
Siamo a Ivrea, in Piemonte, per una tre giorni di cammino sulle orme dell’inglese Sigerico di Canterbury che, nel 990, raggiunse il Vaticano per essere nominato arcivescovo da Papa Giovanni XV. Annotò tappa dopo tappa ogni dettaglio del suo viaggio di ritorno in Inghilterra, creando così (senza volerlo) una delle più importanti vie di pellegrinaggio d’Europa, la Francigena: 80 tappe attraverso cinque Stati e più di 600 paesi e città, per oltre tremila chilometri.

«Su tutta la Francigena, da Canterbury fino a Roma, ancora non c’era uno studio su come rendere accessibile il percorso per i disabili: è assurdo che nel 2025 ancora siamo così indietro. – spiega Paola Lamborghini, responsabile dello Sviluppo territoriale Canavese, Valli di Lanzo e Via Francigena – C’è un’idea sbagliata sul modo di intendere la disabilità. La cultura dominante deve diventare quella del for all: un luogo deve essere accessibile contemporaneamente a tutti, persone con disabilità o meno. Solo così può nascere una nuova visione del turismo». Così dopo due anni di lavoro, si è concluso il progetto Via Francigena For All (https://www.visitpiemonte.com/via-francigena-for-all ), che ha reso accessibile due tratti della Via Francigena, uno nell’itinerario tradizionale, nel Canavesano, tra Ivrea e Viverone, e l’altro lungo la variante della Valle di Susa, tra Villar Focchiardo e Avigliana.
Il nostro pellegrinaggio accessibile parte quindi da Ivrea, città antica, romana e poi cristiana. Andiamo verso il Duomo, nella parte vecchia della città, che presenta una stratificazione di stili a partire dal Romanico fino al Barocco. Entriamo nella cripta, la più antica del Piemonte: l’audioguida, i pannelli tattili e anche un’illuminazione specifica che fa risaltare i dettagli rendono questa preziosa area della chiesa visitabile da tutti.
Usciamo dal Duomo per continuare il percorso nella parte storica delle città: è disseminato di pannelli esplicativi multisensoriali, audio-video-tattili, nei pressi dei vari monumenti, chiari e accessibili a tutti. Grazie al QR Code sono disponibili anche audioguide e video esplicativi nella lingua dei segni.

Oltrepassata la Dora Baltea, il fiume che attraversa la città, raggiungiamo i Balmetti di Borgofranco di Ivrea, un borgo-gioiello che ospita numerose cantine naturali create nella roccia, in un passato remoto, dal ritiro del ghiacciaio Balteo. La temperatura costante (sui 10 °C) da sempre è stata sfruttata per la conservazione degli alimenti e del vino. La parola balmetto deriva da “balma”, antico termine di origine ligure che significa anfratto, riparo sotto la roccia, grotta antropizzata. I balmetti sono raccolti in un tratto di poche centinaia di metri con le case costruite addossate alla montagna, un romantico esempio di rivalutazione del territorio.
In via del Buonumore 225 c’è un locale molto frequentato, Al Balmet dal Farinel: «Faccio solo street food – dice Marco Omenetto, 46 anni – ma questo per me è soprattutto il luogo della memoria. Sono di Borgofranco, e ci tengo. D’estate diventa un luogo di ritrovo per i giovani. Organizziamo anche corsi per i bambini e altre attività». Appare ogni chilometro più evidente che l’accoglienza qui è una tradizione millenaria, non una moda turistica: le persone sono abituate al passaggio di pellegrini da sempre.

Il giorno seguente visitiamo uno dei tre punti di sosta accessibili finora creati della Via Francigena For All: siamo a Bollengo, a circa un quarto dei 20.2 km della strada che conduce a Viverone. Si presenta come una piccola area relax, tutta in legno: tettoia, tavolino che consente a una carrozzina di infilarci sotto le gambe, comodi punti per sedersi. Ci sono prese per caricare cellulari e tablet alimentati a pannelli solari, e persino un booksharing. Tutto accessibile a chiunque, inclusi i pannelli esplicativi del territorio.
Bollengo è un antico borgo del 1250: qui si può visitare la Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, una delle cosiddette clocher porche. Si chiamano così le chiese la cui entrata è sotto il campanile, un’usanza importata dai vicini d’Oltralpe. Questo, come altri lungo il percorso, è uno dei siti sacri resi accessibili tramite l’app Chiese a porte aperte(https://www.visitpiemonte.com/blog/chiese-a-porte-aperte ), che permette di accedere ai vari siti con il proprio smartphone. All’interno si trovano pannelli multisensoriali, contenuti audio e video nella lingua dei segni nonché vari materiali scaricabili, oltre a nuovi sistemi di illuminazione e di videosorveglianza. Nella Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo si può vedere anche un video esplicativo che racconta la Via Francigena nel suo insieme e il dettaglio del tratto che si sta percorrendo.

I sentieri, nel tratto della Via Francigena For All che abbiamo attraversato, sono perlopiù piani e percorribili: eppure si percepisce quanto sia confortante trovare aree di sosta organizzate, comode e che forniscono informazioni chiare a chiunque. «Il senso di ospitalità qui è insito nelle persone – aggiunge Lamborghini – c’è un’area di sosta nata anni fa spontaneamente per mano di un cittadino. Vedeva i pellegrini sedersi stanchi in luoghi di fortuna e ha creato lui la prima area di sosta per dare loro un po’ di conforto». Più che una startup, quindi, si può dire che la Via Francigena For All sia un seme che germoglia in un terreno fertile.
Come succede a Piverone, dove si trovano i resti della minuscola Chiesa di S. Pietro, del XI secolo, detta ironicamente Gesiun: nel presbiterio il frammento di un affresco raffigura una mano che legge un libro e due chiavi, attribuibili a San Pietro.

Anche qui, pannelli esplicativi multisensoriali raccontano la chiesa, l’area e il paese di Piverone. La sera arriviamo all’Hotel Cellagrande (https://www.cellagrande.it ), che sorge in un ex monastero benedettino del XII secolo affacciato sul lago di Viverone. Camere eleganti, spaziose e accoglienti, e soprattutto grande attenzione e sensibilità alle esigenze peculiari che ciascuno può avere: una stanza accessibile è realizzata in modo che ogni intervento sia pratico ma allo stesso tempo valorizzi l’estetica. «Vengo da una famiglia contadina e ne sono fiero – racconta il proprietario dell’hotel Roberto Bangod. – L’accessibilità a tutti è la cosa più importante che ci possa essere: io ho fatto solo la terza media, ma posso dire che se non si rispettano le persone con problemi è perché non si è capito niente. Mio padre mi ha sempre detto, e allora erano altri tempi: “rispetta il cane e da lì tutti gli altri”».