In russo è Amur; in cinese, Heilongjiang. Che poi, tradotto da quel modo figurato che hanno i cinesi di chiamare le cose, sarebbe un assai affascinante “fiume del dragone nero”. Ma quale che sia il nome che si usa, c’è come il sospetto che ben pochi saprebbero collocare geograficamente il fiume Amur. E dire che con 4.444 chilometri di lunghezza è uno dei primi dieci fiumi al mondo. E allora ha fatto bene Ponte alle Grazie nel pubblicare il nuovo libro dello scrittore di viaggio britannico Colin Thubron a trasformare il sottotitolo dell’edizione inglese, Between China and Russia, in titolo – Tra Cina e Russia – , e usare il titolo originale, Along the Amur River, come sottotitolo. Così almeno chi ignora la geografia sa dove ci si trova.
Che poi, anche una volta che lo si è collocato sulla mappa, l’Amur rimane uno dei fiumi più misteriosi ed elusivi della terra, perché lunghi tratti sono stati per lungo tempo, e sono ancora, impraticabili poiché militarizzati in quanto per quasi 2mila chilometri fa da confine tra Russia e Cina, non proprio due Paesi amici nel corso del Novecento.
Geograficamente l’Amur si origina dalla confluenza dei fiumi Shilka e Argun, nella Siberia orientale, vicino alla Manciuria. Lo Shilka a sua volta nasce dalla confluenza dell’Ingoda e dell’Onon, le cui sorgenti sono in Mongolia, in mezzo alla steppa, dove Colin Thubron inizia il suo viaggio che arriverà fino alla foce, sul Pacifico all’altezza della città di Nikolaevsk, affacciata sul mar di Okhotsk. In mezzo c’è un’immensità di luoghi vagamente ipnotici, fisicamente immensi, certamente sperduti, ampiamente disabitati. E quando abitati, popolati di un’umanità varia, perlopiù afflitta, che preferirebbe essere altrove, specie quella che è rimasta incastrata nelle città sul lato russo dell’Amur. Perché quelle cinesi invece sono un coacervo di energia, luoghi in continua crescita, abitati da giovani che vogliono commerciare, ingrandirsi, accumulare ricchezza, perché ormai in Cina “arricchirsi è glorioso”. Così il libro di Thubron sembra essere, oltre che l’ennesima avventura – forse l’ultima – di un grande viaggiatore giunto agli ottanta anni, un volume che racconta il cambiamento di una regione che sta alla periferia del nostro mondo e soprattutto della nostra attenzione. Una periferia dove si fronteggiano l’effervescenza cinese che su questa zona porta avanti delle rivendicazioni politiche che affondano in storie di qualche secolo fa, e la stanchezza dell’estremo oriente russo, terra un tempo di conquista e oggi impantanata nella sua arretratezza, frustata dalla lontananza dal cuore economico e politico del paese. Il racconto del versante russo è tutto orientato al passato, a una grandezza sfuggita che un tempo si coniugava con la speranza di un futuro prospero e invece oggi è l’ombra arrugginita e sbiadita di quel che fu, in un territorio che – almeno dal racconto dello scrittore inglese – umanamente sembra isolato, triste, sconfitto. In mezzo a tutto questo c’è una natura sovrabbondante, una vastità di spazi non umanizzati che non si riesce a mentalizzare per quanto è immensa. Spazi che – specie nella prima parte, in Mongolia – Thubron attraversa a cavallo, perché non ci sono strade in queste steppe e in queste paludi dove la leggenda vuole che sia nato, e sia sepolto, l’eroe del popolo mongolo: Gengis Khan.
Spazi enormi che per sei mesi l’anno, da ottobre ad aprile, giacciono sotto una spessa coltre di ghiaccio che rende impossibile navigare un fiume che altrimenti è un gran veicolo – almeno potenziale – di scambi, commerci e incontri. Una natura che viene raccontata attraverso lo sguardo degli uomini che la abitano. E qui il racconto di Thubron è come sempre è perfetto nella sua capacità descrittiva, per esempio dei villaggi nelle steppe: “punteggiati di tende luminose, un carnevale di colori – arancione, blu, rosso scarlatto – come se fossero giocattoli buttati sull’erba”. O come quando racconta l’incontro con due giovani donne a Blagoveshchensk. Guardandolo gli dicono: «Tu non puoi essere russo». «Perché no?» dice lui. «Perché sembri felice», gli rispondono all’unisono. Felice di poter viaggiare solitario nelle terre più remote dell’Asia, e poter ancora una volta – per fortuna nostra – scriverne.
INFORMAZIONI
Tra Russia e Cina, di Colin Thubron, Ponte alle Grazie, pag. 336, 18,50 €