Anche lo sprinter più forte di tutti i tempi è ovunque, sui manifesti pubblicitari delle reti ad alta velocità (quale testimonial migliore di lui?) e nei video nei suoi ristoranti, ma la differenza è palpabile: se per i giamaicani, in gran parte discendenti da schiavi africani, Bob resta il simbolo religioso della possibilità di riscatto, Usain appare “solo” un simbolo profano della possibilità di successo.
Una gigantografia di Usain Bolt all'interno del suo ristorante a Montego Bay - foto R. Copello
Entrambi rappresentano l'identità giamaicana, ma in modo diverso, come diverse sono le Giamaiche agli occhi di chi visita l'isola caraibica: da un lato quella vacanziera dei tramonti contemplati dal Rick's Cafe di Negril sorseggiando un daiquiri mentre i tuffatori si lanciano dalla scogliera, delle spiagge bianche di resort dai quali magari non si esce mai, delle distillerie di rum nell'interno; dall'altra quella (spesso più “dura”, sicuramente più vera) dei ghetti di Kingston, dei baracchini dove assaggiare il jerk chicken, dei ragazzi che ballano tutta la notte nelle strade squassate dai decibel di quelle discoteche ambulanti che sono i sound-system.
Un muro esterno del Bob Marley Museum di Kingston - foto R. Copello
ALBERI DI FUOCO E RESORT DA 007
La Giamaica, del resto, è terra di fortissime contraddizioni, paradiso tropicale di cascate lussureggianti e fondali cristallini, ma che ha anche tante zone di oscurità. Dove gli abitanti affrontano le difficoltà quotidiane con abiti sgargianti, ripetendo all'infinito ritornelli che sprizzano positività: “Ya man, no problem, one love”. Dove il vero si alterna al fasullo, lungo strade in cui le irreali fiammate rosse dei flamboyant, gli “alberi di fuoco”, precedono cartelloni che tessono le lodi di un bel tetto in paglia sintetica. Un paese dove, giusto per mostrare che qui si vive sul filo del rasoio, fra i tanti frutti che crescono sull'isola i giamaicani hanno scelto per il piatto nazionale proprio quello più pericoloso, l'ackee, che se lo mangi appena acerbo ti manda al creatore.
Un mercato di Montego Bay - foto R. Copello
La Giamaica, dunque, non è mai una sola e non è sempre quella che sembra. Non lo è neppure per chi la identifica con l'agente 007, i cui 13 romanzi furono tutti scritti da Ian Fleming nella camera da letto della sua villa Goldeneye, ambientandone tre proprio sull'isola: Vivi e lascia morire, Dottor No – 007 licenza di uccidere e L'uomo con la pistola d'oro. E tre sono le Giamaiche di Fleming: quella dell'esotico jet set in cui viveva lo scrittore, quella fittizia in cui si muove James Bond e quella che ha fatto da location a tanti film di 007. In ogni caso, una Giamaica talmente esclusiva che si può non percepirne l'esistenza. È quella dei resort ultra protetti che i divi di Hollywood raggiungono in elicottero, senza mescolarsi ai locali.
Progenitore è Round Hill, enclave di 27 ville su un promontorio a ovest di Montego Bay. Qui Mick Jagger e Lionel Richie sono di casa, mentre nella Villa 10, tanto per dire, John e Jacqueline Kennedy passarono la luna di miele. Alle ville si sono poi aggiunte le 36 moderne suites della Pineapple House, disegnate da Ralph Lauren e tutte con affaccio sull'oceano. A Round Hill soggiornavano spesso anche gli scrittori Ian Fleming e Noel Coward, prima di farsi le loro dimore più a est, oltre Ocho Rios. Quella che Fleming volle ai bordi del mare, Goldeneye, è stata acquistata dal produttore musicale Chris Blackwell e oggi è il cuore ben conservato di un altro resort vietato ai comuni mortali. Coward invece preferì erigere la sua Firefly su un'isolata collina da cui la vista su oceano, baie, isolette fa capire come il mondo sia complesso e bellissimo: oggi è una casa-museo, con le foto di Charlie Chaplin e Liz Taylor, Sean Connery e Sophia Loren, e con l'iconica statua dello scrittore che seduto in giardino contempla l'orizzonte.
Relax e atmosfera tropicale al Jamaica Inn
LA MUSICA DEI CARAIBI
La Giamaica sulle pagine scritte però non è solo quella esagerata di 007. Ben più realistica e più “forte” è quella raccontata da Marlon James, scrittore giamaicano che nel 2015 con Breve storia di sette omicidi ha vinto niente meno che il Booker Prize, il Nobel per gli scrittori in lingua inglese. In 700 pagine epiche e violente scorre il flusso di coscienza di un paese, la Giamaica dei drammatici anni '70, narrata in prima persona da poliziotti, gangster, politici ruotando attorno a Bob Marley, “il Cantante”, la cui casa era “l'unico posto a Kingston dove l'unica cosa che ti colpiva era la musica”.
Un produttore in Orange Street, la via della musica a Kingston - foto R. Copello
Sul pentagramma dei Caraibi del resto la Giamaica è da oltre mezzo secolo la chiave di violino che fissa le note dell'innovazione. Qui sono nati l'abitudine di parlare sui dischi, la figura del dj, ritmi che hanno influenzato i musicisti del pianeta: ska, rocksteady, reggae, e poi dub, lover's rock, sino al trionfo attuale di ragga o dancehall. Così, che piaccia o no, la scena musicale giamaicana resta la più vibrante che ci sia, quella dove è più arduo distinguere impegno da divertimento, con migliaia di giovani che sognano di emulare il successo, se non di Bob Marley e Peter Tosh, almeno di Luciano o di Sean Paul. Così come uno stuolo di produttori indipendenti sognano i dischi d'oro che Chris Blackwell, il fondatore dell'etichetta Island, fece vincere a Bob Marley, e poi King Crimson, Chieftains, Roxy Music, Brian Eno, Grace Jones, Marianne Faithfull, Tom Waits, U2 Police, Cranberries e chi più ne ha più ne faccia incidere.
Low Shocking Vibes Studio - foto Jamaica Tourism Board
Alcuni dischi d'oro Blackwell li ha appesi sui muri di Goldeneye, assai di più nei cottage di Strawberry Hill, altro suo hotel-gioiello realizzato sulle Blue Mountains, dove nel Settecento c'era una piantagione inglese di caffè visitata dall'ammiraglio Nelson e dove Bob Marley si rifugiò dopo essere scampato ai killer entrati in casa sua. Quassù, contemplando la baia e le luci di Kingston, è difficile non dare ragione a un altro pioniere del reggae, Burning Spear, quando cantava: “It is good to live in the hills”.