Dall'argine, sul far della sera, sotto un tappeto di nuvolaglia lattiginosa, sopra una distesa di grano e papaveri guardi il Po e vedi una massa d'acqua inerme che scorre tanto lenta che quasi non capisci da che parti tiri la corrente. Verso est, verso ovest? Scende? Risale? Da che parte va questo fiume? Dove sta il mare?
Perché quando uno pedala lungo un fiume dà per scontato che il fiume scenda verso il mare. E quindi per forza di cose, lo dice la logica, la fisica e anche la geografia elementare, la strada sarà in discesa, lieve ma costante discesa. Sono questi i pensieri che ti vengono sul far della sera, quando sperimenti a spese delle tue gambe che i numeri sono opinioni variabili a secondo di chi li dice, di chi li calcola e di quel tu vuoi sentirti dire. Così quando oltre il ponte sulla statale Romea il cartello diceva Taglio di Po chilometri 1, l'interpretazione del numero sembrava univoca e rassicurante. Un chilometro, mille metri, dieci frazioni da cento metri. Quante pedalate? Venti, trenta, cento? C'è anche un po' di abbrivio che si prende scendendo dalla massicciata della statale, si accelera senza faticare, che dopo 80 chilometri anche il motorino della nostra onorata e benedetta Ktm elettrica inizia a non farcela più e chiedere una sosta.
Ma è proprio quando credevi come un qualsiasi burocrate dell'Unione Europea o dell'Fmi che la salvezza e la soluzione sta nella certezza dei numeri, ecco in quel momento i numeri ti giocano uno scherzo. E il chilometro per Taglio di Po non ti racconta la verità. I comuni da queste parti poco popolate hanno estensioni enormi, si perdono tra canali e golene, argini e risaie, per cui sei arrivato a Taglio di Po, vero. Però non sei arrivato al tuo elegante b&b diffuso, che promette un letto, una doccia e una buona cena di salumi emiliani/veneti. Perché c'è ancora da pedalare, sempre seguendo l'argine del grande fiume che qua diventa quasi un mare, calmo e ozioso. E sarebbe troppo semplice mettersi qui e dire hai voluto la bicicletta, pedala. Perché questi ultimi chilometri non sono una pedalata ma la rincorsa di un miraggio.
E però mentre arranchi pensando che forse si stava meglio sulla spiaggia di Sestri Levante, a contare le sdraio, ti accorgi che stai entrando nel cuore del Po. Almeno del mio immaginario del Po, che più che un lungo corso d'acqua è stato sempre il Delta. Il Delta del Po, questa cosa che ti immagini quando sei bambino come un dedalo di strade senza segnali, un immenso cruciverba scomposto di acqua, canneti, uccelli che planano e zanzare che decollano. E finalmente eccolo qui, il Delta. Oltre Porto Viro, dopo uno zizzagare su argini massicci e poco percorsi, tra il lato ferrarese e quello rovigotto, ti trovi immerso in questo panorama di acqua e barconi, di lavori di bonifica e terre bonificate. Con il fiume che come dicono da queste parti diventa pensile e si erge a Signore incontrastato delle vite di tutti, siano essi uomini, rane o aironi. Perché qui ancor più che altrove il fiume significa vita, con le sue acque ora utili per la pesca, ora utili per il trasporto, ora per irrigare. E così non si può che rimanere affascinati a pedalare sfiorando, sempre dall'alto, paesi che ti dicono che sei arrivato in Veneto semplicemente guardano il profilo dei campanile, che sembrano sempre San Marco in miniatura.
Non si può far altre che rimanere a bocca aperta quando ti imbatti nelle opera di canalizzione, in ordinate case di un'altra epoca che ancora portano scritto con orgoglio, Consorzio Bonifica Adige-Po, Bonifica polesine, bonifica qua, bonifica là. E con il pensiero rivai a quei tempi dove questi dovevano essere acquitrini da malaria e la gente moriva come le mosche che schiacci pedalando, quasi fossi il cruscotto di una macchina lanciata sull'A1. Quando poi finalmente percorri quel chilometri che sono diventati dieci e arrivi nel museo della Bonifica di Ca' Vendramin, in un grande edificio di mattoni rossi che sembra una cattedrale laica dedicata al Santo Po, ecco che il pensiero si fa materia e sotto i tuoi occhi vedi tutti gli strumenti immensi con cui per anni si è pompata acqua dall'acqua. Ed è davvero un bel vedere, per chi ama il genere tempio del lavoro e dell'ardire dell'uomo.
E così finisce in bellezza un'altra giornata di Vento, partita dalla piazza del Municipio di Ferrara, tra cento altre biciclette che incrociano con naturalità quasi che le due ruote fossero una seconda pelle dei ferraresi. Una giornata proseguita pedalando prima lungo la ciclabile Destra Po fino alla sosta al mulino, dalla signora Donatella che orgogliosa racconta tutto quello che loro fanno per promuovere e raccontare il fiume e la sua gente. E proseguita pedalando sull'argine sinistro, una volta sconfinati in Veneto che sembra uguale all'altro lato, non fosse per i campanili. E non fosse perché nei bar di passaggio lo spritz costa meno di un caffè doppio, e il vino al bicchiere viene quanto una Fanta in lattina. Solo la vispa signorina cinese che serve al bancone del bar di paese di Bottrighe ti rammenta che qua, nel Polesine, non sei in un'altra dimensione e un'altra epoca, ma sei pur sempre in Italia, in Veneto, in un momento storico pieno di problemi, per cui anche lei, la signorina cinese del bar si sente in obbligo di recriminare che sarebbe meglio andare in pensione, che stare qua a lavorare. E lei delle biciclette, delle pedalate, di tutto quello che potrebbe rappresentare per queste terre arginali e marginali una ciclabile bella e lunga e attrezzata pare non curarsi. A lei interessa che funzioni le slot machine piazzate nel suo bar, che con quelle ci paga la pensione.
E così non rimane far altro che continuare a pedalare appresso al professor Pileri e alla sua squadra di indomiti ricercatori/pedalatori, Diana, Alessandro, Chiara, e cercare di capire dove la trovino tutta l'energia che ci mettono giorno per giorno, chilometro dopo chilometro. Forse nella consapevolezza che sotto il sellino, sopra le ruote stanno portando in giro una bella idea.
E in questi giorni in cui i pioppi galleggiano nell'acqua, ritti, quando non piegati, in fila indiana a far da sentinelle al Po, si ha quasi l'impressione che certe buone idee possano davvero cambiare il destino di un luogo. Proprio come accadde decenni fa, quando si decise che era giunta l'ora di bonificare e dare un futuro a queste terre basse e sospese tra acqua e cielo. Vuoi vedere che anche questa fiorisce?