. "È stato devastante e bellissimo nello stesso tempo... durante la giornata abbiamo incontrato solo alcuni operai forestali, che ci hanno fatto un in bocca al lupo per il proseguio, e un pastore che ci ha regalato l'acqua più fresca e buona che avessimo mai bevuto...". 

Le micidiali zecche si sono fatte trovare anche a sera tarda, mentre il gruppo si rilassava con un mojito e un bagno a Bari Sardo... 

Tappa Perdasdefogu > Sant'Antonio di Jerzu. Foto Andrea Buonopane
Tappa Perdasdefogu > Sant'Antonio di Jerzu. Foto Andrea Buonopane
Tappa Perdasdefogu > Sant'Antonio di Jerzu. Foto Andrea Buonopane
Tappa Perdasdefogu > Sant'Antonio di Jerzu. Foto Andrea Buonopane

Un meritato giorno di pausa ha portato i ragazzi alla scoperta di altre tipicità e altre icone sarde. Dapprima il cannonau, degustato nell'azienda agricola Sa Pruna, nel Comune di Jerzu: "Giovanni Serra ci ha raccontato che si parla di cannonau in questa zona sin dal 1100" spiega Francesco "peraltro l'Ogliastra è una famosa zona di centenari e pare proprio che il vino abbia la sua parte, nell'accrescere la longevità, date le sue virtù antiossidanti...". I recenti ritrovamenti di antichi vinaccioli di cannonau in alcuni siti archeologici dell'isola hanno permesso di riscrivere la storia dell'origine della domesticazione della vite nel Mediterraneo: se dapprima si pensava che la pianta fosse arrivata dalla Fenicia, oggi sappiamo che era già coltivata in Sardegna al tempo delle colonizzazioni dall'est.

Giovanni Serra, proprietario della cantina di cannonau Sa Pruna di Jerzu, con Jean Luc Madinier, direttore del tour operator di ecoturismo Sardaigne en liberté. Foto Sara Furlanetto
Giovanni Serra, proprietario della cantina di cannonau Sa Pruna di Jerzu, con Jean Luc Madinier, direttore del tour operator di ecoturismo Sardaigne en liberté. Foto Sara Furlanetto
Francesco degusta una delle proposte della cantina di cannonau Sa Pruna di Jerzu. Foto Sara Furlanetto

Secondo "incontro" quello con Maria Lai, l'artista sarda più nota (1919-2013), nota soprattutto per le sue opere tessili. "La sua è un'altra di quelle figure legate indossubilmente all'isola" spiega Francesco, "l'abbiamo conosciuta a Ulassai, il suo luogo natale, dove si visita il Museo di Arte Contemporanea Stazione dell'arte, inaugurato nel 2006, che raccoglie una parte considerevole (circa 140 pezzi) delle sue opere. Il museo è sito in quella che era appunto una stazione: sembra incredibile pensare che da Ulassai passasse una ferrovia, era una cremagliera a carbone funzionante fino al 1956". L'opera più nota di Maria Lai è datata 1981: "Si intitola Legarsi alla montagna" continua Francesco "ed è considerata la prima opera di Arte relazionale a livello internazionale: Maria Lai fece avvolgere tutta Ulassai con nastri di stoffa blu. Laddove tra famiglie vicine esisteva un legame d'amicizia, al nastro vennero legati dei pani tipici detti "su pani pintau", mentre laddove le famiglie si trovavano in discordia vennero creati dei nodi. Era la prima volta che lo spettatore diventava protagonista dell'opera". Maria Lai, tra l'altro, ha lasciato anche una grande opera per celebrare le energie rinnovabili: campeggia poco fuori Ulassai e si chiama poeticamente "La cattura dell’ala del vento”.

Ultimo incontro della giornata ad Arzana, più a nord. "Vincenzo e Stefania ci hanno accolto nella loro azienda Sa Ferrela" conclude Francesco "dove abbiamo assistito alla preparazione del pecorino e al taglio della corteccia di sughero, un altro emblema della Sardegna. Vincenzo è il simbolo di chi sull'isola vuole fare il pastore con tutte le sue forze, non ci si è semplicemente trovato: una tradizione di famiglia che spera di passare anche a suo figlio". Conclusione con una pecora cotta alla brace e una bella cena sotto i sugheri.

