Accade nella provincia di Prato, la più piccola provincia italiana sia per superficie sia per numero di comuni (appena sette). Bene, in questo fazzoletto di territorio toscano si trovano due delle 14 ville medicee che l'Unesco nel 2013 ha iscritto nel Patrimonio dell'umanità: una delle più antiche e famose, a Poggio a Caiano, e quella di costruzione più recente, ad Artimino, deliziosa frazione del comune di Carmignano.
Un itinerario fra i luoghi medicei del Pratese parte obbligatoriamente da quella che fu la villa umanistica per eccellenza, che abbandonava l'idea della villa-fortezza tipica delle precedenti ville medicee di Cafaggiolo, del Trebbio e di Careggi, e divenne modello per tante dimore signorili di campagna erette in seguito. La villa di Poggio a Caiano, commissionata da Lorenzo de' Medici verso il 1470 al suo architetto di fiducia, Giuliano da Sangallo, è un simbolo della capacità umana di ordinare la natura e plasmarne il paesaggio, è la trasposizione nella campagna toscana di un'idea di armonia e di simmetria ispirata ai classici, a Vitruvio in particolare. Lorenzo però non fece in tempo a vederla ultimata: quando morì, nel 1492, era costruita solo per un terzo. I lavori furono conclusi nel 1520 da suo figlio Giovanni, che nel 1513 era divenuto niente meno che papa Leone X, un anno dopo il tragico sacco di Prato che aveva spianato ai Medici la riconquista del potere.
La villa medicea di Poggio a Caiano - foto Roberto Copello
La villa medicea di Poggio a Caiano colpisce da subito per la sua posizione, alta e strategica sulla cima di un poggio, con l'imponente facciata, i due bracci dell'avvolgente scalinata e la loggia sormontata da un timpano. Proprio lungo questo corre il celebre fregio in terracotta invetriata lungo 14,22 metri e divenuto un simbolo della villa (in realtà quello all'aria aperta è una copia realizzata dalla fabbrica Richard-Ginori nel 1986, dato che l'originale è stato smontato e messo al riparo al primo piano della villa). Con i suoi lucidi colori bianco, blu e verde, il fregio rappresenta (forse) la sorte dell'anima, in una raffinata allegoria delle idee neoplatoniche che tanto affascinavano Lorenzo. Resta incerta la sua attribuzione ad Andrea Sansovino o a Bertoldo di Giovanni, un allievo di Donatello.
Particolare del fregio nella villa medicea di Poggio a Caiano - foto Roberto Copello
Entrare nei saloni della villa di Poggio a Caiano, poi, è anche percorrere quattro secoli di storia d'Italia attraverso i suoi illustri inquilini e le loro vicende amorose. Rivive qui la storia d'amore fra il granduca di Toscana Francesco I de' Medici e la bella amante Bianca Cappello, deceduti entrambi il 19 ottobre 1587 a poche ore di distanza: morti misteriose su cui ancora si indaga, anche se neppure le indagini del Dna hanno chiarito se dovute a malaria o all'arsenico. Rivive la (presunta) liaison fra Elisa Bonaparte Baciocchi, la sorella di Napoleone granduchessa reggente di Toscana, e Niccolò Paganini, che qui portò spesso il suo violino. Rivive anche un'altra controversa relazione, quella fra il re d'Italia Vittorio Emanuele II e la Bella Rosin, la popolana che qui fece decorare con dubbio gusto alcune sale.
Molte altre curiosità attirano l'attenzione nella villa: la grande tavola con il Cristo deposto dipinta dal Vasari per la cappella della villa; la strana scala ideata dal Vasari stesso, che a prima vista pare non condurre a nulla, e invece collegava l'appartamento di Bianca Cappello al suo guardaroba; i telamoni di un caminetto forse pensato dal Buontalenti, il geniale architetto di corte di Francesco I; la camera da campo completamente smontabile di Vittorio Emanuele II; la vistosa stoffa pieghettata che riveste la camera da letto della Bella Rosin; la sala con i biliardi voluta dal re Savoia... Al secondo piano, poi, nel Museo della Natura Morta, sono esposti circa 200 dipinti per lo più appartenenti alle collezioni medicee.
La villa medicea di Poggio a Caiano - foto Roberto Copello
Gioiello principale degli interni è però il Salone di Leone X, pensato al posto del cortile centrale delle ville tre e quattrocentesche. La splendida volta decorata a stucco con emblemi medicei e gli affreschi sulle pareti mirano a omaggiare la stirpe dei Medici. Con tale intento Giovanni de' Medici, una volta divenuto papa Leone X, chiamò alcuni dei maggiori pittori del primo Cinquecento, perché celebrassero il bisnonno Cosimo il Vecchio e il padre Lorenzo mettendoli a confronto con la storia antica. Pontormo, Andrea Del Sarto e il Franciabigio lasciarono ciascuno propri affreschi, ma il salone rimase affrescato a metà. Fu fatto ultimare 60 anni dopo dal granduca Francesco I de Medici. L'incarico andò al suo artista ufficiale, Alessandro Allori, che non si limitò a riempire le pareti vuote, ma pensò bene di mettere mano agli affreschi altrui, riempiendoli di nuvole rosa e addirittura ampliando il Tributo a Cesare, che Andrea del Sarto aveva affrescato sei decenni prima. L'Allori vi aggiunse scene, personaggi e persino un tacchino, allora esotico animale giunto dalle Americhe per il quale nella famiglia Medici si nutriva una passione particolare.