Una sala della Stazione dell'arte, museo d'arte con mostra permanente che raccoglie alcune opere di Maria Lai. Ulassai. Foto Sara Furlanetto​
Una sala della Stazione dell'arte, museo d'arte con mostra permanente che raccoglie alcune opere di Maria Lai. Ulassai. Foto Sara Furlanetto​
Vincenzo Loi con la moglie Stefania dell'azienda agricola Sa Ferrela di Arzana preparano il pecorino mentre il figlio Pietro assiste al procedimento. Foto Sara Furlanetto
Vincenzo Loi con la moglie Stefania dell'azienda agricola Sa Ferrela di Arzana preparano il pecorino mentre il figlio Pietro assiste al procedimento. Foto Sara Furlanetto
Cena all'azienda agricola Sa Ferrela. Foto Sara Furlanetto

La tappa da Jerzu a Osini è stata rallegrata da numerose persone che hanno camminato insieme ai ragazzi. "C'erano Jean-Luc, direttore del tour operator di ecoturismo Sardaigne en liberté, che ci ha dato una mano con la logistica" racconta Yuri "poi il "nostro" speleologo Ivan; Valentina, guida Aigae espertissima di erbe spontanee e medicinali di cui ci ha insegnato tutte le proprietà; e anche Vivian, istruttrice di volo, con il suo simpaticissimo bassotto". Passaggio dalla località Genna Figu, "con una casetta forestale che sembrava una pagoda, dove ci hanno offerto da bere" e poi deviazione per le grotte di Su Marmuri (ovvero "di marmo"), nel territorio di Ulassai, che si estendono per oltre 850 metri visibili con picchi di altezza di ben 70 metri "dove siamo stati accolti dalla cooperativa Su Bullicciu". 

Tappa Jerzu > Osini. Foto Sara Furlanetto 
Valentina, guida aigae di Jerzu, con in mano un mazzetto di erba gatta. Foto Sara Furlanetto
Valentina, guida aigae di Jerzu, con in mano un mazzetto di erba gatta. Foto Sara Furlanetto
Tappa Jerzu > Osini. Erbe officinali: menta romana, cacciafebbre, elicriso, erba gatta e iperico. Foto Sara Furlanetto
Tappa Jerzu > Osini. Erbe officinali: menta romana, cacciafebbre, elicriso, erba gatta e iperico. Foto Sara Furlanetto

Fine giornata all'hotel Scala San Giorgio, "un bellissimo posto in una zona ricca di nuraghi" continua Yuri. "La scala è un canyon che si affaccia sulla valle sottostante di Lanusei e sul paese di Osini, caratterizzato da pareti perfettamente verticali, fratture e incisioni nelle rocce. È facile esplorarla perché una piccola strada asfaltata lo percorre interamente. L'ennesima sorpresa dell'Ogliastra". "Confermo, è davvero spettacolare" aggiunge Andrea "io ci sono andato anche la mattina successiva, all'alba, per fare alcune riprese, e ne sono rimasto incantato".

La signora Gianna dell'albergo Scala San Giorgio insegna come preparare malloreddus e culurgiones. Foto Sara Furlanetto
La signora Gianna dell'albergo Scala San Giorgio insegna come preparare malloreddus e culurgiones. Foto Sara Furlanetto
Uno scorcio della Scala di San Giorgio, che si apre nelle rocce del Taccu di Osini. Foto Sara Furlanetto
Uno scorcio della Scala di San Giorgio, che si apre nelle rocce del Taccu di Osini. Foto Sara Furlanetto

Proprio a Lanusei - uno dei due capoluoghi dell'ex provincia dell'Ogliastra, attiva dal 2005 al 2016 - conduceva la tappa seguente del Sentiero Italia. "In realtà quel giorno abbiamo camminato lungo una variante proposta da Ivan" spiega Andrea "che ci ha portato a visitare numerosi nuraghi. Dapprima il nuraghe Urceni, seminascosto dalla vegetazione, immerso fra rigogliose piante di leccio sulla sommità di uno sperone roccioso a 900 metri d'altitudine: davvero un esempio di simbiosi tra elemento umano e naturale. Poi il nuraghe di Serbissi, bellissimo, molto ben conservato, un raro esempio di complesso nuragico ad alta quota: si innalza su una panoramica rocca calcarea dalle ripide pareti e sembra proprio una fortezza, con quattro torri, un villaggio attorno, due tombe di giganti e due torri di guardia più distanti. La sua singolarità, oltre alla complessità strutturale, è dovuta alla presenza di una cavità naturale nel banco di roccia sottostante, che pare abbia avuto funzione di conservazione di prodotti alimentari".

Il sentiero ha portato poi fino a Taquisara, frazione del Comune di Gairo, dove passa il trenino verde Mandas-Arbatax. "Ci siamo fermati al chiosco vicino al passaggio a livello e, accaldati, ci siamo bevuti 66 cl di birra Ichnusa a testa" ride Andrea. "Va da sé che siamo ripartiti con le gambe più sciolte... ovviamente per la parte più impegnativa della tappa, uno saliscendi abbastanza rilevante attraverso la gola del riu Pardu". Dopo un'ardua salita, l'arrivo al Parco archeologico del bosco di Seleni, caratterizzati dal nuraghe Gennacili e da alcune tombe dei giganti. "Lì vicino abbiamo letteralmente inaugurato un ostello che avrebbe aperto da lì a poco: il gestore Simone, un ragazzo trentenne, ci ha raccontato che era la prima volta che amministrava una struttura ricettiva. Il posto, anche se un po' fuori mano, è bello e panoramico... facciamo un in bocca al lupo a Simone, perché promette davvero bene!". 

Tappa Osini > Lanusei, il nuraghe Serbissi. Foto Andrea Buonopane
Tappa Osini > Lanusei, il nuraghe Serbissi. Foto Andrea Buonopane

L'ARRIVO NEL GENNARGENTU

"Una tappa speciale, quella che ci ha portato a Perda e Liana" esclama Martina "finalmente si è potuti ritornare ai Walk with us!". Per la situazione Covid, infatti, i ragazzi di Va' Sentiero avevano dovuto sospendere l'accoglienza di persone desiderose di camminare con loro, guide a parte; da Lanusei, invece, complice il miglioramento della situazione pandemica, finalmente hanno riaperto le iscrizioni, uno dei tratti fondanti della loro spedizione. "La prima a partecipare è stata Noemi, che ci ha raggiunto con il marito tedesco e i loro figli: con lei abbiamo affrontato una tappa dura, in cui siamo entrati nel parco del Gennargentu" continua Martina "che in realtà è un parco istituito sulla carta fin dal 1998 ma davvero mai partito: Ivan ci ha raccontato degli annosi dibattiti sulla presenza dell'area protetta, spesso dettati dalla politica e da interessi locali". Il massiccio del Gennargentu comprende le cime più elevate dell'isola. "Il suo nome, ci ha spiegato sempre Ivan potrebbe derivare da "porta del vento" oppure dal tipo di roccia scistosa e luccicante presente ovunque sul sentiero". 

A separare i tacchi ogliastrini dal Gennargentu è simbolicamente un ultimo tacco calcareo, visibile da lunga distanza. "Si chiama Perda e Liana ed è davvero imponente" spiega Martina "sembra che spunti dal nulla, quasi una sorta di vulcano: una leggenda racconta che le porte dell'Inferno si trovino a Perda e Liana e che in cambio dell'anima si andava a incontrare i diavoli sotto il masso...". Tramonto purtroppo un po' offuscato dalla foschia, anche se - come racconta Diego - "comunque l'effetto è stato particolare, con il sole diventato una palla bianca nel cielo grigio"; e notte in tenda, chi sotto, chi sopra il tacco. 

Team in partenza da Bosco Selene. Foto Sara Furlanetto​
Team in partenza da Bosco Selene. Foto Sara Furlanetto​
Tappa Bosco Selene > Perda e Liana. Foto Sara Furlanetto
Tappa Bosco Selene > Perda e Liana. Foto Sara Furlanetto
Perda e Liana, il tacco più caratteristico dell'Ogliastra. Foto Sara Furlanetto
Perda e Liana, il tacco più caratteristico dell'Ogliastra. Foto Sara Furlanetto

"Per me è stata la prima tappa dopo una settimana di pausa per problemi ai tendini dei piedi" spiega Diego. "Da Perda e Liana ci siamo incamminati prima lungo un tratto asfaltato, poi dentro a un boschetto, poi siamo scesi al Flumendosa. Da qui abbiamo deviato per una meta spettacolare: le gole di Pirincanes e le cascate di Rio 'e Forru, nel Comune di Villanova Strisaili". Diego racconta che le cascate sono composte da tre salti differenti, ciascuno dei quali forma una pozza, quasi una piscina di acqua cristallina: "quella in basso e quella in mezzo già sono carine, ma il vero spettacolo è offerto da quella più in alto, raggiungibile con un po' di arrampicata... abbiamo fatto un bagno stupendo, davvero rinfrescante". 