L'affresco del tacchino dipinto da Alessandro Allori nella villa medicea di Poggio a Caiano - foto Roberto Copello
Tre nomi perché, oltre che villa medicea di Artimino (il borgo medievale presso cui è situata), potete chiamarla villa La Ferdinanda (perché voluta dal granduca Ferdinando I de Medici) o Villa dei cento camini (per il gran numero di comignoli sui tetti, in realtà non cento ma “solo” 54). Anche qui, come a Poggio a Caiano, la villa sorge in cima a un colle e ha sul davanti una loggia (la Loggia del Paradiso) e una doppia scalinata. Però dal “prototipo” di Poggio a Caiano è passato oltre un secolo, e si vede. L'ormai anziano Bernardo Buontalenti, l'eclettico e iperattivo architetto di corte di Ferdinando, la portò a termine in soli quattro anni, tra il 1596 e il 1600, immettendovi parecchio del suo gusto manierista ma pure la sua esperienza di ingegnere militare, con bastioni in pietra serena che in realtà non hanno mai dovuto difendere nulla. Il fresco e bianchissimo intonaco, poi, a qualcuno potrebbe ricordare che allo stesso Buontalenti si attribuisce l'invenzione del celebre gelato fiorentino che porta il suo nome, in realtà color crema.
La Ferdinanda, villa medicea di Artimino
Gli interni furono affrescati quasi completamente da Domenico Cresti, o Crespi, detto il Passignano. Da vedere in particolare gli ambienti decorati per Cristina di Lorena (la nipote di Caterina de' Medici regina di Francia) che nel 1589 aveva sposato il granduca Ferdinando I: notevoli sono la cappellina privata di Cristina e soprattutto il piccolo boudoir presso la sua camera da letto, dove un altro pittore, Bernardino Poccetti, dipinse il soffitto e deliziosi dettagli illusionistici sulle pareti.
La dimora di Artimino è il canto del cigno del sistema della ville medicee, che Ferdinando aveva fatto ritrarre al fiammingo Giusto Utens in 17 lunette collocate proprio in questa villa: ora sono rimpiazzate da copie, perché gli originali sono a Firenze, tranne le tre lunette perdute (fra le quali, ironia della sorte, proprio quella che ritraeva La Ferdinanda).
La cappella all'interno della villa medicea di Artimino
La storia della villa si incrociò spesso con nomi importanti. Nelle sue stanze furono appesi a lungo il Bacco di Caravaggio e ben 65 ritratti di gentildonne, opere ora visibili agli Uffizi, nonché il ritratto di Pietro Aretino di Tiziano, ora a Palazzo Pitti. Qui Galileo Galilei fu tra il 1605 e il 1608 precettore dell'adolescente Cosimo II (1590-1621), di cui rimase amico sino alla prematura morte. Un'altra curiosità storico-scientifica è il girarrosto automatico realizzato in base a un disegno di Leonardo trovato sul codice Leicester o Hammer, e perfettamente funzionante, con il suo sistema di contrappesi da adattare alla dimensione della selvaggina da arrostire. È uno spettacolo vederlo manovrare dall'ottantenne e pirotecnico cuoco Carlo Cioni, che è cresciuto proprio nella villa (la madre stava ai fornelli mentre il padre era capo guardiacaccia della riserva) prima di aprire nel borgo Da Delfina, ristorante del Buon Ricordo recentemente premiato per la sua ribollita, giudicata la migliore della Toscana.
La villa di Artimino - foto Roberto Copello
Il pregio della Ferdinanda è che è una villa “pura”, non intaccata da interventi neoclassici o di gusto sabaudo ottocentesco. Ciò perché nel 1737, quando ebbe fine la dinastia Medici, passò ai Lorena che presto la rivendettero a nobili pratesi. Tutti i proprietari successivi la mantennero nel suo stato originario, finché purtroppo nel 1979 la famiglia dell'imprenditore Felice Riva ne disperse gli arredi, vendendoli all'asta. Acquistata quindi da Giuseppe Olmo, il grande ciclista degli anni 30 vincitore di due Milano-Sanremo e poi affermato imprenditore (una sua bici è esposta nella villa), è oggi gestita dalla sua dinamica nipote Annabella Pascale, che le ha restituito molto dell'antico lustro, aprendone le porte a visite guidate (la prima domenica del mese) e a eventi privati.