Dopo un incontro con una coppia di tedeschi che stavano girando per la Sardegna con un furgoncino e un bambino di due mesi e mezzo, i ragazzi hanno riattraversato il Flumendosa fino a un punto vicino all'agriturismo Terra Ona (il punto finale della tappa; l'agriturismo però non era aperto). "Vedevamo Andrea con il nostro furgone Santos là in alto che ci aspettava, quasi un miraggio... a poco a poco siamo finalmente riusciti a raggiungerlo". 

Deviazione dal Sentiero Italia per visitare le Gole di Pirincanes e le omonime cascate. Foto Sara Furlanetto
Deviazione dal Sentiero Italia per visitare le Gole di Pirincanes e le omonime cascate. Foto Sara Furlanetto
Deviazione dal Sentiero Italia per visitare le Gole di Pirincanes e le omonime cascate. Foto Sara Furlanetto
Deviazione dal Sentiero Italia per visitare le Gole di Pirincanes e le omonime cascate. Foto Sara Furlanetto

Il Sentiero Italia si dirige verso nord oltrepassando il massiccio centrale del Gennargentu. "Una tappa impegnativa, siamo partiti presto" racconta Yuri "purtroppo ancora in una situazione meteo piuttosto fastidiosa, con un caldo appiccicoso e caligine provocata dallo scirocco... Non si vedeva granché, intorno a noi. Siamo saliti verso Punta La Marmora, che con i suoi 1834 metri è la vetta più elevata della Sardegna, praticamente in mezzo al grigio... e per di più il sentiero mappato aveva poco senso, abbiamo preferito seguire una via lungo la cresta come sempre cercando di farci strada tra la vegetazione. Una volta in cima, il sospirato panorama era invisibile... si vedeva solo, ormai all'orizzonte, il profilo di Perda e Liana, peccato. Almeno a rallegrarci c'erano migliaia di coccinelle!". Sentiero di discesa fra tratti più normali e altri tratti non segnati, finché Giacomo non si è sentito bene e ha dovuto essere supportato fino alla meta. "Il caldo aveva fatto effetto... siamo arrivati all'agriturismo Separadorgiu davvero stravolti, anch'io mi son fatto un'ora di sonno non appena montata la tenda". "Purtroppo l'agriturismo, l'unico edificio nella zona, non fa più da struttura ricettiva: chi percorre il Sentiero Italia in questo tratto deve davvero attrezzarsi con tenda e provviste" commenta Giacomo. "Oppure avere un veicolo come il nostro per raggiungere un altro agriturismo, il Donnortei, come abbiamo fatto noi".

La notte successiva ha confermato l'assunto: i ragazzi, dopo una tappa anonima, sono arrivati alla caserma Montes, gestita da Forestas, la struttura tecnica-operativa della Regione Sardegna per il settore forestale e ambientale. "Anche qui i camminatori non potrebbero dormire... noi siamo stati fortunati perché Forestas ha patrocinato Va' Sentiero e in via del tutto eccezionale ci ha aperto le porte della caserma forestale, davvero spettacolare e provvista di tutto" conclude Giacomo. 

Tappa Agriturismo Separadorgiu > Ilodei Malu (Caserma Montes) - foto Andrea Buonopane
Tappa Agriturismo Separadorgiu > Ilodei Malu (Caserma Montes) - foto Andrea Buonopane

Anche la zona a nord del Gennargentu è ricca di storie e tradizioni: i ragazzi hanno scelto di esplorare quelle di Orgosolo e di Mamoiada, due paesi vicini, poco a sud di Nuoro. "Orgosolo è diventata famosa per Banditi a Orgosolo, un film del 1961 diretto da Vittorio De Seta" spiega Francesco "e poi ovviamente per i murales, ormai una vera e propria tradizione. Il pastore-guida Martino ci ha spiegato che il primo murale di Orgosolo fu realizzato nel 1969 dal gruppo Dioniso, un collettivo di anarchici milanesi; poi nel 1975 l'insegnante senese Francesco Del Casino ed i suoi alunni della scuola media di Orgosolo ne realizzarono un'altra dozzina; e poi l'arte prese piede, di concerto con la cittadinanza, tanto che oggi si contano oltre 200 opere in tutto il centro storico". A Orgosolo i ragazzi hanno visitato anche il Museo del baco da seta, un'altra tradizione antichissima, e a Mamoiada il Museo delle maschere mediterranee (il Carnevale di Mamoiada è famoso in tutta la Sardegna). 

La via principale di Orgosolo, ricca di murales di protesta e uomini seduti ai bar. Foto Sara Furlanetto
La via principale di Orgosolo, ricca di murales di protesta e uomini seduti ai bar. Foto Sara Furlanetto
Martino Pira, pastore e guida di Orgosolo. Foto Sara Furlanetto
Martino Pira, pastore e guida di Orgosolo. Foto Sara Furlanetto
Museo delle maschere del Mediterraneo a Mamoiada. Foto Sara Furlanetto
Museo delle maschere del Mediterraneo a Mamoiada. Foto Sara Furlanetto

Siamo ormai nel Supramonte, un vasto complesso montuoso calcareo-dolomitico che occupa gran parte del territorio di Oliena, Orgosolo, Urzulei, Baunei e Dorgali. "La tappa successiva, lunghissima, oltre 30 km, ci avrebbe portato proprio a Oliena" racconta Andrea "e devo dire che è una di quelle che mi è più rimasta impressa. Alle 6 eravamo già in cammino e ti puoi immaginare la scena surreale quando, ancora con le prime luci del mattino, abbiamo sentito una musica ad altissimo volume  in mezzo alla macchia, senza alcun centro abitato nei dintorni... come se ci fossero le giostre dietro un albero! Poi abbiamo scoperto che era un simpatico pastore che stava mungendo le sue pecore e si faceva compagnia con l'audio a palla". Il sentiero - "finalmente ben segnalato, grazie all'opera di Forestas" - ha portato poi il gruppo sotto il Monte Novo San Giovanni, monumento naturale, e poi lungo una bella salita per arrivare in cresta. "Dall'alto, non ti dico che spettacolo indimenticabile!".

Andrea ci confessa che per lui il Supramonte ha sempre avuto un'aura particolare. "Sarà per la canzone di De Andrè, Hotel Supramonte, che conosco a memoria... ma avevo sempre avuto il desiderio di conoscere questa zona così impervia, terra selvaggia di pastori e di briganti. Questa tappa me ne ha mostrato la meraviglia: in quel tratto di cresta, per esempio, da una parte c'erano rocce liscissime che si buttavano nella macchia mediterranea e nei lecci, dall'altra un vuoto ripidissimo, impressionante!". A segnare il cammino alcuni ometti, i cumuli di pietre lasciati da chi ha segnalato il percorso, "facili da trovare, anche se l'itinerario non è certo alla portata di tutti". Ancora foschia e caligine, oltre a "un'afa pazzesca, era difficile vedere lontano: ma la patina di bianco si aggiungeva a quella della roccia, e il paesaggio si trasformava in una visione eterea, fuori dal normale, quasi ultraterrena". L'atmosfera magica o mistica è proseguita nel bosco di lecci secolare somigliante a una foresta degli elfi, "con alcuni mega-roccioni ricoperti di muschio verde e i segnavia che avevano preso le forme di trulli, ad altezza uomo, tra rocce verticali che avevano sembianze di uomini o animali". Davvero una situazione memorabile. 

L'ultimo tratto della tappa ha previsto una salita sotto il sole, "attorno a noi solo il silenzio del vento e i profumi della macchia", fino alla cima del monte Corrasi. "È il simbolo di Oliena" spiega Andrea " la cima più alta del Supramonte, un paradiso botanico, con 650 specie di cui 60 endemiche, e faunistico, con mufloni, cervi sardi, rapaci. Dall'alto si dovrebbe vedere un panorama sensazionale, fino al mare di Cala Gonone...". Dopo una giornata lunga e bellissima, il meritato riposo dall'hotel-rifugio S'Enis Monte Maccione, da cui si può godere di una vista fanastica su Oliena, borgo certificato dal Touring con la Bandiera Arancione. 

Siamo arrivati a un po' più di metà percorso sardo. Per conoscere le avventure, le storie, le tradizioni dell'ultima parte, tra il monte Limbara e la Gallura, fino ad arrivare a Santa Teresa, appuntamento al prossimo racconto con i ragazzi di Va' Sentiero!

Qui sotto, il bellissimo video di Andrea che ben introduce lo straordinario patrimonio dell'isola.

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Tappa Caserma Montes > Oliena (Monte Maccione). Foto Sara Furlanetto
Tappa Caserma Montes > Oliena (Monte Maccione). Foto Sara Furlanetto
Caserma Montes > Oliena (Monte Maccione). Sulla cresta del Monte Corrasi, in uno scenario che ci ricorda a tratti il Gran Sasso ma anche le Alpi. Foto Sara Furlanetto​
Tappa Caserma Montes > Oliena (Monte Maccione). Foto Sara Furlanetto
Tappa Caserma Montes > Oliena (Monte Maccione). Foto Sara Furlanetto