Non solo: le antiche scuderie e gli alloggi della servitù, pensati dal Buontalenti con un portico ad archi ribassati al piano terra e un loggiato architravato al piano primo, oggi sono diventati il raffinato Hotel Paggeria Medicea. Un po' più in là, la dimora rinascimentale di ser Biagio Pignatta, potente factotum di Ferdinando, alloggia l'ottimo ristorante “Biagio Pignatta” dove la dinamica executive chef Michela Bottasso propone cucina toscana rivisitata e a km zero: con lei, cuneese di origine, è d'obbligo discutere se sia meglio la carne di fassone piemontese o di chianina toscana. L'hotel e il ristorante sono separati niente meno che dai resti di un'area sacra appartenente a un abitato etrusco.
L'hotel Paggeria Medicea nella villa di Artimino
I DINTORNI DELLA VILLA DI ARTIMINO: VIGNETI, PEDALATE, ARCHEOLOGIA
In bicicletta tra le colline di Artimino - foto Roberto Copello
La sua cantina tiene alta la tradizione enologica locale del vino Carmignano, quella che unisce gli orci etruschi del VII sec. a.C. conservati nel Museo archeologico di Artimino alle grandi botti del primo Novecento visibili nei locali inferiori della villa medicea. È forse una leggenda che il Cabernet Sauvignon sia stato portato in questa zona nel Cinquecento da Caterina de’ Medici, regina di Francia. Vero invece che proprio uno degli ultimi Medici, il granduca Cosimo III, appassionato produttore che spediva i suoi vini alle corti di mezza Europa, emanò nel 1716 un editto che definiva i confini di produzione del Carmignano, per proteggerlo da contraffazioni: sorta di disciplinare ante litteram, si può ritenere il primo caso di “denominazione di origine controllata” della storia. La biondissima Annabella Pascale, ceo della Tenuta di Artimino e anche appassionata “donna del vino”, prosegue oggi con orgoglio questa antica storia, coadiuvata dall'agronomo Alessandro Matteoli e dall'enologo Filippo Paoletti nel valorizzare al massimo la qualità delle uve (Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Malvasia) che danno vita alle due Docg Carmignano e Chianti e alle cinque Doc Barco Reale, Barco Reale Rosato, Vin Santo di Carmignano, Vin Santo Occhio di Pernice e Vin Santo del Chianti. Fra gli obiettivi, portare a cento gli ettari vitati della tenuta (attualmente sono 80, cui si aggiungono 18.500 piante di olivo).
I vigneti di Artimino
Il minuscolo borgo di Artimino sorse attorno a un castello attestato sin dal 1026, in posizione strategica fra Pistoia e Firenze. A lungo conteso fra le due città, cadde in mano fiorentina nel 1327. Collegato a La Ferdinanda da uno scenografico viale alberato, il borgo murato si può attraversare in cinque minuti a piedi, eppure offre diverse ragioni di visita. Appena fuori dell'abitato, per esempio, sorge la notevole pieve di San Leonardo, anteriore al Mille e che ha tre belle absidi romaniche. Attrazione principale del borgo è però il sorprendente Museo archeologico, che dal 1983 era ospitato nei sotterranei della villa medicea e che dal 2011 è ora modernamente allestito nelle ex-tinaie della medievale fattoria di Artimino, adiacenti la torre del borgo. Intitolato a Francesco Nicosia, il “padre” dell’archeologia carmignanese, espone una raccolta di reperti etruschi dal VII al I sec. a.C.: scoperti nell'area del Montalbano, nelle necropoli di Prato Rosello, Comana, Artimino e Pietramarina, sono i più settentrionali rinvenuti in Toscana. Con il piano superiore dedicato al “Mondo dei vivi” e quello inferiore al “Mondo dei morti”, i 600 mq del museo espongono reperti notevolissimi, come il grande Cratere di Grumaggio decorato a figure rosse con scene dionisiache, tre incensieri di bucchero del VII sec. a.C., una straordinaria coppa di vetro turchese originaria forse dal Medio Oriente e le armi del corredo funerario di un giovane guerriero.
La coppa di vetro turchese nel Museo di Artimino - foto Roberto Copello
E chi è affascinato dagli etruschi non può mancare di spostarsi a Comeana, a cinque chilometri da Artimino, e visitare il Tumulo di Montefortini, scoperto da quattro ragazzi pratesi nel 1965: su tratta di una monumentale collinetta artificiale alta 12 metri che nasconde due grandi camere sepolcrali. Chi invece ama la grande arte rimarrà a bocca aperta davanti alla tavola della Visitazione dipinta dal Pontormo nel 1528, capolavoro del primo manierismo fiorentino conservato a Carmignano nella Propositura dei Santi Michele e Francesco.
- Villa medicea di Artimino: per l'hotel Paggeria Medicea e il ristorante Biagio Pignatta, entrambi nella villa, www.artimino.com; ristorante Da Delfina, nel borgo: www.dadelfina.it. Visite la prima domenica del mese.
Il ristorante Biagio Pignatta all'interno villa medicea di Artimino